mercoledì, 11 Settembre , 2024
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VIETATO PRONUNCIARE IL NOME DEL DIO DEL DIRITTO ESCLUSIVO – a margine del Convegno con l’arch. Cervellati

Partecipare a incontri, convegni, seminari incentrati sulla trasformazione urbana e territoriale in genere – dalla valutazione del costruito alla programmazione – a me, ormai da tempo, fa venire l’orticaria!

Alla fine dell’incontro, un vago senso di nausea per l’ossessività delle invocazioni di regole di comportamento che dovrebbero ricondurre gli appetiti speculativi al bene comune; sottacendo i meccanismi e i processi cui gli appetiti s’ispirano e sapendo che non s’è smesso di parlarne da almeno centocinquanta anni! E che nelle aule universitarie i futuri architetti, ingegneri, economisti hanno certamente sorbito lezioni sulla rendita monopolistica di tipo localizzativo. E invece parlare di monopolio sembra tabù! Mi chiedo, se non s’afferrano i meccanismi con cui si forma la rendita di tipo monopolistico su un luogo, una produzione, un bene unico – di tipo culturale com’è il caso dei Sassi di Matera, come si può legittimamente avere la presunzione di salvaguardarne i tratti distintivi?

Uscendo l’altro giorno dal Convegno-seminario La città resiliente con Pier Luigi Cervellati a Palazzo Lanfranchi continuavo a chiedermi se i tanti architetti e ingegneri intervenuti fossero ignoranti o semplicemente frastornati dalle complicate modalità con cui le tradizioni locali vengano assorbite nei calcoli dell’economia politica attraverso gli sforzi per creare rendite di monopolio e pongono la questione di come molto dell’attuale interesse per l’innovazione culturale sia collegato al desiderio di estrarre e appropriarsi di queste rendite. A poco o nulla m’è parso son valsi gli sforzi fatti da alcuni relatori per indirizzare il ritmo dei lavori alla comprensione di quei meccanismi. Te ne torni a casa con la testa piena di farfalle, allineate l’una a fianco all’altra, un volo privo di qualsiasi coordinamento: ma una idea critica ce la possiamo dare, o no?

E’ così difficile dire che sotto le apparenze del mercanteggiare, della competizione, c’è sempre una certa tensione potenziale tra il fatto che un bene sia ‘unico’ e il suo sfruttamento commerciale; come anche la sua replica da parte del mercato? Inoltre, se è vero che la competizione tende sempre al monopolio (essendo una lotta, e il monopolio il suo premio) allora bisogna aver ben presente che la liberalizzazione tende sempre a rovesciarsi nel suo contrario.

Questo è un punto capitale, facilitare le comunicazioni e la “compressione spazio-temporale” tende normalmente alla creazione di monopoli più grandi, di tipo globale. Dunque la pura concorrenza ed il libero scambio sono strutturalmente instabili, e questo avviene a tutti i livelli. Se si comprende il contesto spaziale nel quale si realizzano i processi si vede che anche i piccoli esercizi economici “competitivi”, in effetti, riescono ad essere redditivi grazie allo sfruttamento di protezioni e privilegi, sono in effetti piccoli monopoli locali. Protezioni e privilegi determinati dalla struttura dello spazio (dati storicamente dai costi elevati dei trasporti e delle comunicazioni, mentre l’eliminazione degli ostacoli istituzionali al commercio (protezionismo) ha diminuito pure le rendite di monopolio che con tali mezzi ci si può procurare). In effetti: solo il monopolio giustifica il profitto e quindi, oggi, l’esistenza di un’offerta. In condizioni realmente competitive (che sono un idealtipo) il profitto scompare e quindi anche il mercato stesso scomparirebbe.

È allora che la tendenza, propria del capitalismo globale, “all’annientamento dello spazio attraverso il tempo” – come direbbe Harvey, si manifesta per la sua forza; la condizione di abilitazione è la perdita delle protezioni e privilegi di industrie e servizi locali determinata in primo luogo dallo spazio stesso perché costrette all’improvviso a competere con produttori di altri luoghi, via via sempre più lontani (e dunque numerosi).

Ma il capitalismo non può fare a meno dei poteri monopolistici e tenta di riassemblarli , ci ammonisce Lefebre. Così, tutte le caratteristiche descrivibili credibilmente come “locali”, e quindi rare o irriproducibili, sono esse stesse sfruttabili per creare e proteggere rendite di monopolio e questo vale, in condizione di piena mobilità anche, e tanto più, quando gli operatori sono internazionalizzati (si pensi alle strategie di marketing territoriale e alla relativa attrazione di capitale per investimenti diretti a mercati sovralocali).

Le ‘macchine per la crescita urbana’ sono dunque una cosa di questo genere: orchestrazione dei processi di investimento e fornitura di investimenti pubblici chiave, nel luogo e nel momento giusto, il cui scopo è di avere successo nella competizione interurbana e interregionale. Si valorizza qualche caratteristica, rendendola unica anche a mezzi di idonei investimenti, al fine di attrarre i capitali mobili. Del resto questo, in senso generale, è tipico dell’intera esperienza urbana e del suo ruolo nel processo di accumulazione capitalista.

Questo è accaduto anche alla nostra cittadina, in particolare con l’evento di Matera Capitale Europea della cultura. Ci si è impegnati alla valorizzazione di beni posizionali e distintivi (il particolare carattere dei Sassi, la loro storia unica: il preteso marchio di città preistorica – una comunità all’epoca costituita da pochi nuclei familiari?!,  l’ambiente sociale, etc.), giocando sulla autenticità e unicità.

E Rischiamo, però, di distruggerla: un processo di anomia iniziato già con gli esiti socialmente disgreganti del Risanamento dagli anni Cinquanta. E nei Sassi, nonostante la felice intuizione del Gruppo di progettazione guidato da Tommaso Giuralongo (mutuata proprio dai lavori di recupero e riuso degli antichi rioni bolognesi ideati e realizzati da Pier Luigi Cervellati – all’epoca assessore-progettista), certo non solo non vi abitano più le stesse persone, dunque non c’è più lo stesso ambiente sociale che ne costituiva, in ultima analisi, il valore. Oggi, resiste sempre meno la stessa residenza abitativa, soverchiata com’è dai B&B e da segni evidenti di disneylandizzazione che omologano inesorabilmente anche i Sassi.

Questo processo imposto a Matera dalle logiche della rendita monopolistica di tipo localizzativo (per non parlare dell’accelerazione temporale che complica ancor più il quadro, procurando ulteriori incrementi nei profitti) e dal campione postmodernista nella gestione del patrimonio culturale nazionale, il ministro Franceschini, è stato acriticamente introiettato dalle istituzioni locali – dalle Sovrintendenze eterodirette alle Giunte “milazziane” interessate al ‘fare’ senza pensiero critico. Matera Capitale Europea della Cultura 2019 è stata – secondo me – un’occasione storica mancata. Una storia che dal mio punto di vista ho già raccontato proprio su questo Giornalemio

Quel che è accaduto in Città si ripete oggi sull’Altipiano murgico – identico il regista – attraverso Agenzie e imprese specializzate nel recupero storico-paesaggistico tanto improbabili quanto arroganti e proterve. Han devastato il sito aprendo nuovi ‘sentieri’ (cioè strade in sostituzione di percorsi storici a piedi o tutt’al più a dorso di mulo) che portano dove? Hanno tombato chiese, costruito muri, posto sigilli dappertutto …  E così han distrutto proprio l’unicità del luogo!

Dovremmo tutti democratizzare la democrazia, questa mi pare oggi l’unica risposta strategica possibile per sfuggire allo snaturamento definitivo culturale e produttivo dei nostri luoghi, all’incapacità, alla connivenza  della becera politica. Cioè farci carico della fatica della transizione socio-ecologica e della gestione delle inevitabili contraddizioni per cui mentre marciamo verso il nuovo, verso la cooperazione per ridurre sempre più i pericoli della competizione, dobbiamo riparare il vecchio. La regolamentazione della vita dei Quartieri con poteri effettivi, il Progetto locale di sviluppo – inteso quale rovesciamento del rapporto tra la produzione e i luoghi, cosicché il territorio dei luoghi non siano più supporto delle attività produttive, ma esso stesso studiato come generatore “corale” dei loro caratteri, anche attraverso un nuovo protagonismo dell’istituzione locale, potrebbero stimolare la salvaguardia, la cura della Città e del territorio che la ricomprende.

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