Se quello che dovrebbe essere un momento di approfondimento (un congresso) sui temi esistenziali di un partito (il PD) si risolve, principalmente, in una corsa elettorale tra candidati che, frettolosamente, vanno di città in città e declamare “ciò che farei io se fossi chiamato da voi a guidare il PD“, declinando la personalissima opinione sui temi caldi di giornata, non può che rivelarsi essere per quella che è: una deludente passerella atta a raccogliere consensi personali, a prescindere da tutto! Con una sequenza illogica, per ciò che si è annunciato fosse necessario per un partito allo sbando sotto il profilo identitario, resa evidente da questa corsa avviata tra “chi” si candida a guidare una “cosa” non ancora ridefinita. Una rassegnata consapevolezza, questa, diffusa anche tra coloro che aspettavano oggi, dinanzi all’Hotel San Domenico, l’arrivo del tour del tiket Bonaccini-Picierno che ha fatto tappa a Matera. Poi confermata al termine dell’iniziativa in cui non si sono toccati i temi cruciali che dovrebbero essere oggetto di (messa in) discussione di questo che è un congresso straordinario. Ma se questo è la profondità di approccio di quello che probabilmente è destinato ad essere il futuro segretario nazionale del PD, potrebbero aver ragione coloro che pensano che non ci sia davvero più nulla da fare per questo partito. Un organismo che non ha più anticorpi per rigenerarsi, ma capace solo di una coazione a ripetere gli stessi errori, gli stessi schemi, anche se palesemente disfunzionali. Sembra smarrito l’ABC del fare politica e una assenza dei fondamentali se, l’unica preoccupazione è l’urgenza di dover procedere ad aggiungere un nuovo segretario ai dieci succedutisi nei quindici anni di vita del PD. Auguri.
Eppure ci sono stati anche degli interessanti aiuti a questa discussione con libri pubblicati per l’occasione ed utili per chi volesse scendere al cuore della necessaria discussione. Da quello di Goffredo Bettini (A sinistra. Da capo.) -più assertivo- all’altro di Antonio Floridia (PD, un partito da rifare?) che inquadra i “dogmi” derivanti dal congresso fondativo del Lingotto di Torino e che dovrebbero essere al centro del dibattito per mantenerli o superarli.
Che senso ha, infatti, parlare di “sinistra“ -come pure a fatto Bonaccini- se non si mette ora in discussione l’adesione completa alla globalizzazione capitalistica fatta in quella sede, tragica premessa politico-culturale per tante devastanti decisioni assunte a livello governativo a danno dei diritti dei lavoratori (jobs Act su tutti)? E che senso ha ribadire (come ha fatto sempre Bonaccini) l’altro caposaldo lingottiano della “vocazione maggioritaria“ (pur aggiungendo contraddittoriamente che però da soli non si può mica andare al voto), non rendendosi conto che è proprio quella presunzione di essere il “partito del Paese“, poi declinato come il “partito della Nazione” (quasi un campione statistico fedele delle varie fette della società), a costituire la rinuncia a rappresentare gli interessi di una parte e il venir meno al ruolo proprio di un partito (che per natura è “parte” e non “tutto)? Che senso ha non mettere in discussione le “primarie aperte“ per eleggere il segretario, strumento che ha da sempre spodestato il legittimo diritto fondamentale degli iscritti di decidere linea politica e dirigenti connessi? Un vero e proprio grimaldello che ha reso possibile l’altro astruso concetto di “contendibilità del partito“, come fosse una azienda qualsiasi da scalare anche con truppe esterne? Insomma, davvero non si coglie che se il dibattito congressuale non si occuperà di questi fondamentali, non avrà l’esito sperato per una nuova rinnovata vita di questo partito? E se non si fa questo, anche su un tema di attualità come “l’autonomia differenziata“, difficilmente si troverà una linea chiara e netta -da proporre agli italiani ed opporre alla maggioranza di governo- tra: il Presidente della Toscana Giani per il quale “l’autonomia differenziata è di sinistra“, lo stesso Bonaccini che -come il presidente della Campania De Luca- ritiene “irricevibile” la bozza Calderoli e Gianni Cuperlo (altro candidato alla segreteria) per il quale la riforma del Titolo V della Costituzione “fu un errore che gli italiani hanno pagato caro. Dobbiamo chiedere scusa“.
E’ intorno ad un dibattito serio su queste questioni che sarà possibile raccoglie una classe dirigente (che siano amministratori locali o meno) in grado di svolgere il proprio compito. Ed è comunque abbastanza discutibile che chi si è proposto ai propri cittadini per fare il Sindaco o il Presidente di Regione possa poi distogliere il proprio impegno da ciò e tuffarsi in altri ruoli altrettanto impegnativi. Perché, a meno che non si pensi di essere un superman, uno dei due ruoli verrà messo in secondo piano. Ma noi parliamo, ovviamente, da cittadini normali. Il treno del PD sembra andare in altre direzioni….

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