Scava scava nella memoria di quanti,direttamente o indirettamente, hanno seguito, promosso o si sono impegnati perchè spirasse anche a Matera il vento della rivoluzione per l’applicazione della legge 180 sulla abolizione dei manicomi,ed ecco venir fuori ricordi e alcune foto del passaggio di Marco Cavallo. Quell’infaticabile equino divenuto il simbolo di riscatto di una comunità, che voleva montar in groppa alla riforma e recuperare quella dignità di ‘’persona’’ ,chiusa a doppia mandata nei manicomi. E così le foto in bianco e nero del servizio, con una nota di Teresa Ambrico, che spiega la storia di Marco Cavallo e l’esperienza triestina di Franco Basaglia, sono un contributo a riflettere su quanto è stato fatto nella nostra provincia e quanto si rischia di perdere, se si continueranno a tagliare servizi e a mettere da parte una esperienza unica. Dimenticavamo le foto, realizzate da qualcuno- che ringraziamo- che comunque aveva a cuore quell’evento. Ricordi. Ci piacerebbe potuto rivedere quella scultura basagliana che era all’ingresso della ex mediateca del Palazzo dell’Annunziata, della quale abbiamo parlato nell’ottobre del 2020 in un articolo sul ridimensionamento dei servizi di salute mentale https://giornalemio.it/cronaca/e-i-servizi-di-salute-mentale/. Chi l’ha vista?
❤️STORIA DI MARCO, IL CAVALLO PRIMA VERO E POI DI LEGNO CHE FRANCO BASAGLIA GETTÓ CONTRO LE PORTE DEL MANICOMIO DI TRIESTE PER LIBERARE I SOGNI E I SENTIMENTI DEI MALATI PSICHIATRICI
Tutto cominciò con una lettera che gli internati del manicomio di Trieste fecero recapitare al presidente della provincia, il 12 giugno 1972. Un accorato appello per evitare che Marco, il cavallo che dal 1959 era adibito al trasporto di vari materiali all’interno della struttura manicomiale, finisse i suoi giorni al mattatoio. Vergata come se fosse stato lo stesso equino a metterla nero su bianco, la missiva specificava che gli internati si sarebbero presi cura dell’acciaccato destriero sia economicamente che materialmente, accudendolo come un fratello fino alla fine dei suoi giorni.
Una lettera bellissima che dimostrava come i malati psichiatrici, tra i più discriminati ed emarginati nella società, erano capaci di interessarsi alla vita e alla felicità di qualcun altro, per giunta di una specie diversa.
La lettera ebbe successo, Marco evitò la morte (fu sostituito da un autocarro) e ripagò gli internati con grande affetto per il resto della sua permanenza nell’istituto.
La storia, già bellissima, potrebbe finire qui, ma invece prosegue e diventa ancora più straordinaria. Si perché l’abbiamo detto, era il 1972 e al manicomio di Trieste dall’anno precedente era arrivato Franco Basaglia. Il direttore, che avrebbe rivoluzionato la psichiatria, su suggerimento del cugino Vittorio, promosse la costruzione di un cavallo di legno. Alla realizzazione dell’opera parteciparono artisti come Giuliano Scabia, che durante i lavori seguirono alla lettera le indicazioni ideali che venivano date dagli internati.
Ne venne fuori un equino alto quattro metri, azzurro come il cielo, capace di tenersi dentro metaforicamente tutti i sogni dei pazienti e poi di portarli fuori, per far sapere alla gente comune che i malati psichiatrici non corrispondevano affatto agli stereotipi che la società cercava di affibbiargli, e che volevano essere liberi.
Ma per fare tutto questo il cavallo doveva uscire fisicamente dal manicomio e le porte non erano abbastanza grandi. Questa situazione scoraggiò i malati, che per l’ennesima volta si convinsero che i loro sogni erano destinati a non uscire mai da quella struttura.
Fu così che Basaglia, secondo alcuni utilizzando una panchina di ghisa, secondo altri usando direttamente Marco, spaccò un muro, un architrave e una porta, permettendo al cavallo di abbandonare la prigionia.
Con lui evadevano anche le speranze dei reclusi che negli anni seguenti sarebbero vissute nelle lotte portate avanti dal movimento basagliano.
Marco, il cavallo di legno, cominciò invece a girare il mondo insieme ad artisti, poeti e scrittori, raccontando in spettacoli unici le vicende drammatiche ma soprattutto la storia di quella libertà che tutti gli oppressi meritano di raggiungere.
