mercoledì, 9 Luglio , 2025
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Su Sassi e riforma agraria De Gasperi ci arrivò dopo Togliatti e Michele Bianco

Non sono andato a vedere la mostra dedicata a De Gasperi, organizzata a Matera, presso l’Istituto Sant’Anna, dal movimento di Comunione e Liberazione e dalla Fondazione De Gasperi; né voglio entrare nel merito del processo di beatificazione e, successivamente, di santificazione dello statista. In genere, indipendentemente da De Gasperi, dubito di certi processi di beatificazione e santificazione a ridosso della morte, generalmente impostati e decretati dopo qualche miracolo, che, inevitabilmente, tocca il motivo delle guarigioni. Ci sono stati secoli, durante i quali i nuovi santi pullularono. Servivano per affermare la potenza della Chiesa. Accadde nel Seicento, con conseguente mercato della reliquie. Alcuni santi, successivamente, sono stati cancellati, come di dubbia esistenza o sicuramente mai esistiti. Che se poi al processo di beatificazione viene sottoposto un uomo pubblico, e quindi un politico, il discorso si fa particolarmente delicato. La storia è un processo sempre complesso; e complessi sono i personaggi che vi sono o vi furono immersi. Non tacerò di aver spesso, da comunista, scritto e parlato dei meriti di De Gasperi. A Matera lo statista ha meritato un monumento, una targa e una importante strada. Lo si è celebrato e lo si celebra come colui che ha risolto il problema dei Sassi e fu promotore o comunque consenziente alla riforma agraria e alla “terra a chi la lavora”. Tutto giusto; sono cose che da sole meriterebbero almeno la beatificazione. Ma si priva l’uomo di aspetti e contraddizioni e dubbi, che dovettero essere tormenti e che contribuirono a fare di lui un uomo, e quindi un beato sempre vicino.
Non erano facili gli anni dell’immediato dopoguerra, segnato da un fervido lavoro di ricostruzione, ma anche non privo di paure e di contrasti. De Gasperi, in quanto uno degli attori e protagonisti più attivi della politica di quegli anni, non fu fuori della tempesta e nemmeno lontano da errori o discutibili atteggiamenti o scelte obbligate, con avversari anche all’interno della Chiesa e della Democrazia Cristiana. Riteniamo che sempre e solo deve valere la buona fede. Ero ragazzo quando lessi un foglietto in cui De Gasperi, aggredito dal Partito comunista, veniva indicato come colui che, deputato austriaco, aveva mandato a morte Cesare Battisti e aveva votato per la fornitura delle armi all’esercito austriaco, allora, 1915-18, in guerra con l’Italia. De Gasperi, insomma, era un nemico degli Italiani e dell’Italia. Cantavamo, nei Sassi, nel modo che segue: “E se De Gasperi non marcia bene / lo legheremo alle catene”.
Nell’estate del 1945, dal 25 giugno al 24 novembre, era presidente del Consiglio, con tutti i partiti della Resistenza e di salvezza nazionale, il benemerito Ferruccio Parri, di alta e provata onestà, figura esemplare. La Democrazia Cristiana, mal sopportando tale governo, tramò per la sostituzione di Parri con Alcide de Gasperi. Il colpo riuscì, con grave disappunto e condanna da parte di Carlo Levi, che ne scrisse nell’Orologio. Il 10 dicembre De Gasperi era già Capo del Governo. Tale rimase fino al 1953, sconfitto sulla legge truffa, da lui voluta e sostenuta.
Gli anni intermedi non furono meno drammatici e mossi. Nel 1947 fece un viaggio in America, per prendere accordi, se non ordini da Truman. C’era in gioco il piano Marshall, che veniva applicato solo a quei Paesi che dichiaravano opposizione ferma ai movimenti di ispirazione marxista. Il partito comunista e quello socialista furono mandati all’ opposizione, ad escludendum. Furono però esclusi ed emarginati, a dire la verità poco cristianamente, alcuni milioni di italiani, che, spesso, inutilmente aspirarono ad un posto di lavoro, ad un impiego, o alla quota di terra dell’Ente Riforma, quando non ci fosse la lettera del parroco o del vescovo, o dell’ onorevole democristiano. Per non dire di altro e di altri. In America al piano Marshall, e alla politica che creava Paesi dalla libertà limitata, si oppose fieramente un lucano, di Picerno, deputato in America, rispondente al nome di Vito Marcantonio. Fu ritenuto comunista. Il cardinale Spellman gli negò i funerali religiosi, fatti, invece, in un mare di folla. Accadeva il 9 agosto 1954. Marcantonio aveva 52 anni. Sul suo petto, da morto, gli fu trovato un Crocifisso; in tasca aveva una medaglietta raffigurante santa Francesca Cabrini, protettrice degli emigrati.
Nel 1949 il Parlamento italiano votò l’adesione dell’Italia alla NATO. Un sincero e forse ingenuo cattolico grassanese, on. Gaetano Ambrico, sulle orme di La Pira e Dossetti, votò contro, intuendo i pericoli di una spaccatura nel mondo di allora, sfida al mondo sovietico, comunista, con rischi di guerra. Votò contro il provvedimento. De Gasperi, grande sostenitore, insieme con papa Pio XII, della NATO, sarcastico commentò: “Ma chi è questo Lombrico?”.
Qualche anno dopo, Giovannino Guareschi pubblicò due lettere attribuite a De Gasperi, con cui, in piena guerra, si invitavano gli Alleati a bombardare alcuni obiettivi militari e la periferia di Roma, sì da indurre alla sollevazione antitedesca il popolo romano. Il tribunale decise che erano un falso; ma la storia non l’ha accertato con assoluta chiarezza. Di certo non si volle procedere alla perizia calligrafica; di certo, non si voleva compromettere l’immagine di un Capo di Governo in carica. Giovanni Guareschi, ritenuto, a suo dire, ingiustamente colpevole, rinunziò alla difesa, accettando tredici mesi di carcere in San Francesco a Parma. “Non merito – disse. – Non si può accettare un sopruso di questo genere”. De Gasperi , invece, secondo quanto se ne sa, ed è stato scritto, non più Capo del Governo, commentò: “Sono stato in galera anch’io, ci può andare anche lui”. De Gasperi morì poco dopo, mentre Giovannino Guareschi scontava il suo carcere; ma, Guareschi, confrontando la sua figura di politico con quelle successivamente in giro, ebbe a dire: ”Al confronto con i campioni politici di oggi, era un gigante… Anche se ciò dovesse costarmi altrettanti guai di quelli passati, vorrei sinceramente che tornasse; se ci ripenso, era il migliore”.
Ovviamente non possiamo non essere d’accordo con Guareschi; più ci dispiace che, da Matera, anche uomini che sanno, parlando di De Gasperi, gli hanno attribuito, e solo a lui, il merito di aver risolto il problema dei Sassi e aver promosso o accolto la riforma agraria. In realtà, nei Sassi ci venne per ultimo. Arrivò il 23 luglio 1950; il memorabile arrivo di Togliatti con discorso, si ebbe, invece, il 1° aprile 1948, più di due anni prima. Quando De Gasperi venne, i Sassi erano diventati un problema nazionale, e non certo per merito della Democrazia Cristiana, i cui aderenti, molti del Piano, galantuomini, artigiani e commercianti, ben poco sapevano dei Sassi e delle tragiche condizioni di vita che vi sussistevano. Non avevano bestie in casa. Lo sapevano i contadini, che, in gran numero, aderivano al Partito comunista. Già nel 1946 Michele Bianco, segretario provinciale del PCI, tornato da Napoli, all’architetto Stella e all’architetto Masciandaro aveva dato incarico di allestire una mostra fotografica sui Sassi. La stessa mostra fu poi portata a Roma, nella sede del Ministero dei Lavori Pubblici.
Appena entrato in Parlamento con elezioni del 18 aprile 1948, lo stesso Michele Bianco tenne un violento discorso sui Sassi di Matera. Seguirono altri discorsi veementi il 3 ottobre 1949, il 27 febbraio 1951, il 6 marzo 1951 e il 27 settembre 1951. Incalzava Michele Guanti, segretario della Camera del Lavoro, che ne parlò in una affollatissima Assise a Portici. A Michele Guanti, senatore, il sindaco Bennardi, avverso la nostra richiesta, non ha trovato tempo e modo di dedicare un strada. Speriamo nel nuovo Sindaco. Il risultato di tanto impegno da parte del PCI e dell’on. Bianco fu che, il giorno 26 marzo 1951, l’on. Bianco presentava una proposta di legge. “sul risanamento dei Sassi”. Solo cinque mesi dopo venne quella democristiana. Le due proposte, discusse insieme, diventarono la legge n. 619 del 17 maggio 1952.
Chi in questi giorni ha ricordato, da Matera, il ruolo e l’impegno indiscussi e indiscutibili di De Gasperi, aveva l’obbligo di dire queste cose degli avversari politici del tempo, soprattutto comunisti. Chi ha celebrato De Gasperi da lontano, come la Fondazione e come Comunione e Liberazione, come parte in gioco, non aveva interesse a dirle, anche perché poteva non saperle; ma chi, come noi, è stato dall’ altra parte, ha il dovere di mettere la storia di Matera in chiaro, anche perché, dai contrasti e dalle battaglie, la storia acquista luce. E ne prendono luce i protagonisti. Si è grandi anche quando si fanno errori e si prendono posizioni che, nel tempo, risultano fuori di ogni logica. La storia si fa nel contesto del luogo e del tempo; e il contesto dice che De Gasperi, Presidente del Consiglio per otto anni, tra errori e pregiudizi del tempo e del luogo, ebbe sempre chiaro il porto verso cui la barca malandata dell’Italia, segnata dalla guerra e da vent’anni di fascismo, doveva andare. E ce la consegnò attraverso un mare procelloso, imperfetta sì, ammaccata magari, bloccata, perché senza possibilità di alternanza, ma pur sempre forte della sua Costituzione.

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