La questione posta dalle considerazioni di Giulio Galessiere e che abbiamo ripreso in un altro articolo (https://giornalemio.it/politica/la-sinistra-vince-se-torna-a-fare-la-sinistra-se-insegue-e-imita-la-destra-vincera-sempre-loriginale/) sono molto importanti in quanto vanno all’origine della degenerazione a cui è giunta la politica. Quella che vede nella differenza netta e chiara tra sinistra e destra l’architrave per una sana dialettica politica che è, ricordiamolo (anche se ciò è oramai volutamente offuscato), da sempre tra due interessi contrapposti e alternativi. Per valori ed orizzonti entro cui si muove l’azione politica, indipendentemente dal momento storico in cui essa si svolge. C’è chi si muove dentro l’orizzonte capitalistico, ritenendo il Dio mercato come una legge divina e non una invenzione umana e come tale modificabile, e chi invece preso atto del fallimento di questo modello figlio di una ideologia ben precisa (altro che superamento delle stesse), il liberismo, ritiene l’orizzonte sia il suo superamento e, nell’immediato, almeno una sua mitigazione. Nel primo caso parliamo di destra (e suoi derivati), nel secondo di sinistra ed esplicitamente di socialismo. Una sinistra che proprio in ragione di questo orizzonte è diventata strumento di riscatto e speranza per condizioni migliori per milioni di diseredati e sfruttati in tutto il mondo. Sino alla caduta del Muro di Berlino, quando con una superficialità incredibile, le classi dirigenti dei partiti di sinistra -comprese quelle italiane (culla della originale esperienza del partito comunista più grande d’Europa)- decisero che era finito tutto. Consegnandosi mani e cervello al sistema ritenuto vincente, trasformandosi più volte per mimetizzare la propria storia ed essere accettati -così- come classi affidabili di governo. E quando al governo ci sono andati si sono rivelati essere i migliori servitori del sistema a danno dei lavoratori. Smantellando una per una le conquiste dei decenni precedenti. In Italia l’apoteosi fu raggiunta dalla scalata al PD di Renzi che realizzò ciò che a Berlusconi non era riuscito: lo smantellamento dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori. Non un totem, come ora sbeffeggiano in tanti, ma una norma di elementare dignità per la parte più debole nel rapporto lavoratore/padrone: nessuno può essere licenziato senza una giusta causa. Dopo di che siamo precipitati verso la deriva totale odierna in cui si parla a sproposito di destra e sinistra. Tenuto conto che oggi, la destra è rimasta tale ed anzi avanza anche con rigurgiti neofascisti, mentre la sinistra nell’accezione vera del termine semplicemente non c’è più, tranne piccole sacche di resistenza annidata nelle pieghe del sociale. Quella che dunque viene presentata come sinistra nello scontro elettorale è essenzialmente una pigra esemplificazione semantica, per nulla rappresentativa del termine (che quindi ne viene svilito e danneggiato nell’immaginario collettivo) e che torna utile solo alla destra per additare chi gli si oppone. Nel mentre sono -invece- tutti insieme avvinghiati sulla stessa barca, avendo anche l’ex sinistra, “abbracciato il mantra tatcheriano del “There is no alternative”, che “non c’è alternativa al neoliberismo e accettare senza riserve che le uniche regole siano quelle del libero mercato, al massimo cercando di gestirne alcuni aspetti, ma senza possibilità di cambiare nulla nella sostanza.” Proprio come ricordato lucidamente da Giulio Galessiere e che è il punto cruciale da cui i giovani che si vogliono occupare di politica dovrebbe partire se vogliono per davvero ridisegnare una prospettiva politica migliore di questa a cui ci ha portato l’ideologia liberista e del dio profitto (povertà, diseguaglianze, guerre, avvelenamento del pianeta). Lo stesso in cui sembra normale che non vi siano mai soldi per il benessere collettivo (per la sanità, i salari, la scuola, gli asili, le pensioni) nemmeno quando il sistema guadagna profitti stellari, e che ve ne siano sempre a iosa invece per armi, guerre e per le imprese quando battono cassa (sempre pronte ad incassare i profitti e a condividere a danno delo Stato, quindi nostro, le perdite). Insomma, quello posto da Giulio è uno stimolo per un ritorno all’ABC della politica. Un alfabeto volutamente annichilito per fare in modo che la politica si riduca alle entusiastiche e spesso rabbiose schiere di tifosi di tizio o caio che vediamo scatenarsi in ogni elezione. Con conseguente riduzione della partecipazione dei cittadini e un restringimento della democrazia sostanziale. Ora, e chiudiamo, occorre tener presente che fare ciò è stato necessario distruggere quelle casematte che erano i partiti (quelli veri), troppo dannosi per il sistema in quanto potenti “intellettuali collettivi” è quindi molto più pericoloso del singolo leader. Senza ripartire da questi presupposti le lotte per l’ospedale, piuttosto che per la Biblioteca o per la viabilità si svolgeranno fuori dallo scenario reale: il sistema che destina anche le risorse pubbliche, in primis, verso il profitto privato. Insomma, un discorso complesso, che travalica una campagna elettorale per quanto appassionante possa essere. Diversi i commenti all’articolo di Giulio pubblicati sul gruppo Open Matera dove esso è stato postato, taluni interessanti ad opera di Antonio Esposito, Chiara Saponaro, Luigi Gravela e lo stesso Galessiere. Troppi, ed alcuni corposi, per ripubblicarli tutti qui a seguire ma che vi suggeriamo comunque di leggere.

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