Quello pronunciato dal 47 Presidente USA più che un discorso di insediamento è sembrato una vera e propria seduta psicanalitica che ha svelato in modo rude, senza le finzioni dei suoi predecessori, la realtà degli Stati Uniti, ovvero uno dei paesi più gretti, più disuguali, con meno opportunità e possibilità di emancipazione. Un paese violento che si porta dentro tutte le derivanti pulsioni sino alla pretesa che il mondo debba girare secondo le proprie convenienze. Il bello ora è che Trump (per altro il primo presidente Usa pregiudicato) fa apertamente -senza infingimenti- quello che tutti i precedenti presidenti, compreso quelli democratici, lo hanno fatto accampando alti ideali ideali (esportare la democrazia, liberare le donne, combattere il terrorismo, proteggere gli ebrei dagli antisemiti, proteggere da presunte armi di distruzioni di massa), ovvero, fare i propri interessi. Sostenendo il colonialismo violento degli alleati strategici, appropriandosi delle risorse di altri paesi, scatenando pseudo rivoluzioni e armando pseudo resistenze, secondo convenienza. Il bello di Trump, come dicevamo, è che non accampa scuse, dice apertamente di farlo per arricchire gli americani, mettendo ad esempio i dazi alle produzioni delle altre nazioni, e nell’apice della sua megalomania ha svelato di farlo per “mandato divino“. E’ il sogno americano che tanto ha ammaliato gli “utili servitori” di casa nostra, ma che ora sembrano alquanto disorientati da tanta chiarezza espositiva che ha il pregio di squarciare quel velo dietro cui costoro hanno tenuto queste verità nascoste nel mentre ci convincevano a seguire le loro scellerate servili decisioni. Come andrà a finire? Non bene, perchè questa situazione richiederebbe la presenza di statisti in questa Europa che si è completamente appiattita sull’atlantismo, annullandosi come entità autonoma e quindi oramai incapace di discutere da pari a pari. Rischiamo di rimanere annichiliti in un lup di coazione a ripetere degli errori sin qui compiuti. Speriamo che ce la caviamo in qualche modo. Nel frattempo godetevi questa analisi del discorso di insediamento di Trump tra il serio e il faceto pubblicato sul proprio profilo da Francesca Fornario (giornalista e autrice satirica, collabora -tra le altre cose- al programma radiofonico Un giorno da pecora) che vi raccomandiamo vivamente.
“Durante il discorso di insediamento Trump ha promesso di “proteggere” gli americani dagli immigrati dipinti come “invasori”, molti dei quali “criminali usciti di galera e dagli istituti per malati psichiatrici”, che hanno invaso il paese e usato violenza contro i suoi cittadini.
Concordo, ma ormai è tardi per riportare in vita i nativi americani.
Tralasciando il dettaglio comico che la maggior parte dei membri del gabinetto Trump, compreso Trump, è nipote di stranieri provenienti da diverse parti del mondo, Trump ha letteralmente rivendicato il colonialismo come valore fondativo degli Stati Uniti, con annesso genocidio. Più che un discorso di insediamento, una seduta psicanalitica:
«Lo spirito della frontiera è iscritto nei nostri cuori (…) I nostri antenati si spinsero per migliaia di chilometri attraverso una terra aspra e selvaggia. Attraversarono deserti, scalarono montagne, affrontarono pericoli indicibili, vinsero il selvaggio West».
VINSERO IL SELVAGGIO WEST. Buffalo Bill, scansate proprio.
Dalla stessa visione colonialista e suprematista scaturiscono, oltre che il sostegno a Netanyahu (che infatti approfitta della tregua a Gaza per proseguire con l’annessione illegale della Cisgiordania, obiettivo appena confermato dal ministro israeliano Smotrich: sette morti ammazzati dall’esercito israeliano nelle ultime ore) le argomentazioni a favore del cambiare nome al golfo del Messico in Golfo Di America o l’appropriazione – se occorre anche con la forza militare, ha precisato Trump in altra sede – del canale di Panama per non farci passare le navi cinesi. Pazienza se il canale appartiene a Panama, repubblica e stato sovrano, del resto creato oltre 100 anni fa dagli Stati Uniti con il solito giochino dei golpe mascherati da rivoluzioni in territori incidentalmente ricchi di risorse naturali o strategici per i traffici commerciali.
Trump fa apertamente quello che i presidenti democratici hanno fatto accampando ragioni ideali (liberare le donne, combattere il terrorismo, proteggere gli ebrei dagli antisemiti): sostiene il colonialismo violento degli alleati strategici, si appropria delle risorse di altri paesi, arma e scatena rivoluzioni e resistenze secondo convenienza (le guerre al cosiddetto terrorismo post 11 Settembre hanno provocato oltre 4milioni e mezzo di morti, stima la Brown University). Invece di accampare scuse, Trump lo fa per MANDATO DIVINO.
Ha infatti letteralmente spiegato di essere oggi alla guida degli Stati Uniti per volontà di Dio. Al pari di un sovrano medioevale (o di un ayatollah, a seconda del dio di riferimento):
«My life was saved for a reason. I was saved by God to make America great again».
Ed è pronto a ricambiare il favore: «We will not forget our country, we will not forget our Constitution, and we will not forget our God».
(“Our God”. Il nostro. Gli Dei degli altri, fuori. Brividi. Oh, qui magari ci metto del mio che rispetto chi nutre un sentimento religioso ma anche chi crede all’oroscopo e sono per la libertà di culto ma terrei la superstizione alla larga dalle istituzioni democratiche e dalle loro cerimonie ufficiali. Ma poi Melania che si presenta col velo non lo sa che c’è il Muslim ban? Boh).
Trump, a differenza dei presidenti democratici che promettono e non mantengono la riduzione delle emissioni, promesso al contrario di trivellare come se non ci fosse un domani (di questo passo, non ci sarà): «Drill, baby, drill!!», ha scandito, come da slogan della governatrice dell’Alaska e candidata vicepresidente nel 2008 al fianco di John McCain Sarah Palin, slogan che deforma il titolo di una struggente canzone dei Suicide (autori pure di una canzone su Che Guevara, ma vallo a spiegare a una fanatica antiabortista pro armi che da sindaca fece fuori dalla biblioteca i libri che secondo le autorità evangeliche corrompevano le menti dei giovani).
Tra i primi atti di Trump, l’uscita degli accordi sul clima per estrarre combustibili fossili e trivellare il sottosuolo senza più limiti. Il piano è attaccare la Cina di sorpresa sbucando da sotto.
«Saremo l’invidia di ogni nazione!» Promette. (Mi sa che abbiamo letto un vangelo diverso: sarà che prima di diventare atea li ho studiati a fondo tutti e non mi pare che la morale fosse “suscita invidia nel tuo prossimo”, semmai amalo come te stesso).
Ma ceeeerto Donald, quale nazione civile non ne invidierebbe un’altra totalmente priva di assistenza sanitaria gratuita, una nazione dove l’istruzione pubblica è di infimo livello (alle superiori, la Geografia è prevista in poco più di una decina di stati), una nazione che lascia morire i propri cittadini di diabete se non hanno i soldi per pagare l’insulina perché i soldi pubblici servono per andare a piantare la bandiera su Marte e aumentare la produzione di armi che si traduce in guadagni per pochi miliardari a discapito dei poveri cristi mandati al macello? Una nazione dove a causa delle mancate cure per chi non può pagarle l’aspettativa di vita è di 76 anni, la più bassa dal 1996, sette anni più bassa di quella italiana? Una nazione dove non si riescono a domare gli incendi perché non ci sono abbastanza vigili del fuoco? Una nazione dove chiunque può girare armato e ogni volta che tuo figlio va a scuola rischia di essere ammazzato da uno squilibrato che apre il fuoco? Che invidia!)
Dopo aver spiegato che la prima emergenza è quella del confine con il Messico (non quella dell’assenza di copertura sanitaria, degli incendi e degli altri effetti del mancato adeguamento infrastrutturale al cambiamento climatico…), Trump promette di affrontare l’inflazione, che ovviamente attribuisce all’eccesso di spesa invece che all’eccesso di profitti che fa lievitare il patrimonio dei miliardari. Come? Con i tagli alla spesa pubblica e con i dazi, «tassando gli altri invece di tassare gli americani», dice perché tassare gli americani ricchi e non quelli poveri per redistribuire la ricchezza è una cosa troppo di buon senso per uno che giura di essere l’incarnazione del buon senso: «We will begin the complete restoration of America and the revolution of common sense. It’s all about common sense».
Assicura poi libertà di parola, applaudito dall’editore del social che ha sospeso migliaia di account pro Palestina e che quando è il suo momento di pronunciare un discorso solenne fa il saluto romano (sì, era un saluto romano, come conferma il suo uomo in Italia). Che infatti, se dici libertà di espressione, pensi al Fascismo, che prima di perseguitare gli ebrei e gli omosessuali ha perseguitato gli oppositori politici, i giornalisti, i sindacalisti e, per evitare che esprimessero liberamente il loro pensiero, li ha ammazzati a decine. E sì, quanto a censura FaceBook ha fatto peggio di X ma, per farsi perdonare, Mark Zuckerberg ha pagato la cerimonia di insediamento di Trump insieme all’editore di Repubblica John Elkann, all’editore del Washington Post Jeff Bezos: tutti progressisti incidentalmente miliardari come il miliardario Trump e il miliardario Musk. Mi domando come mai nelle scuole americane non si studi a fondo la storia, l’economia, la geografia. Sia mai che poi uno unisce i puntini.
Trump usa la religione, il genere, la cittadinanza come terreni per erigere muri e canalizzare la rabbia degli sfruttati sfruttando la loro ignoranza la colpa è dunque del Gender, degli stranieri criminali e psicolabili non certo dei miliardari che mandano al macello i poveri cristi.
«The american dream will soon be back», promette Trump. Peccato che il sogno americano, inteso come opportunità, non sia mai esistito. Come la meritocrazia, l’orgoglio, l’invidia, le radici, la loto al gender: è solo paccottiglia ideologica per impastare l’ignoranza, la frustrazione, la credulità dei poveri e tenere la loro rabbia lontana dai propositi di rivolta contro i loro sfruttatori. È uno slogan che non corrisponde alla realtà. Nella realtà, gli Stati Uniti sono uno dei paesi più disuguali, con meno opportunità e possibilità di emancipazione. In media, uno straniero privo di risorse che arriva negli Stati Uniti, ci mette sette generazioni a emanciparsi dalla povertà. Peggio che in Italia, dove sono necessarie 5 generazioni per passare da una fascia di reddito basso al reddito medio nazionale.”

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