Riceviamo e pubblichiamo a seguire da Chiara Saponaro una nota in merito alla iniziativa che sta caratterizzando, almeno in questa prima fase, il percorso elettorale delle amministrative nella Città dei Sassi e che vedrà la sua celebrazione domenica con delle primarie promosse da “100 giovani” e in cui si consumerà la scelta tra cinque contendenti (nessuno dei quali espressione dei promotori) che si sono proposti per la candidatura a Sindaco (Nicola Casino, Roberto Cifarelli, Paolo Grieco, Cinzia Scarciolla e Adriana Violetto). Iniziativa che ha portato a costituire sostanzialmente un polo anomalo e trasversale che ha prodotto rotture negli schieramenti classici, raccolto consensi e critiche e che continua a far discutere. Dal punto di vista della giovane Chiara Saponaro, ad esempio, in questa operazione non si vede alcuna novità e, scrive “più che un’epopea eroica, sembra un’operazione di marketing destinata a concludersi come le truppe di Leonida, solo senza l’onore della disfatta.” E ancora “Un esercizio estetico che illude, ma non trasforma. Se dietro ci sono sempre le stesse logiche, se i candidati restano quelli che hanno ignorato i beni comuni e svenduto il territorio a palazzinari, prodotto degrado ambientale, consumo di suolo, turistificazione spinta, sub-concessioni a buon mercato nei Sassi per i ricchi, gentrificazione delle periferie per i comuni mortali e, soprattutto, alienazione dei cittadini dai processi decisionali, il risultato è un déjà-vu con effetti speciali.” Denunciando come “Il termine “giovani”, ormai svuotato e abusato, funge da etichetta retorica per un’operazione che di nuovo ha ben poco.” Una constatazione amara, perchè conclude “nella mia generazione – disgregata, alienata e spesso ignorata – io ci credo ancora.” Ed essa più che “inventare nuovi percorsi istituzionali (che, tra l’altro e in questa vicenda, nemmeno ci sono)” dovrebbe impegnarsi a “riconoscere e valorizzare anche quelli virtuosi che già esistono; per mettere in discussione quei meccanismi – visibili e invisibili – che da anni tengono in ostaggio la Basilicata.”
Ma quali Primarie? L’arte di cambiare tutto per non cambiare nulla “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.” (Il Gattopardo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa)
Secondo il primo principio della termodinamica, l’energia non si crea né si distrugge, ma si trasforma. E così accade anche nel trasformismo della politica materana: i metodi si aggiornano, almeno in apparenza, con l’introduzione di strumenti partecipativi come gli hackathon – una sorta di gioco da tavolo rivestito di lessico innovativo – ma i soliti noti, al di là del colore politico, restano sempre al centro della scena.
Nessuna novità, o meglio: nessuna vera discontinuità.
Invece di avviare un autentico processo di ascolto, partendo dai bisogni quotidiani di chi abita la città e da chi lavora da anni nei territori, invece di costruire alleanze su programmi già esistenti (e non parlo certo di quelli dei partiti), si è preferita una pièce corale senza regia, dove attori con copioni – almeno sulla carta – inconciliabili si sono ritrovati sulla stessa scena più per paura di restare fuori dallo spettacolo che per reale affinità. Almeno, si spera siano naufragati. Perché l’alternativa è pensare che non distinguano più nemmeno dove stanno, né perché, e che abbiano smarrito persino il senso e la direzione politica, se mai ci sia stata.
Ci si entusiasma per i cosiddetti “100 giovani”, evocati come un esercito spartano, chiamati a rappresentare il nuovo corso. Ma a ben vedere, più che un’epopea eroica, sembra un’operazione di marketing destinata a concludersi come le truppe di Leonida, solo senza l’onore della disfatta. Perché di eroico – anzi, di stra-ordinario – non c’è nulla. Solo una narrazione confezionata a tavolino, un copy mal riuscito di campagne di rinnovamento che si auto-screditano già alla prima curva a…destra.
Il termine “giovani”, ormai svuotato e abusato, funge da etichetta retorica per un’operazione che di nuovo ha ben poco. La giovinezza non garantisce saggezza, né la vecchiaia nega la capacità di rinnovarsi. Il problema non è l’anagrafe, ma l’assenza di contenuti, di reale preparazione e di visione. L’assenza, soprattutto, di un rapporto vivo e pragmatico con i territori e con le lotte che li attraversano.
Tutto cambia perché nulla cambi, come insegna Tomasi di Lampedusa. E finché non cambiano le strutture – i meccanismi reali di partecipazione, la distribuzione del potere, i candidati e le varie parentele familiari– il cambiamento resta solo un maquillage della realtà. Un esercizio estetico che illude, ma non trasforma. Se dietro ci sono sempre le stesse logiche, se i candidati restano quelli che hanno ignorato i beni comuni e svenduto il territorio a palazzinari, prodotto degrado ambientale, consumo di suolo, turistificazione spinta, sub-concessioni a buon mercato nei Sassi per i ricchi, gentrificazione delle periferie per i comuni mortali e, soprattutto, alienazione dei cittadini dai processi decisionali, il risultato è un déjà-vu con effetti speciali.
Il cambiamento, quello reale, non si annuncia a ridosso delle elezioni. Si costruisce nel tempo, giorno dopo giorno, nei territori, nei quartieri, nelle associazioni, nei movimenti e nelle mediazioni politiche e istituzionali che nascono dal confronto con i cittadini e le loro rappresentanze dal basso. Ma si costruisce anche, e soprattutto, a partire da una direzione politica chiara non cercando consensi ovunque, sacrificando coerenza e giustizia sull’altare dell’opportunismo.
E poi c’è un altro racconto, forse un’altra gioventù adulta in cui mi riconosco, che con questa narrazione fatica a identificarsi. Quella a cui non interessa l’età, ma i valori che ancora prova a praticare. Quella che non scende a tali compromessi, quella che ha lottato – spesso in pochissimə – per l’acqua pubblica, per l’ospedale, per i quartieri, per i migranti, per la Murgia, per il riconoscimento di tuttə. Quella che “qualcosa di sinistra”, come dice Moretti, lo vuole ancora dire. Giovanə e non, che oggi si sentono -salvo rare eccezioni- per niente rappresentati da questi cento, che più realisticamente somigliano a una compagnia di giro allargata, tra amici, conoscenti e qualche parente.
E lo dico con amarezza, perché “viviamo in tempi bui” per la sinistra e per la Politica, in generale. E perché nella mia generazione – disgregata, alienata e spesso ignorata – io ci credo ancora. Perché fare politica non significa solo inventare nuovi percorsi istituzionali (che, tra l’altro e in questa vicenda, nemmeno ci sono), ma riconoscere e valorizzare anche quelli virtuosi che già esistono; per mettere in discussione quei meccanismi – visibili e invisibili – che da anni tengono in ostaggio la Basilicata. Anche oggi, anche adesso, anche in questa campagna elettorale per mostrare con onestà -anche quando fa male- qual è la vecchiaia che ci interessa scardinare: quella strutturale. Quella che abita nei paradigmi stanchi, nelle pratiche logore, nelle formule riciclate che continuano a svuotare questa città. Retorica, narcisismi, antiche strategie e molta poca sostanza.
Matera merita di più anche – e soprattutto – da noi, e per noi giovanə.“

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