sabato, 24 Maggio , 2025
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NEL PROCEDERE DELLA CAMPAGNA ELETTORALE RESTA STRATEGICA LA SCOMMESSA PARTECIPATIVA CIVICA?

 

Lo dico subito! Quella della ‘partecipazionattiva’ è la lente attraverso cui leggo l’andamento di questa inedita campagna elettorale amministrativa cittadina; che, per me, è perciò “questione di metodo”: a chi ci si affida per sperare concretamente nella trasformazione delle condizioni socioeconomiche del territorio materano e attivare finalmente quelle relazioni produttive atte al ‘fare soglia’ demografica, territoriale, socioeconomica, ambientale, per superare l’isolamento e l’insignificanza territoriale nostra attuale?

Ovviamente, è ‘questione di metodo’ anche per i candidati a sindaco, a loro modo intesa. Se n’è avuta conferma anche all’iniziativa organizzata da La Scaletta ieri, per presentare proposte di consiliatura ai candidati. E pure La Scaletta, ovviamente, persegue il proprio antico ‘metodo’: di certo, la sua idea di partecipazionattiva – soprattutto per le questioni inerenti alla ‘cultura del territorio’, materiale e immateriale – per slogan, potrei definirla ‘elitaria’, ‘idealistica’, preteso-borghese; da sempre! Un orientamento, cioè, che promuove realizzazione di obiettivi morali e sociali, anche se ciò richiede una certa distanza dalla realtà e dai compromessi necessari per ottenere risultati concreti; che non mi appartiene! Il che, non toglie nulla all’interesse specifico delle proposte – passibili di ‘rivisitazioni’, a partire dallo ‘sguardo’ di parte delle culture ‘di chi non ha’; cioè, di quanti vengono, da sempre, trattati come ‘oggetto’ di attenzioni, anche ‘culturali’, dalle pretese ‘élite’ locali e non.

La mia è ‘cultura di parte’ e si richiama all’uguaglianza sociale, la giustizia, il progressismo, la laicità, la difesa dei diritti umani. Sono questi i valori che si riflettono in una vasta gamma di tematiche, dalle politiche sociali ed economiche, alle relazioni internazionali, alla cultura – quella delle relazioni, della partecipazione – e torniamo al tema – che, tra l’altro, tende a trasformare in ‘collaborativo’ – co-programmante, co-progettante – l’assetto ancora ‘sabaudo’ delle nostre istituzioni, specie nel Mezzogiorno sua vittima sacrificale.

Ma torniamo a quel che sta accadendo in questa fase di avvio concreto della campagna elettorale, a quanto ‘tradotto’ dal dibattito tra i candidati nell’iniziativa della Scaletta. La prima impressione negativa che ne ho ricavato è che quell’effervescenza ‘partecipativa’ della prima ora stia già dileguando, anche se non per tutte le narrazioni elettorali. L’unico che ne resta attestato sul metodo – a me pare – sia Roberto Cifarelli. A confermarlo, sta anche un inelegante battibecco tra lui e Vincenzo Santochirico che – al di là delle loro polemiche intenzioni, a me sembra – tradisca la concreta difficoltà a superare la facile retorica ‘partecipativa’ in un capovolgimento dello sguardo col quale – tutta intera la comunità materana – potrebbe/dovrebbe farsi carico del proprio destino: non più élite asserragliate nei centri di potere che decidono le sorti contingenti della Città, ma l’interesse generale – interpretato da ciascuna e tutte insieme le forze vitali cittadine, sociali-economiche-culturali-ambientaliste, che censiscono e organizzano le potenzialità del nostro territorio.

Un impegno titanico quanto addirittura ‘improbabile’; eppure, ineludibile! Sì, ineludibile; giacché, tutti gli altri tentativi – specie nell’ ultimo trentennio – sono naufragati in questa indeterminatezza e inadeguatezza della Città, così come oggi la verifichiamo ‘coram populo’:

  • S’è sgonfiata la bolla demografica alimentata – dalla fine degli anni Sessanta e fino all’ultimo decennio – dall’immigrazione dai paesi più interni che nel frattempo e anche per tale fenomeno trascurato colpevolmente sono andati spopolandosi; oggi ci riguarda;
  • Abbiamo perso la proprietà fondiaria agricola, ormai appannaggio del viciniore barese;
  • Al punto di non ritorno tanti dei pochi settori produttivi industriali sopravvissuti alle politiche meridionalistiche dei decenni andati e alla filiera spontanea da quelle indotta;
  • ‘corrotte’ le politiche culturali dal provincialismo egotico e dal falso imitativo di esperienze estranee all’impronta ‘meridiana’ della nostra vicenda territoriale; il loro naufragio sta lì a testimoniarne la verità; non siamo stati in grado neppure di salvaguardare quello che già avevamo: dalla Biblioteca provinciale, ad esempio, alle altre – pubbliche e private – lasciate a marcire, o a deperire – come le strutture di quelle ultimate o ancora da completare dopo oltre Quarant’anni; dalle Case della Salute a quelle di Quartiere – che non sono soltanto il luogo d’incontro degli abitanti (che ancora manca e nonostante la presenza di un patrimonio pubblico sfitto e/o abbandonato), ma anche i negozi di prossimità demaniali e impunemente alienati ad appartamenti privati; ecc. Qualcuno obietterà che non tutto l’elenco rientra nel filone culturale: ecco, plasticamente, una differenza tra gli approcci culturali cui accennavo: che me ne faccio di una biblioteca fuori dal tempo, che sta lì a ripetere inutilmente il prestito librario e la sala di lettura per adolescenti e giovani ormai digitali? Qual è la rete ch’essa costruisce con le altre biblioteche – quelle fisiche e quelle on-line: di quartiere, private, con le infrastrutture della socialità – tutta, anche quella emigrante ed emigrata, quella coinvolta in problemi di salute o di sicurezza, della produzione, con le istituzioni tutte? Insomma, qual è la sua politica culturale condivisa? E perché dovremmo inventarci fondazioni e altre diavolerie interessate se abbiamo luoghi a ciò deputati; che possono assicurare il coinvolgimento ‘comunitario’ e non ‘privatistico ed elitario’ di quelli oggi considerati benemeriti?

Ma, “non è oro tutto quel che luce!”: nel disagio manifestato da Cifarelli e Santochirico, mi pare, c’è – appunto – l’estrema difficoltà a ‘dar voce’ alla Città che produce; non solo – per altri aspetti – alla Città che si riproduce, che assicura la continuità del vivere cittadino. E c’è l’oggettiva difficoltà di queste componenti del Territorio anche ‘a darsi voce’; a comprenderne l’opportunità – forse ormai, la necessità. E per motivi antichi e nuovi:

  • Da decenni e a causa del ridimensionamento di fatto e finanziario delle funzioni istituzionali dell’ente locale, l’impresa vede l’ente locale essenzialmente come appendice burocratica dello Stato. Le politiche di lobbying hanno nei fatti sostituito programmazione, progettazione e politiche di planning industriale nel territorio; ma i risultati sono assai deludenti.
  • L’illusione ‘globalizzante’ della competizione economica e produttiva ha viepiù allontanato l’impresa – anche quella piccola e piccolissima – dalle relazioni col proprio territorio; col riflusso sovranista, tutto tende a rientrare ma con futuri incerti. Probabilmente, una concreta attenzione verso la salvaguardia degli obiettivi sociali d’impresa, potrebbe produrre risultati interessanti per l’intera comunità;
  • Abbiamo distrutto lungo i passati decenni ogni capacità di previsione del futuro e di adeguamento degli strumenti programmatori della trasformazione territoriale; l’ultimo serio tentativo risale allo Studio del Politecnico del 1971, peraltro inascoltato – persino dal PCI dell’epoca. Altro significativo frammento può ritrovarsi nei primi due Programmi biennali per il risanamento e recupero a fini essenzialmente abitativi dei Sassi e la contestuale valorizzazione del prospiciente Altipiano murgico. Rimettiamoli in cantiere, aggiornandoli, rileggendoli con gli occhi dell’oggi! Poi, interventi slabbrati, pensieri interessati, lobbies e interessi miopi e territorialmente degradanti. E così, anche il sistema d’impresa, ha ridimensionato la funzione del Comune e della Provincia, ad opportunistica relazione gretta. Tanto più che – più in generale – le strategie industriali nazionali e CEE si sono prevalentemente indirizzate al mero sostegno finanziario delle filiere e non hanno mai verificato l’efficacia delle politiche di coesione e sviluppo delle aree mediterranee!

Su tali temi, le pratiche partecipative risulterebbero ‘esplorative’ e ‘non competitive’, di tipo solidaristico. Forse, bisognerebbe partire dal mutualismo, dai servizi di rete, dalla riproposizione certa e convinta delle politiche condivise di programmazione – di co-programmazione. Dalla istituzione di quel famoso ‘Laboratorio urbano’ che, nei mesi scorsi e nella fase preparatoria della scadenza elettorale, è stato riproposto da quasi tutti i movimenti civici trasformatisi in coalizioni elettorali. Dalla ri-conversione della macchina municipale (e favorire quella pubblica in generale): dal modello ‘concessorio’, ‘autoritativo’, a quello ‘collaborativo’ con il privato sociale e con l’irrompente volontariato da co-protagonisti, nel rispetto dei ruoli e competenze.

Non vedo alternative altrettanto efficaci all’incipiente ecclissi della democrazia e alla scomparsa della vecchia politica dei partiti.

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