Non ha peli sulla lingua il segretario generale dei Pensionati Cisl Emilio Didonè,a Matera per il consiglio generale della federazione regionale dei pensionati , quando si parla di sfascio della Sanità Pubblica,di negazione del diritto alla cura per tanti concittadini, a cominciare dalle fasce deboli, degli anziani . E allora snocciola il rosario delle responsabilità e delle irresponsabilità, puntando il dito sui tanti silenzi che stanno accompagnando una deriva che non può essere ignorata. Anzi va denunciata in tutte le sedi, visto che intacca la Costituzione e che rischia di scivolare ancora più giù con l’autonomia differenziata. Dopo quel ‘’vulnus’’ che è stata la riforma del Titolo V , avvenuta nel 2001, e che di fatto ha “ riconosciuto le autonomie locali quali enti esponenziali preesistenti alla formazione della Repubblica.Un cavallo di Troia, varato con un governo di centrosinistra, che ha aperto più di un varco al taglio dei servizi soprattutto al Sud e con una autostrada di opportunità per il business privato…
‘’ E qui -dice il segretario della Fnp Cisl Emilio Didonè- ci sta una piccola cronistoria. Arriviamo da lontano. Qui hanno governato tutti e di tutti i colori politici. Il massacro della Sanità è cominciato 20 anni fa , quando i governi hanno cominciato a definanziare con tagli continui la Sanità pubblica.Non hanno messo i soldi adeguati all’invecchiamento della popolazione . Quindi come ne usciamo? Al governo chiediamo non solo finanziamenti che sono necessari. Noi abbiamo due punti di Pil. Mancano, pertanto 35-37 miliardi di euro, alla Sanità per funzionare come 20 anni fa. Ma non è solo una questione finanziaria. Occorre mettere a posto la programmazione ,innanzitutto. Chi la fa? Visto che ci accorgiamo nel 2023 che mancano 20.000 medici e 65.000 infermieri? Dov’erano le Regioni, dov’era il Ministero, gli ordini professionali , l’Università? Oggi pagano i cittadini e, soprattutto, i pensionati che pagano il taglio dei servizi. E non solo la programmazione ma anche l’organizzazione.La Sanità non è gestita dal Ministero, a livello centrale, ma dalle Regioni. Il Ministero, quando divide i soldi, ha fatto quello che doveva fare per garantire i livelli minimi essenziali di assistenziali a tutti. Ha fatto il suo dovere. Poi chi ha in mano la sanità e la Regione Basilicata, Lombardia, Veneto ecc e, quindi, l’organizzazione di questi servizi deve essere fatta come Dio comanda . E aggiungerei una cosa dopo l’esperienza della modifica al Titolo V della Costituzione e del covid. Quel Titolo V va modificato, perchè la mano destra deve sapere quello che fa la sinistra e viceversa . Bisogna distinguere bene quello che fa lo Stato , quello che fanno le Regioni e,soprattutto, chei prende le decisioni. Faccio un esempio che comprendono bene i cittadini . I Livelli essenziali di assistenza vanno garantiti da Canicattì a Bolzano . Lo Stato paga perchè questi servizi minimi vengano garantiti . Ogni due anni esce una graduatoria e ci accorgiamo che ci sono alcune regioni, che non raggiungono nemmeno il minimo, nonostante quelle regioni ricevano i fondi ma non garantiscono i servizi.C’è qualcuno che controlla e, di conseguenza, interviene? Tutto resta come prima’’
Concetti chiarissimi e analisi che non fa una piega, tanto più che con l’attuale governo di centrodestra, non vediamo inversioni di rotta vista la mina vagante del progetto di autonomia differenziata, ribattezzato- e non a torto- progetto ‘’spacca Italia’’
“Autonomia differenziata? – continua il segretario generale della Fnp Cisl.Non a caso ho citato il Titolo V. Non vanno fatti gli stessi errori. Se autonomia differenziata significa che chi è più ricco e più ricco e chi è più povero è più povero, aumentare il divario delle regioni non serve a niente. Se serve,invece, per compensare quello che manca e a dare di più a chi ha bisogno e dare di più a chi ha tanto, probabilmente è una occasione per riequilibrare i servizi. Sul Titolo V abbiamo sbagliato . Se non si sbaglia ( con l’autonomia differenziata) serve a mettere a posto gli errori del passato. Dipende dalla Politica. Il servizio sanitario pubblico non si svende. Si deve difendere e dobbiamo consegnarlo alle future generazioni, come lo abbiamo ricevuto noi. Come era 20 anni fa, quando ci recavamo agli sportelli delle Usl, poi Asl e non ci dicevano che per una visita o una prestazione occorrono sette mesi o un anno. E allora – conclude Emilio Didonè- se abbiamo avuto noi quel bene prezioso che funzionava, e cito Tina Anselmi e altri, perchè perderlo, buttarlo via ? Ci sono problemi tra Sanità pubblica e privata? Si affrontano. Ma è il politico che deve dire al privato di integrare i servizi, ma non ci deve essere concorrenza, con qualcuno che lucra sulle carenze del pubblico. Chi non ha assunto il personale? Chi non ha investito in nuove attrezzature, che oggi sono obsolete . Adesso non si possono sfruttare queste mancanze . La politica deve intervenire, perchè la Sanità pubblica è res, cosa, pubblica”
