venerdì, 7 Febbraio , 2025
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Catto-comunista? Rodano pioniere di un dialogo da rilanciare

Il termine è di quelli dispregiativi, da scomunica, da messa all’indice all’insegna dell’ortodossia integralista del ‘’ Chi non è con me è contro di me…’’ e i risultati nella storia del BelPaese si vedono e hanno lasciato un vuoto ( coincidenze?) tra cultura cattolica e comunista. Così ognuno per la propria strada e con i rischi di svolte autoritarie, sovraniste, autonomiste , con un clima di indifferenza e di scarsa partecipazione che restringe in maniera subdola spazi di libertà, partecipazione, confronto, alimentando lo sfruttamento. E, a guardarsi intorno, diritti e dignità del lavoro hanno fatto passi indietro di 30 anni, vanificando i risultati raggiunti dai nostri padri, in nome della flessibilità e della concertazione. Cosa c’entra, allora, una figura di ‘’catto comunista’’ come quello di un teorico della politica come Franco Rodano, che Francesco Paolo Francione, autore di saggi e approfondimenti di storia locale rilegge alla luce di protagonisti delle vicende politiche, sociali e religiose materane. E lo fa partendo da quella che fu l’esperienza del Movimento dei cattolici comunisti a livello nazionale e alle sensibilità identitarie locali, che portarono per esempio alla candidatura nelle file del Pci di Lello Giuralongo, agli impegni nel sociale di parroci di trincea o di ‘’La Periferia’’ (dal nome di un periodico con testata rossa uscito in quegli anni per i rioni di Piccianello, Spine Bianche e Villa Longo) come don Giovanni Mele, don Nicola Colagrande, don Tommaso Rondinone. Un filo robusto di impegno solidale e politico che portò in sud America alla militanza o al sacrificio, fino a pagare con la vita di alcuni uomini di Chiesa, per l’impegno verso gli ultimi,” i proletari del Vangelo’’ o del marxismo tra Cristo e il ‘’Che’’ ambedue con la barba, ma con un modo di lottare diverso. Concetti troppo forti? Ma per quelli come Rodano che credevano nel dialogo tra due grandi culture e visioni della società era la strada da battere. Non si diede per vinto nemmeno dopo la brusca interruzione del dialogo tra Enrico Berlinguer e Aldo Moro, a causa della brutale eliminazione del leader democristiano durante l’epoca del terrorismo rosso e delle influenze straniere e nazionali sul quale ci sono ancora tanti punti oscuri. Serviva e serve un ‘’Mondo Nuovo’’ ma con tanta partecipazione ideale e di progetto, che riporti al centro dignità e protagonismo dell’uomo. Franco Rodano, ‘’catto comunista’’ ha lottato anche per questo e senza pregiudizi…


Franco Rodano, il catto-comunista .

“E’ stato ricordato il quarantesimo anniversario della morte di Franco Rodano, un teorico della politica, nato a Roma nel 1920. Già studente nel liceo Visconti, seppe collegare la formazione di credente e militante nell’Azione cattolica con l’attività politica antifascista svolta assieme a molti comunisti. Dopo l’otto settembre del 1943, fondò e diresse il Movimento dei cattolici comunisti, che si chiamò poi Partito della Sinistra cristiana, scioltosi nel ’45. Entrò nel PCI e sostenne con Enrico Berlinguer la politica del compromesso storico. Un suo scritto importante resta “Sulla politica dei comunisti” edito da Boringhieri nel 1975.
Fu tacciato di cattocomunismo, un ossimoro “ capace di mettere insieme due diverse vie di speranza umana”, usato abitualmente in senso negativo. Deluso e sconfortato dopo l’uccisione di Aldo Moro, rimase fedele “a quella scelta che non aveva mai rinnegato, sino ad esorcizzare un insulto e a trasformarlo in un ideale di salvezza comune”. ( Ettore Boffano, Il Fatto Quotidiano, 21 luglio 2023).
Grazie alla sua visione politica, molti cattolici furono candidati nelle liste del Partito Comunista Italiano come indipendenti di Sinistra: quello di Raffaello Giura Longo, a Matera, è l’esempio più conosciuto e più discusso.
Il termine catto-comunista si è diffuso come invettiva soprattutto dopo che il cardinale Alfredo Ottaviani, segretario del Sant’ Uffizio, ebbe firmato il decreto, approvato dal Papa Pio XII, volgarmente conosciuto come scomunica dei comunisti. ( 1 luglio 1949) E Ottaviani mal sopportava i comunistelli di sagrestia, cioè sacerdoti e laici che pretendevano di professare, combinandole, fede religiosa e attività politica comunista. Quella scomunica raggiunse le finalità che si proponeva, ma molti saggi analfabeti e zappatori spiegarono ai loro figli che la religione era una cosa e la politica un’altra e continuarono a votare per il partito di Togliatti.
Quell’insulto, catto-comunista , travalicò i confini dell’Italia e fu usato per colpire quanti cattolici, laici e preti, in America Latina, affiancavano le lotte dei più poveri; ma dalle parole il potere dittatoriale fascista passò ai fatti, alla violenza armata: fu ucciso Camillo Torres in Colombia (1966), fu fucilato dagli squadroni della morte mentre celebrava Messa il vescovo, oggi proclamato santo, Oscar Romero a San Salvador (1980), fu osteggiato Helder Camara , il Vescovo di Recife in Brasile, fu pubblicamente redarguito dal Papa il gesuita Ernesto Cardenal, Ministro della cultura in Nicaragua e protagonista della rivoluzione sandinista, (1979- 1987), nonché teorico della Teologia della Liberazione: è inefficace una pastorale catechistica senza la condivisione della lotta con e per diseredati.
L’epiteto travalicò anche gli spazi temporali della guerra fredda (1950- 1989), se è vero che ancora oggi, ogni volta che un cristiano invoca solidarietà per i migranti e auspica la pace e il disarmo generale, viene creduto comunista sfegatato.


A fine anni’60 quell’ invettiva colpì Don Lorenzo Milani, anche se la sua visione culturale era mille miglia distante da quella comunista, e l’attivissimo sindaco di Firenze Giorgio La Pira; ma in Italia molti credenti, laici e religiosi, scossi dal messaggio di rinnovamento proclamato dal Concilio Vaticano II, vollero un dialogo tra Marxismo e Cristianesimo, tra cattolici e comunisti e, a seguito dei movimenti di contestazione, fiorirono dappertutto piccole comunità di cristiani per il socialismo e vivaci gruppi di cattolici del dissenso. Anche a Matera non mancarono simili esperienze e fu approfondita e discussa la tematica del rapporto tra fede e attività politica comunista. Tanto più che avevano fatto una buona semina don Giovanni Mele, don Tommaso Rondinone e don Nicola Colagrande, parroci in diverse zone della città, che univano all’azione pastorale forme di attività solidali con la classe operaia. (Ultimo ricordo che ho di Don Giovanni Mele è quello di averlo visto in prima fila nelle manifestazioni degli operai della Barilla che a Matera stava chiudendo).
Ma l’episodio che maggiormente ha segnato la città dei Sassi, a mio parere, è lo scontro culturale, filosofico e teologico, sviluppatosi nella seconda metà degli anni ’70, tra il vescovo e un gruppo di giovani sacerdoti: come concepire la religione in una società secolarizzata, con quali progetti pastorali poter contrastare i processi di alienazione propri di una società capitalistica, se e come poter guidare il processo di liberazione degli oppressi, come partecipare alle lotte politiche e sociali degli sfruttati. Tutte questioni centrali nel contesto del dissenso cattolico che, a livello nazionale provocava crisi personali e istituzionali, ma anche rinnovamento e rinascita. Per il vescovo, invece, tutto potè essere racchiuso e schematizzato nella categoria del cattocomunismo e, novello inquisitore del sant’Uffizio fuori tempo massimo, gestì la situazione con tale virulenza e caparbietà da provocare la fuoriuscita del gruppo stesso dalla comunità sacerdotale e una grave lacerazione della comunità cristiana diocesana. Una evidente forma di ossessione fobica germinata dall’ostinazione e dall’avarizia, che oggi, a distanza di quasi cinquant’anni, appare del tutto ingiustificata; lo conferma il fatto che, in quegli stessi anni, un altro prelato, Luigi Bettazzi , vescovo di Ivrea, scriveva una lettera al segretario del partito comunista Enrico Berlinguer che rispose, condividendo l’opportunità di un dialogo più fecondo tra le due culture; e su un piano più teoretico, Giulio Girardi, docente all’Ateneo Salesiano di Roma scriveva Marxismo e Cristianesimo, edito da Cittadella di Assisi, nel 1973.

Una forma di fobia che, purtroppo, ha lasciato nella città tracce non trascurabili poiché, pur essendo molto apprezzati e partecipati l’impegno solidale profuso dalla Caritas Diocesana, dalla Mensa di don Giovanni Mele, dall’attivismo della parrocchia di S. Rocco e di tante altre comunità cristiane, non è infrequente l’incontro con credenti, del laicato e del clero, che conservano atteggiamenti e visioni culturali propri di un integralismo religioso affatto democratico.
Quell’incontro tra credenti e movimenti democratici,( poiché, in sostanza, questa è la categoria politica che ha sostituito il nocciolo ideologico del comunismo) ha perso l’iniziale passione e segna il passo da molti anni, anche a Matera: non riesce ad esprimere quel potenziale culturale di cui sarebbe capace, per esempio, a proposito della guerra in atto alle porte dell’Europa ; un movimento di sostegno alle parole del Papa e all’ attività del suo delegato, il cardinale Matteo Zuppi; un movimento proteso a dare forza alla diplomazia per fermare le armi. La voce dei cattolici democratici appare piuttosto indebolita se è vero che, persino l’ intervento su giornali online di persone stimate dalle quali ci si sarebbe aspettato coraggio e preveggenza, sono sembrati in perfetta linea con la narrazione massmediatica predominante che non è certo modello di riflessione critica.
Generazioni di giovani, soprattutto nel Sud, sono, in senso lato, cattocomunisti: nati, educati e formati nel cattolicesimo più ortodosso, sono diventati poi atei, materialisti, comunisti; oppure solo comunisti, conservando genuina e fervida la loro fede. E’ il vento dello spirito libero che non dovrebbe scandalizzare più nessuno in un mondo multiculturale in cui appaiono arcaiche sia le affermazioni di Benedetto Croce ( Non possiamo non dirci cristiani) che quelle di Piergiorgio Odifreddi (perché non possiamo essere cristiani).


Il Mondo Nuovo che i credenti si aspettano dopo la resurrezione dei morti potrebbe essere tutt’altra cosa da questo mondo; oppure potrebbe essere una forma divina che incorona il mondo che i credenti stessi hanno saputo costruire: entrambe le posizioni teologiche pare siano equamente supportate dai passi biblici; ma per gli appelli che oggi ripetutamente vengono fatti per salvaguardare la salute di questa casa comune che è la terra, sembrerebbe più accreditata la seconda. Parallelamente, atei, materialisti, agnostici e non credenti hanno l’obbligo, come cittadini ragionevoli, di agire per il bene comune : c’è quindi un lungo tratto di strada che potrebbe essere percorso insieme da cattolici e non credenti per la costruzione di un mondo migliore, superando gli steccati ideologici e condividendo battaglie comuni per evitare all’uomo una sua anticipata estinzione.
I dirigenti dei vecchi partiti popolari, il cattolico e il comunista, hanno, forse, la grave colpa di non essere riusciti a rielaborare una cultura politica democratica per fare fronte comune alle forme di fascismo che hanno sempre proliferato nel nostro Paese; con più o meno consapevolezza e con notevole leggerezza, hanno, invece, disperso un patrimonio culturale e politico che, a fondamento della Costituzione, avrebbe potuto meglio garantire una salvezza comune.”

Francione Francesco Paolo
24 luglio 2023

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