Riparte la stagione degli eventi en plein air, le piazze tornano a riempirsi e proprio intorno ai libri le discussioni riprendono respiro.
Il 25 Luglio ad Atella, il 27 Luglio a Pomarico e il 2 Agosto a Savoia di Lucania sono i prossimi appuntamenti per dare fiato al romanzo “Mondo è stato e Mondo sarà” di Giuseppe Melillo. Per capire quale ritmo si respira nelle pagine di questo libro, diamo il passo all’autore con una breve intervista.
“Mondo è stato e Mondo sarà”, un titolo che, evocando un adagio popolare, fa pensare all’arrendevolezza, all’accorata constatazione con cui si accettano il corso naturale delle cose e le avversità vita. È per questo che lo ha scelto?
Mondo è stato e mondo sarà non è l’esatta traduzione. Quella esatta sarebbe “mondo è stato e mondo è”, poiché nei dialetti meridionali il futuro indicativo non esiste. Per indicare un momento futuro si aggiunge un marcatore temporale: domani, domenica, in estate, a Natale e così via.
C’è un orizzonte chiuso. Nel titolo ho voluto dare aprire quest’orizzonte e indicare un futuro o dei futuri. Un tempo non vincolato e nel quale ognuno può auto determinarsi. Dove ognuno ha gli strumenti o meglio può acquisire gli strumenti, e la consapevolezza, per scriversi il proprio futuro. Ma naturalmente non accade per caso, è frutto di un percorso e anche di sacrifici. Le fiabe, i primi racconti che ascoltiamo da piccoli, da sempre ci raccontano in fondo ci dicono questo, che bisogna superare delle prove e non sfiduciarsi. Quindi Mondo è stato e Mondo sarà è anche un titolo che ha un significato aperto. Uno zaino dove ognuno ci mette quello vuole secondo la propria visione del vivere quotidiano.
Il suo romanzo, tratteggiando personaggi lucani, è ambientato nei diversi Sud del Mondo dove gli uomini e le donne dei tanti Mezzogiorni del Mondo vivono in perenne tensione tra lotta per il cambiamento e l’accettazione. Anche la collocazione temporale dei personaggi ha contorni volutamente sfumati, quasi a voler dare un’atemporalità alla narrazione?
Esatto. I Sud come condizione universale dell’uomo. Non esiste un povero o uno sfruttato. Non esisterebbe il problema. Esistono i poveri, gli emarginati, gli ultimi. Esiste un problema che è universale ed è un problema che coinvolge tutti, nessuno escluso. Questa dimensione geografica senza confini, ben racchiusa nella frase di Scotellaro “La mia patria è dove l’erba trema”, non è la sola dimensione. Esiste nel libro anche una dimensione temporale in cui i temi ritornano in forme diverse ma con atteggiamenti simili. Tempi che si ricorrono secondo una progressione ciclica o aspirale ma che apparentemente fermi hanno una diversa connotazione di consapevolezza. I personaggi sviluppano nel tempo del libro una consapevolezza che deriva dalle esperienze vissute e dagli incontri avuti che li sviluppa anche in un tempo nuovo.
“Quanto potente è scrivere. Che senso di libertà ti dà scrivere…” si legge nel tuo volume. Quando è scattata la molla interiore per cui ha compreso che era il momento di scrivere, di lasciare pagine di altri uomini?
La scrittura è un momento di evoluzione. Scrivere significa fermare i pensieri e soprattutto trasmetterli. Non è un caso che “l’invenzione” della scrittura sia un crocevia, il passaggio dell’Uomo dalla preistoria alla storia. Sinceramente non mi sono mai sentito pronto. Scrivere di altri uomini, scrivere storie, di momenti di vita personali o sociali è sempre un momento delicato. La scrittura ti mette a confronto con te stessi e poi ci si confronta con i soggetti delle storie e alla fine ci si confronta con altri scrittori. E quindi le domande che uno si fa diventano tante. La molla è scattata quando ho smesso di farmi domande e ho accettato l’incitamento di amici che mi spronavano a pubblicare.
Un elemento del tutto peculiare del suo romanzo è la cura nella descrizione degli elementi del paesaggio e dei fenomeni naturali quasi a volerli rendere vivi, animandoli in un pathos unico con i personaggi. La natura e l’ecologia come “entità emozionali”?
Il Paesaggio è la prima cosa che assorbiamo e in qualche modo ci dà una sorta di imprinting culturale. Dal paesaggio deriva una forma di economia della parola, del comportamento sociale, delle relazioni, della fretta e della velocità. Il paesaggio culturale è una mappa che disegna una frontiera nella percezione del tempo, una linea tra tempo biologico e tempo meccanico, e che incide sull’intensità delle relazioni.
Hai citato Rocco Scotellaro, nella seconda di copertina hai riportato i versi di Amelia Rosselli dedicati proprio a Scotellaro.
Mi affascina la figura di Amelia Rosselli, la sua storia familiare, politica, personale, poetica, il suo vivere dentro la poesia. Mi ha colpito il suo rapporto con Scotellaro e la Lucania, due storie di livello diverso che si incrociano e si legano con fili doppi. Un poeta della Lucania, terra oggetto di “spedizioni” come si trattasse di un luogo ai confini del mondo, quasi tribale, primitivo, “fuori dalla storia” anziché terra antica e crocevia di culture, a poche ore da Roma e Napoli, e una poetessa ebraica con tutto il carico della storia che essere ebrei comporta. E la loro storia di amore in cui riversano, nel mio immaginario, l’amore per una terra in sofferenza e i suoi abitanti costretti a vario modo a esili, diversi ma uguali. Ho immaginato Lucania dei tempi di Scotellaro e Rosselli come l’Exodus, nave inglese che ebbe il compito di trasportare in gran segreto degli ebrei verso la “Terra di Israele”, che naviga nella contemporaneità per immaginando una “Terra promessa” o meglio un nuovo tempo, un “Tempo Promesso”.
Video tratto dal capitolo Scirocco: