“Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? (Luca 6,41)” E’ la prima cosa che ci è venuta in mente nel leggere il lungo post di Piero Lacorazza che ci è capitato di vedere in rete poco fa. Perchè questa citazione? Perché appare alquanto pretenzioso il suo proiettarsi verso l’orto altrui (M5S) sottolineandone incongruenze e da lì discendendo, suggerire loro possibili scenari che possano portarli a miti consigli sino a contemplare di digerire in un futuro prossimo un redivivo campo extralarge in salsa lucana, che tenga dentro Azione e Italia Viva. Il tutto partendo dal “disallineamento” del governo regionale rispetto a quello nazionale che per Lacorazza costituirebbe una spada di Damocle sulle sorti della nostra regione. Anzi scrive, che è un esile filo a cui saremmo appesi e che nel 2027 (data delle elezioni politiche), secondo le sue preoccupazioni, potrebbe cedere e portare ad una caduta.. senza nemmeno un paracadute. Il tutto in base alla previsione che Calenda e Renzi nel 2027 saranno contro il centrodestra con Pittella e Polese che si allineerebbero a loro volta alla dettato nazionale. Possibile….ma anche no. E a giustificazione di questa prospettiva di reunion indigeribile da tanti, Lacorazza parte da una citazione di Matteo Renzi (che è già tutto un programma) per poi passare ad una di Carofiglio, giusto perché non gli andava forse di scendere troppo (dopo il bullo di Rignano) in fatto di citazioni, sebbene sarebbe stata più appropriata al suo ragionamento la frase di Rino Formica “La politica è sangue e merda“. Dunque bisogna digerire tutto in ragione di un non meglio precisato interesse regionale? Siamo alla resa a che politica debba continuare ad essere quel mercato delle vacche degradato che vediamo oggi? E che tanta analisi serva a giustificare la raccolta di qualche voto in più, da presunti aggregati centristi, senza preoccuparsi delle loro giravolte, oppure della palese strumentalità e spesso volgarità delle posizioni espresse? Possibile che si cerchino le scorciatoie, piuttosto che un richiamo ai valori, alla responsabilità, alla serietà, alla coerenza? E soprattutto perchè non c’è il richiamo a se stessi e alla propria parte su come utilizzare questo tempo per provare a far si che il PD diventi qualcosa di intellegibile agli elettori? Che porti nelle realtà lucane posizioni politiche chiare e nette che al momento non vi sono? E magari così allargare la base della militanza ed elettorale? Ecco, non sarebbe meglio concentrarsi su questa enorme trave, prima (o nel frattempo) di occuparsi delle pagliuzze altrui (che pure devono essere risolte dagli interessati)? Anche perchè ci si preoccupa che si costituisca un centro a destra del PD, ma il PD oggi cos’è? Non è centro? E se non vuole più esserlo (ammesso e non concesso che lo voglia), non dovrebbe impegnarsi a dimostrarlo? Infine, la lettura che emerge dalla analisi di questo post, spiega abbastanza la genesi dell’assordante silenzio tenuto in quell’aula del consiglio regionale durante l’indecente attacco di Pittella alla Araneo, ed anche dopo. Così come per l’assunzione del presidente urologo all’ASP. E non è una bella lettura. Perchè mai si è visto un degrado della politica come in questi tempi. E sarebbe ora di riempirla un poco di più di valori, esempi, coerenza, mantenendo a debita distanza chi (anche se premiato da una quota di cittadini) ha contribuito ad aumentare il degrado e la volgarizzazione delle posizioni e degli atteggiamenti. E magari giungere a quel momento di “evaporazione” della maggioranza al governo della regione paventato (ma al quanto improbabile), con le attuali forze di opposizione maggiormente radicate tra i cittadini, a cominciare dal PD. Questo si sarebbe il vero ed unico paracadute da predisporre. Il resto -può anche non piacere- ma è la solita alchimia che ha portato a questa disaffezione spaventosa degli elettori. Nulla di nuovo. Comunque ecco a seguire la lunga riflessione di Piero Lacorazza.
“Meloni è l’omino di burro… e i ministri Nordio e Piantedosi il gatto e la volpe, sono in società.” È l’attacco di Matteo Renzi in Senato sul caso Almasri.
Parto da qui per dire che la Basilicata è in mezzo, sospesa, e il suo futuro penzolante è legato a un filo.
Ma non vi voglio parlare di progetto, programma e politiche. Lo faccio tutti i giorni, inondandovi di posizioni, proposte e cronaca istituzionale.
Il futuro della Basilicata è appeso ad un filo non solo perché c’è un governo regionale inadeguato, ma anche perché la maggioranza che lo sostiene non è in linea con il quadro politico nazionale.
Italia Viva, pur senza il suo eletto, è nel governo regionale, mentre Azione non è all’interno dell’esecutivo, in cui siedono anche due assessori di Fratelli d’Italia, il partito di maggioranza relativa, il partito guidato da Meloni.
È una cronaca che affonda le radici in una storia di contraddizioni e di errori, che ha attraversato anche il Pd nel percorso di avvicinamento alle elezioni regionali.
Azione, Calenda, sempre sul caso Almasri, non mi pare abbiano avuto parole più tenere di quelle di Elly Schlein: “Meloni, presidente del coniglio”.
Riportiamo alla Basilicata e al Consiglio regionale queste considerazioni: su 13 consiglieri di maggioranza, Azione e Italia Viva determinano i numeri (3) per mandare avanti il secondo governo Bardi.
Assuefarsi a un andamento, senza rifletterci insieme, rischia di consolidare ciò che è ancora allo stato gassoso. Al 2027, anno delle elezioni politiche, potrebbe avvenire un’evaporazione.
Il futuro della Basilicata è appeso ad un filo per via di un governo regionale inadeguato e di una maggioranza che non può dare prospettiva e profondità, perché il campo politico sarà di fronte a un bivio nel 2027.
Ma se il filo si spezza – e si spezzerà – il futuro della Basilicata non ha ancora un paracadute.
Il Pd, largamente primo partito di opposizione in Italia e ben radicato in Basilicata, ha ancora la prua laddove la bussola indica di non andare: non ripetere gli errori delle elezioni politiche del 2022 e delle elezioni regionali del 2024, da cui è uscita una rappresentanza diversa da quella di un congresso che cristallizza equilibri di qualche anno fa.
Non ci sarà resistenza in grado di reggere questa situazione, come la storia ci insegna. Anzi, tirare la molla rende ancora più forte la catapulta.
Ma c’è un’alleanza?
Parto dal M5S. Ha scelto di non fare i conti con un contesto mutato, quando le cose gli accadevano e andavano bene a prescindere.
Oggi è un partito all’11%, la cui soglia psicologica del 10% potrebbe dipendere anche da “vendette” di Grillo, dal possibile ritorno di Di Battista o dal peso condizionante de Il Fatto Quotidiano.
Ma questa percentuale, sul territorio e nelle elezioni locali, tende a scendere ben al di sotto della soglia psicologica del 10%.
Eppure, il M5S in Basilicata avrebbe potuto determinare un fatto nuovo con le sue rappresentanze parlamentari di esperienza, il sindaco di Matera, il presidente della Provincia di Potenza e due nuove elette in Consiglio regionale.
In altri tempi, una rappresentanza così avrebbe potuto meglio spendere energie e orientare politica e politiche.
Qui in Basilicata, il M5S sarebbe potuto diventare più partito in alleanza e meno movimento social, più peso politico e meno semplice presenza mediatica, per condizionare scelte e indirizzare un nuovo corso, dando all’alleanza un maggiore peso progressista.
Ho però l’impressione che questo nodo non sia stato sciolto: prima l’opposizione a Chiorazzo come candidato presidente, poi la ricucitura della relazione per partecipare al pacchetto delle nomine in Consiglio regionale; l’errore sui costi della politica e la faticosa risalita e tenuta unitaria dell’alleanza; gli attacchi a Pittella e, nel frattempo, la permanenza nell’Ufficio di Presidenza.
Non è un giudizio – non vorrei essere frainteso – ma è evidente l’oscillazione del pendolo tra l’essere dentro il sistema (e ci si dovrebbe intendere sul significato) e il pensare che basti una dichiarazione per tirarsene fuori.
Il sistema non è solo un intreccio di alleanze, ma anche un mezzo per il cambiamento. E il M5S, governando, lo ha usato, anche sostenuto da maggioranze diverse, per scelte significative: dal reddito minimo alla gestione responsabile della pandemia. È una consapevolezza che distingue chi lo rifiuta in astratto da chi lo usa per trasformare la realtà.
Nella percezione dei cittadini e della comunità, il M5S dentro l’alleanza è parte del sistema, tanto più perché ha ricoperto e ricopre ruoli istituzionali apicali, anche attraverso dinamiche interne al sistema stesso.
Il candidato presidente del centrosinistra alle elezioni regionali, preferito a Chiorazzo, non è stato uno dei cinque nomi della rosa proposta dal M5S, ma un presidente della Provincia espressione del Partito Democratico: un altro uomo di governo, un altro uomo del sistema.
Il “sistema” è il meccanismo, il marchingegno che produce anche accordi e alleanze.
Ho sempre pensato, personalmente e per quanto mi è stato possibile, di sostenere la relazione con il M5S per dare maggior peso al progressismo dentro un’alleanza ampia, comunque ampia.
Il nodo, a mio giudizio, resta e rischia di ingarbugliarsi ulteriormente, vista l’asimmetria politica tra la maggioranza che sostiene Bardi e quella che sostiene Meloni.
Il dato è chiaro: le forze che non sostengono Meloni rappresentano una culla migliore per i valori costituzionali, e la legge elettorale attuale assegna due terzi dei seggi parlamentari nei collegi uninominali.
Nei giorni scorsi, Paolo Pesacane ha offerto una “riflessione di opportunità”, un terreno meno social e più politico, che potrebbe consentire ad AVS – anche grazie alla presenza socialista in Consiglio regionale – di essere soggetto e spazio politico capace di riposizionare la natura dell’alleanza dentro la culla dei valori costituzionali.
Azione e Italia Viva occuperebbero lo spazio di un “centro” riformista che ancora attende una sua evoluzione dentro l’alleanza.
E Basilicata Casa Comune, che non è più quella del “prima” delle elezioni regionali, è a sua volta alla ricerca del proprio destino in una galassia frastagliata e litigiosa di potenziale “centro” nel centrosinistra.
Anche qui vorrei evitare di essere frainteso e non offrire l’Idea di un inseguimento alla “lepre” perché, anche in Basilicata, il tema dovranno porselo anche Azione, Italia Viva, e un cattolicesimo popolare e militante che non starà al 2027 con la Meloni.
Non ricerco il centrosinistra con il trattino – credo che anche questa discussione non abbia molto senso – ma una valutazione di un contesto in cui l’autonomia politica e culturale dei progressisti e riformisti renda più liberi di non fraintendersi: se non si tratta di un “inseguimento” non può essere che la chiusura pregiudizievole sia una modo per definire una identità che rischia di confinarsi ad una testimonianza inconcludente.
Non si tratta di un cedimento, anche sul terreno dell’etica e dell’opportunità, ma neanche di un alibi per rifugiarsi nella comodità di etichettare il compromesso come feticcio.
“La politica è fare i conti con le cose come sono davvero: cioè spesso non belle e non pulite. Bisogna entrare nel fango, a volte, per aiutare gli altri a uscirne. Ma tenendo sempre lo sguardo verso l’orizzonte delle regole, dei valori, delle buone ragioni” (Gianrico Carofiglio)
Poi, per quanto mi riguarda, mi sento ancora più libero perché può venirmi in soccorso la mia storia politica e personale.
Non mi sfuggono le contraddizioni e le complessità, né la parzialità di questa mia riflessione.
Al tempo stesso, però, mi sfugge se ci sia o meno la profondità di un’analisi e di una conseguente strategia in grado di ricomporre anche le alleanze sociali e culturali, economiche e associative; andiamo oltre il politicismo e il destino di una classe dirigente, che comunque, senza ipocrisie, deve ricercare un equilibrio.
Ecco perché, se il filo si dovesse spezzare, il futuro della Basilicata non ha ancora un paracadute che possa salvarla o almeno ridurre l’impatto e le conseguenze della caduta.”

Iscritto all’albo dei giornalisti della Basilicata.