Tre passeggeri in silenzio, che attendono di partire nella nuova stazione di Matera Centrale delle Ferrovie Appulo Lucane e magari con il ‘’batti cinque’’ atteso per il taglio del nastro di lunedì 13 marzo, con il gran pavese per il lieto di evento. Ma per Pasquale Doria, consigliere comunale, studioso di storia locale, che ha fatto sangue amaro sui silenzi istituzionali sugli scempi di Murgia Timone e della Megapensilina avveniristica ma impattante di piazza della Visitazione, c’è poco da festeggiare. Soprattutto se le cose sul treno della competitività, per una città turistica come Matera, sono rimaste allineate su quel binario in solitudine. Degno di essere rappresentato dal tratto dei quadri del silenzio di Edward Hopper. E nel quadro inaugurale del 2023 c’è tanta ipocrisia all’insegna di quel ‘’ Va bene,va bene così’’ per dirla con un noto brano di Vasco Rossi. Ma lui va al massimo ( altro brano di successo) mentre Matera è come una ‘’ Bella addormentata sul posto’’(avete letto bene) che aspetta arrivi quel treno dei desideri, tinto di ‘’Azzurro’’ sognato da Adriano Celentano. Doria è abituato a indignarsi (altri che dovrebbero farlo poseranno per il consueto selfies o si uniranno al coro formato da famiglie allargate che plaude al ritmo di ‘’ battiam battiam le mani’’) e dice che non c’è nulla da festeggiare. Anzi servirebbe riflettere. Matera ha bisogno di progettualità, di autonomia e di un disegno di città concreto e meno ipocrita dell’attuale.
CONTRO LA SECOLARE IPOCRISIA DELLE FAL.
MA COSA C’È DA FESTEGGIARE
Da qualche giorno rimurgino sul significato di un annuncio variamente strombazzato. “Arriva un nuovo treno delle Fal”. Nuovo? Perché, se tutto il resto è concettualmente vetusto, arcaico, inattuale? Forse per la ragione che la logica imperante delle apparenze ha travolto ogni principio di realtà, quindi, deve per forza prevalere l’apparire invece dell’essere?
La voglio prendere da lontano, anche se il passaggio casuale dalla Stazione centrale, la pensilina – come la chiamiamo ormai familiarmente noi materani – mi ha portato a osservare con sgomento i binari sottostanti. L’affaccio sulla banchina quasi deserta, la luce livida dell’ultimo pomeriggio, il freddo mi hanno messo addosso una profonda malinconia. È partita spontanea anche una prepotente digressione. Osservavo le uniche tre persone presenti aggrappate a un telefonino e, per una curiosa analogia temporale, mi chiedevo da quanto lontano viene un’emozione che ci interroga da sempre. Racconta un’attesa paziente, lunga millenni e ancora non conosciamo tutto della sua storia. La grande sepoltura a Murgia Timone, mi ha letteralmente catapultato tra i suoi gorghi concentrici. Cerchi che guardano al cielo in cerca di risposte che chissà quando e se mai arriveranno. Ma loro non viaggiano su binari a scartamento ridotto, non ne hanno bisogno, dialogano direttamente con le stelle sopra di noi.
E allora? Sono tornato con lo sguardo sulla banchina e, meccanicamente é partito un ulteriore corto circuito. Lentamente, hanno iniziato ad affiorare dal mio inconscio le immagini senza tempo di Edward Hopper, i suoi famosi dipinti sulla solitudine. Non voglio farla difficile. Davanti agli occhi avevo l’immagine reale di una passeggera, stanca, forse rassegnata. Per un attimo, ho provato a sostituirmi a lei e a scrivere quello che avrei voluto, o potuto, esprimere io in quella desolante condizione di sospensione.
Che ci faccio qui? Attendo, perso nelle spire di una mancata cognizione del tempo. Attendo solitario, seduto, ogni minuto che passa lento e grave. L’angoscia che mi consuma ha il peso di una storia antica, dolorosa perché irrisolta, iniziata addirittura nel lontano Ottocento. Una distanza che attanaglia e lacera l’anima. Ma nessuno di noi immagina quanto ancora dovremo aspettare, né se ciò che attendiamo mai arriverà. Lo chiediamo a noi stessi per superare attese umilianti, per trovare la forza di resistere che, nonostante tutto, ci fa sentire presenti, anche quando intorno è un alternarsi di abissali assenze e silenzi. Attendiamo lì, insieme a quei rari pendolari, siamo dalla loro parte ed è certo che non ci arrenderemo, che non resteremo in silenzio. Non può essere diversamente, non possiamo rallegraci di alcunché. Non è proprio possibile. Almeno questo vorrei che sapessero i signori dei binari orgogliosamente in festa per un nuovo treno.
