Gent.mo Ministro,
alcuni miei alunni, a me professore in pensione, hanno chiesto che cosa pensavo della Sua dichiarazione riguardo alla presenza di stranieri in classe, a scuola. L’invito era a voler giudicare la forma in cui Lei si era espresso; mi si chiedeva un voto. Ho letto il Suo testo, che riporto da Google:
“Se si è d’accordo che gli stranieri si assimilino sui valori fondamentali iscritti nella Costituzione ciò avverrà più facilmente se nelle classi la maggioranza sarà di italiani, se studieranno in modo potenziato l’italiano laddove già non lo conoscano bene, se nelle scuole si insegni approfonditamente la storia, la letteratura, l’arte, la musica italiana, se i genitori saranno coinvolti pure loro nell’apprendimento della lingua e della cultura italiana e se non vivranno in comunità separate. È in questa direzione che noi intendiamo muoverci”.
Ho subito optato per il sei meno o il cinque e mezzo, certo non per la sufficienza piena. Il periodo, infatti, troppo lungo, in linguaggio spesso improprio, è decisamente contorto, con trascurata punteggiatura e con un incongruo gioco di presenti, futuri e congiuntivi, pur in presenza di proposizioni subordinate dello stesso genere, cioè condizionali dette della possibilità o, meglio, della eventualità.
Lei, gent.mo Ministro, ha dato una plausibile spiegazione, sulla quale concordo, perché “incidenti” del genere sono capitati anche a me. Lei dice, giustamente: “Quando si detta un tweet al telefono non si compie un’operazione di rigore linguistico e si è più attenti al contenuto”.
Io, però, gent.mo Ministro, mi sarei fermato qui, prendendo atto e riconoscendo la natura bascullante e svagata del periodare e del linguaggio, che ha attirato l’attenzione di Lagioia e avrebbe attirato l’attenzione di più di qualche mio alunno. Pubblicamente, però, dopo la spiegazione, al posto Suo, avrei chiesto sorridente scusa, soprattutto in quanto Ministro della Pubblica Istruzione. Io l’avrei fatto con i miei alunni, in quanto professore, sicuro di trovare comprensione e simpatia. Piace il professore che si corregge; piacerebbe anche il Ministro.
Lei, invece, ha voluto querelare il giornalista Lagioia, chiedendo, a titolo di risarcimento, ventimila euro, che, probabilmente, il Lagioia non sa dove prendere. E ha famiglia che Lei, da una posizione di forza, potrebbe gettare sul lastrico. Che Lei l’abbia fatto consapevolmente o inconsapevolmente, non so; di certo, in ogni caso, mosse punitive del genere finiscono col creare terrorismo e, purtroppo, spingono a “cucirsi” la bocca. Non so se questo è anche il Suo intento; ma – mi perdoni – se ascolto o riascolto i toni di invettiva e di irrisione, in registro molto basso, della Meloni, Capo del Governo, oppure se osservo il “tristo” viso di La Russa, Presidente del Senato, mi permetterà il sospetto che, dietro, ci sia un progetto di repressione della libera critica e del libero pensiero. Se così è, mi piacerebbe che il Suo governo, o Lei in persona, gent.mo Ministro, proponga, per decreto, un articolo di legge con cui si stabilisca che, qualora il querelante abbia torto e il querelato abbia ragione, scatti immediato, per il querelante, l’obbligo a versare, al querelato, la somma richiesta a proprio risarcimento. A Lei, in pratica, gent.mo Ministro, toccherebbe l’onere di versare, al giornalista Lagioia, e a gioia della sua famiglia, i ventimila che ha chiesto a proprio risarcimento. In ogni caso, indipendentemente dall’articolo di legge che Le propongo, ove abbia torto, Lo farà, lo farebbe?
Mille cordialità e altrettanti auguri di buon Natale.
Dalla lontana Matera,
Suo
Giovanni Caserta, già ordinario di lettere italiane e latine presso il Liceo Emanuele Duni della città.
Matera, 23 dicembre 2024
