lunedì, 19 Maggio , 2025
HomePoliticaChiara Saponaro: La sinistra assuma la "cura" come prassi politica e struttura...

Chiara Saponaro: La sinistra assuma la “cura” come prassi politica e struttura democratica

Il contenuto di questo nuovo contributo (o “atto di resistenza riflessiva”, come lo definisce lei stessa) inviataci da Chiara Saponaro, solo incidentalmente incrocia la situazione locale (“una guerra tra gang che passa dal livello regionale a quello cittadino con una disinvoltura che, se non fosse tragica, sarebbe teatrale“) per proiettarsi su un tema oramai diventato drammatico ai fini degli equilibri dei flussi di interesse che attraversano la società, ovvero la scomparsa di una sinistra capace di fare da contraltare, da un punto di vista culturale prima che politico, alla visione ideologica dominante del liberismo, da tempo degenerato senza freni nella sua versione più rapace e pericolosa, quella finanziaria. E’ chiaramente rivolto a quelle sacche che sopravvivono nella società in modo vivace ma disconnesse, preziose nel loro piccolo, ma incapaci di incidere in ambito decisionale in quanto orfani di una rappresentanza politica organica che possa dare forza e maggior senso al loro sforzo quotidiano e riconnettere il popolo disincantato, disperso in quell’oltre 50% di astenuti alle elezioni. Insomma, un accorato appello a che la sinistra torni ad esistere. Ma lasciamo a lei la parola.

La “Resa” dei conti della sinistra e non solo.
Ragionare su un treno in corsa e a pochi minuti dalla stazione è sempre un gioco di toppe a colori diversi: c’è chi ricuce con fili d’oro e chi attacca cerotti.
Eppure, vale forse la pena tentare un atto di resistenza riflessiva. Cercare una complessità tra il proprio giardino (che non è solo quello politico materano, ma un ecosistema più ampio, mettiamoci pure la Basilicata e oltre), e uno sguardo che provi almeno a uscire dal localismo senza diventare tuttologia da salotto.
Ci sono almeno due passaggi che la sinistra dovrebbe guardare per coerenza. Il primo ce lo suggerisce Neiman nel suo libro “La sinistra non è woke”. La sua tesi è semplice quanto vera: la destra ha vinto perché la sinistra ha smesso di esistere. Non si tratta solo di economia o geopolitica: è una questione culturale. La sinistra ha perso la sua bussola, abbandonando i valori fondanti e smarrendosi in una nebulosa identitaria e ipercritica, dove la lotta collettiva è stata rimpiazzata dall’autonarrazione individuale.
Questa deriva teorica ha una ricaduta concreta, basta guardare a quel che accade in America, in Europa, a Gaza dove si consuma un genocidio con le nostre armi: un centro-sinistra ondivago, che non sa più riconoscersi, che si divide su tutto, e che in molti casi – Basilicata inclusa – si presenta come una parodia della sinistra stessa. Non dimentichiamo quanto accaduto nell’estate del 2022 quando un giovane segretario PD – se proprio bisogna riferirsi al dato anagrafico – fu messo alla porta per aver detto, molti anni prima, cose estremamente attuali sulla Palestina e, più in generale, perché tentò di rovesciare un sistema di potere. Un campo di battaglia, il nostro, a tratti tanto ridicolo quanto clientelare. Il risultato è una guerra tra gang che passa dal livello regionale a quello cittadino con una disinvoltura che, se non fosse tragica, sarebbe teatrale.
Ed è in questo scenario – purtroppo attraversato da solitudini politiche che si guardano in cagnesco ma non si ascoltano – che occorre tornare a ragionare. Perché la sinistra deve tornare a essere, con coerenza, portavoce dal basso di quelle istanze, movimenti e valori che ne hanno costituito l’origine, il motore e, in tempi migliori, l’orizzonte storico.
In questa prospettiva, l’urgenza, oggi, non è solo quella di decostruire retoriche narrative di comodo e le derive conseguenti, ma di adottare un metodo. Un metodo che sia orizzontale, aperto al ripensamento, capace di infrangere le gerarchie consolidate e riconfigurare il concetto stesso di “potere” – per dirla da femminista – non come verticalità ineluttabile, unicamente partitica, personale, ma come relazione da redistribuire, da ricomporre in chiave comunitaria e radicalmente intersezionale. Parlare oggi di sinistra, allora, significa parlare anche di cura, nel senso che J. Tronto attribuisce al termine, come pratica politica, come struttura democratica e non semplice esercizio compassionevole. La cura come fondamento della convivenza, della redistribuzione, dell’attenzione concreta ai bisogni materiali e simbolici delle persone. La cura come pratica cittadina di riconoscimento, accoglienza eguaglianza, libertà.
Cura che si traduce nella nostra Città: nella capacità di affrontare il tema dell’abitare e dei costi insostenibili delle case, la marginalizzazione delle periferie, la gestione ambientale. Serve un modello di sviluppo sostenibile che metta al centro le persone, non il profitto, a partire da un turismo consapevole, destagionalizzato, capace di valorizzare il territorio senza consumarlo. I Sassi non possono essere solo un presepe o un palcoscenico cinematografico: è necessario avere cura del patrimonio, ma soprattutto di chi lo vive ogni giorno. Una città giusta è anche una città che si dota di un piano urbanistico orientato al bene comune, che migliori la qualità della vita e non si limiti a estendere le aree edificabili.
E se alcuni di questi sono già nei programmi condivisi, devono essere guidati da logiche e valori di giustizia sociale, economica e ambientale. Per questo essere di sinistra, oggi, non può ridursi alla retorica di chi da trent’anni frequenta indistintamente logiche di potere e rendite di posizione.
Nel 2026 Matera potrebbe ricoprire un ruolo di grande rilevanza: diventare ponte tra identità locali e mediterranee, come Capitale Mediterranea della Cultura e del Dialogo. A questa parola, cultura, sarà fondamentale affiancare quella di pace: perché una vera cultura del Mediterraneo non può che essere anche cultura della pace. Nei prossimi giorni, la città inizierà già a dare corpo a questo spirito attraverso iniziative dal forte valore sociale: come “100×100 Gaza”, la piazza per i referendum della CGIL sabato 12 aprile, e lo spettacolo “Reietti”, che denuncia la realtà dei CPR, promosso da NUDM e da diverse reti sociali della Basilicata.
Per questo, la sinistra deve ridefinirsi non per opposizione reattiva, ma per valori e metodi. E, proprio questo elemento metodologico costituisce il secondo passaggio che intendo sollevare: lo slittamento strutturale dal partito al civismo. Il cosiddetto “popolo di sinistra”, almeno a Matera, non è tanto politicamente alienato quanto profondamente frammentato in un arcipelago di associazioni, reti mutualistiche, laboratori territoriali che, in assenza di una cornice politica in grado di rappresentarli, sopravvivono nella parcellizzazione, nella micro-risposta della significanza locale. È in questa micro-politica, che si deve fare mediazione istituzionale e visione d’insieme, che oggi risiede la possibilità di una rigenerazione della sinistra, perché lì c’è ancora senso, impatto, radicamento.
E allora, invece di contendersi un trono simbolico che non ha più sudditi, la sinistra dovrebbe tornare a nuotare tra la gente, nei territori, tra le associazioni, nelle contraddizioni vere delle vite quotidiane. Non come forma nostalgica, ma come procedura costituente, capace di saldare partecipazione e visione; altrimenti, sarà un altrove neutro, sterilizzato, insapore. E queste primarie passate, svuotate di una visione politica, ne sono il risultato evidente.
Ed è rischioso perché, in questa confusione tra destra e sinistra, in queste strumentalizzazioni che vogliono guerre intergenerazionali e intragenerazionali, si perde la percezione di ciò che c’è dietro e il fondamentale pensiero e senso critico. Dietro un’elezione comunale c’è una rappresentanza regionale. Dietro una rappresentanza regionale ci sono scelte legislative come l’autonomia differenziata. E, dietro questa, ci sono, deducendo i passaggi, modelli di sanità pubblica o privata, sistemi educativi divisi di serie A e serie B, diseguaglianze o politiche sociali, logiche redistributive o privatistiche.
Insomma, mentre destra e sinistra sembrano scomparire nel discorso pubblico, ricompaiono con forza tanto più si risale la scala istituzionale nelle decisioni macro: nelle politiche di riarmo europeo, nella gestione dell’inflazione, nelle politiche abitative, nella sanità, nel lavoro, nell’economia reale. La posta in gioco è altissima e continua a definirsi lungo un asse ideologico, anche quando si fa finta che non sia più così.
Questo è, forse prima di tutto, un appello alla Sinistra. Parlate a sinistra. Ricominciamo a organizzarci. Perché altrimenti quest’accozzaglia opportunistica, riconfezionata con cura da Pittella, rischia di apparire come l’unica via possibile. Per inciso, alle primarie di domenica scorsa, dai contorni per certi versi machiavellici, hanno partecipato anche partiti che, a livello nazionale, promuovono con convinzione politiche di riarmo, in netto contrasto con i principi del dialogo, della cooperazione e del sostegno alle politiche sociali.
E allora, invece di continuare a frammentarsi, perché non costruire qualcosa di realmente credibile? Anche se non servisse a vincere subito, la coerenza nei valori è fondamentale per tracciare la strada del domani. I tempi non sono a favore, lo so. Ma potrebbero diventarlo, lavorandoci unitamente, testardamente e con continuità.”

Vito Bubbico
Vito Bubbico
Iscritto all'albo dei giornalisti della Basilicata.
RELATED ARTICLES

Rispondi

I più letti