Porto di Brindisi, ormai entroterra poverissimo, due giorni dopo la firma dell’armistizio, vi ormeggia la corvetta che trasporta, da Ortona, Vittorio Emanuele e Badoglio in fuga da Roma. E’ il 10 settembre 1943, a Brindisi, capitale provvisoria del Regno, si respira un’atmosfera di grande confusione: le truppe raccolte intorno alla città conservano solo l’apparenza di un esercito. Più lontano la situazione peggiora. Insorti che si raccolgono nelle città della costa pugliese, demoralizzati dal disastro. Nei paesi della Basilicata si animano varie rivolte della popolazione in reazione alle ruberie e ai saccheggi compiuti dai tedeschi. C’è il timore che tutto precipiti nell’anarchia. Mentre nel resto dell’Italia centro settentrionale inizia a organizzarsi una Resistenza alla repressione tedesca in chiave strategico-politica, sotto il fianco orientale del Monte Vulture, nella terra delle viti “maschie” con i campi coltivati a granturco, ebbe inizio un pezzo di storia diversa.
Una bascula al posto della stadera e trucchi di umidità. La frode sul peso si perpetra: quintali di grano sottratti ai braccianti e pile di viveri nel magazzino del direttore del Consorzio Agrario, Ciancianelli. E’ il 15 settembre 1943. Nella casa di Ciancianelli a Maschito, tre ufficiali tedeschi pasteggiano con ogni opulenza. Si affacciano sulla piazza a prender aria innalzando calici di vino verso indegne bocche ancora traboccanti di cibo: uno schiaffo ai contadini che discutono di stenti e di tasse. Scatta la scintilla.
Capeggiati da Domenico Bochicchio, contadino analfabeta, sette uomini si dirigono verso il Consorzio Agrario, emblema dei soprusi e del potere fascista. Sono a mani nude. Mani solcate dalla fatica, arse dal sole e asciugate dal vento, assetate di giustizia. Come un ponte tra la terra e il pensiero, le mani di quei braccianti si fiondano sull’abbondanza sottratta. Giustizia è fatta: il podestà viene deposto e in assemblea i maschitani decidono la decadenza di tutte le autorità fasciste e della monarchia, e proclamano la repubblica contadina e antifascista.
Per molti studiosi della Resistenza, a Maschito, alla periferia della grande storia, nasce forse la prima Repubblica Partigiana d’Italia. La stagione “repubblicana” contadina fu breve, durò circa venti giorni. Agli inizi di ottobre del 1943 alcuni dirigenti della rivolta vengono arrestati per ordine del comando alleato. Come la fugace Bramea del Vulture, rara falena fossile vivente, reca tracce di vita antichissime, la Repubblica di Maschito fu portatrice delle aspirazioni del popolo verso una nuova organizzazione della vita pubblica, ispirata agli ideali del bene comune, della legalità e della giustizia sociale.
Si sa la Storia è fatta di sentieri, di episodi e anche di piccoli gesti che, come diceva Italo Calvino, “sono pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla mia storia di domani, sulla storia di domani del genere umano”. Sfuggita ai libri di Storia, la reazione popolare alle violenze della Wermacht, in alcune aree del Mezzogiorno e ancor più la rivolta delle leggi fasciste per mano dei contadini di Maschito, è stata affidata a una flebile e sporadica memoria pubblica, che dagli anni della transizione dal fascismo alla repubblica sino a oggi è stata isolata nel dibattito politico-culturale.
La storia del popolo di Maschito è una storia che ancora emette voci e richiami alla memoria. La memoria delle sofferenze e delle battaglie va difesa e rilanciata nei nostri pensieri e sentimenti di uomini e donne del Sud. E come ogni sentimento va curato affinché il virus dell’individualismo e della dimenticanza non se ne appropri.