Nella prima parte di questo intervento si è parlato di due schedati militanti in partiti di sinistra. Vediamo adesso chi erano gli ex fascisti blandamente attenzionati dalle autorità di polizia postfasciste. Il primo, Antonio Pelazzi, fu tra gli organizzatori della spedizione squadrista su Bernalda del 31 gennaio 1923. Un evento che portò all’uccisione di tre civili (Pasquale Gallitelli, Giuseppe Viggiano e Maria Di Stasi, quest’ultima colpita mentre allattava il figlio) e a devastazioni e furti sistematici. L’azione era stata attuata, su richiesta di alcuni proprietari terrieri fascisti della stessa cittadina, per abbattere l’amministrazione comunale che dopo la marcia su Roma aveva cercato di mantenersi al potere aderendo al nazionalismo.
Pisticci, il podestà Pelazzi fra i suoi fidi Dopo i fatti, risulta dagli atti processuali, Pelazzi intimidì testimoni e magistrati per evitare condanne. Gli faceva buona compagnia, in primis, il deputato Vito Catalani, che avrebbe dovuto essere il principale imputato e fu, invece, il difensore degli imputati. In sintesi, si può dire che l’episodio riflette fedelmente la strategia fascista di impunità assicurata dall’amnistia per i crimini “a fini nazionali” che arrivò puntualmente. Accolto da trionfatore dopo un processo-farsa, Antonio Pelazzi fu poi sindaco e podestà di Pisticci e, ormai fascista di mestiere, partecipò poi alla guerra civile di Spagna per scalzare il governo repubblicano legittimamente eletto e all’occupazione dell’Albania. Con l’entrata in guerra del nostro paese, prese poi parte all’occupazione della Jugoslavia (1941-1943), distinguendosi per ferocia nelle operazioni antipartigiane. Come console della Milizia Volontaria, collaborò infatti con gli ustascia croati e i nazisti, applicando politiche di repressione che includevano rappresaglie su civili, fucilazioni di ostaggi e deportazioni in campi di concentramento. Si ricorda, ad d esempio ciò che accadde a: -Podhum (1942) con 91 uomini fucilati e interi villaggi incendiati su ordine del prefetto Temistocle Testa;- Lubiana con circa 5.000 civili uccisi durante l’occupazione e deportazioni di massa in campi come Arbe (Rab), dove morirono migliaia di persone per fame e malattie;- nel Montenegro dove il generale Pirzio Biroli, con cui Pelazzi operò, ordinò l’uccisione di 50 ostaggi per ogni soldato italiano morto.
Mokrng (Jugoslavia) 1942. Il console fascista Antobio Pelazzi si intrattiene con le guardie bianche filotedesche. (in httpsarchivio.fototeca-gilardi.comI) Queste azioni rientravano nella logica della “circolare 3C” del generale Roatta, che teorizzava una repressione spietata (“testa per dente”), e furono giustificate da Mussolini come necessaria dimostrazione di forza contro i partigiani. Della figura di Pelazzi si è fatta da tempo una strumentalizzazione che antepone il mito alla realtà. Giuseppe Coniglio, nell’intervento su questo stesso blog risalente a un anno fa e intitolato «Quell’ultimo sacrificio del “diavolo nero”», lo presenta come un eroe che “salvò i pisticcesi dalle foibe”, sottolineando il suo “sacrificio” in Slovenia nel 1944. Ancora più elogiativo il ritratto comparso sul sito https://www.pisticci.com/index.php/cultura-e-spettacoli/item/7876-pisticci-celebrato-giorno-ricordo.html in occasione della celebrazione del giorno del ricordo. Tuttavia, questa narrazione omette, oltre, al ruolo avuto da Pelazzi a Bernalda e il suo inserimento fra i criminali di guerra, l’elencazione dei precedenti “sacrifici” fatti dallo stesso e, non meno importante quando si scrive di storia, l’indicazione delle fonti. Manca poi, più in generale, ogni riferimento al contesto di “crimini sistematici” commessi dalle forze italiane in Jugoslavia e documentati sia dalla Commissione Gasparotto (1947) che da studi successivi. Così come alla “corresponsabilità diretta” di Pelazzi in operazioni di controguerriglia che colpivano civili inermi, come evidenziato dai rapporti della Commissione ONU sui crimini di guerra.

In conclusione: Antonio Pelazzi non fu un “eroe dimenticato”, ma un attivo collaboratore di un sistema di occupazione brutale. La sua storia riflette l’ambiguità della memoria italiana: da un lato, il silenzio sui crimini di guerra; dall’altro, la strumentalizzazione di figure controverse per fini politici. Documenti come la Relazione italo-slovena (https://www.isgrec.it) e gli archivi della Commissione Gasparotto sono fondamentali per una ricostruzione critica, lontana da miti e semplificazioni. Collegare questo personaggio alla giornata del ricordo non mi sembra il modo migliore di onorare quanti furono realmente vittime innocenti della violenza etnica che colpì anche gli italiani nella tormentata zona di frontiera con la Jugoslavia.
Per approfondire: – Fonti primarie: Archivio Centrale dello Stato (ACS), fascicolo CPC su Pelazzi. – Studi consigliati: L’Italia fascista potenza occupante (B. Mantelli) e Fascist Legacy (documentario BBC 1989, mai trasmesso in Rai).
Domenico Tilena: un fascista lucan-napoletano tra collaborazionismo e corporativismo. Domenico Tilena, nato a Ferrandina nel 1902, fu un fascista della prima ora e da Napoli dove -come tanti altri lucani- era andato a studiare e poi si era fermato, cercò di condizionare le vicende lucane. Seguace di Nicola Sansanelli, nel 1925 denunciò al regime le malefatte del deputato Francesco D’Alessio, accusandolo di aver scalzato i vecchi fascisti, dai quali era disprezzato, a vantaggio di chiunque gli assicurasse fedeltà. Non ottenendo risposta dal PNF, diffuse un dossier che di questi elencava gli imbarazzanti trascorsi, ma una querela per diffamazione da parte dell’accusato, divenuto nel frattempo sottosegretario alle Finanze, lo costrinse al silenzio. Questo episodio riflette le lotte interne al Partito Nazionale Fascista (PNF) che durante il periodo di consolidamento del regime investirono anche la piccola Basilicata del potere fascista. Tilena tornò alla ribalta dopo il 25 luglio 1943, quando, da segretario federale, aderì alla Repubblica Sociale Italiana (RSI) e ricostituì la Federazione Fascista di Napoli, collaborando con i nazisti. Durante l’occupazione, fu coinvolto nel reclutamento forzato di 4.000 lavoratori da inviare in Germania e combatté al fianco dei tedeschi durante le Quattro Giornate di Napoli (27–30 settembre 1943) che videro i napoletani insorgere contro gli oppressori. Scugnizzo durante le quattro giornate di Napoli Tilena, in qualità di federale, riaprì la sede del PNF a Via Medina, ottenendo l’adesione di circa 100 iscritti e provò a soffocare la rivolta nonostante lo scetticismo del colonnello Walter Schöll, comandante militare tedesco. Durante gli scontri, i franchi tiratori fascisti da lui guidati si opposero ai partigiani e si ebbero gravi episodi di violenza al Vomero, a Porta Capuana e a Piazza Mazzini. Per questi motivi nel dicembre 1944 Tilena fu processato e condannato a 6 anni e 8 mesi di carcere, da scontare a Procida, per collaborazionismo. Tuttavia, grazie all’amnistia Togliatti del giugno 1946, che favorì la liberazione di molti ex fascisti, fu rilasciato dopo 18 mesi. Il provvedimento, indispensabile per la ricostruzione del paese ma da molti criticato per la sua generosità verso i collaborazionisti, permise a figure come Tilena di rientrare nella vita pubblica.
Napoli 1944 Fu così che nel confuso dopoguerra ideò un progetto di ritorno al corporativismo (1956). Il sistema corporativo, teorizzato come una “terza via” tra capitalismo e comunismo, era stato uno strumento di controllo politico più che una riforma economica efficace. Tilena tentò di riproporlo in un’Italia ormai democratica, ignorando il fallimento storico del modello. Muovendosi sulla stessa linea fra nostalgia e speranza di riconquistare una qualche influenza, nel 1956 promosse il movimento dei Fasci Italiani Corporativi mirando al ritorno alla monarchia e a sottrarre consensi al Movimento Sociale Italiano (MSI) nelle elezioni amministrative, ma fallì nuovamente. La questura di Napoli lo definì «un visionario e un idealista», sottolineando il carattere utopico e poco pratico delle sue iniziative. Donne in attesa della loro razione di pane dopo la presa di Napoli da parte degli Alleati nel 1943 Figure come Tilena e il suo socio Domenico Leccisi (noto per il trafugamento della salma di Mussolini) simboleggiarono il tentativo di mantenere viva l’ideologia fascista, nonostante la condanna pubblica postbellica. La vicenda Tilena illustra il conflitto tra il tentativo di riabilitare il passato fascista e la realtà di un’Italia in transizione verso la democrazia. Il suo idealismo corporativista e la collaborazione con i nazisti lo resero una figura emblematica delle contraddizioni del neofascismo nel dopoguerra.
Napoli 1944
Per approfondire: ACS, CPC 1944-1967, f. 1603 b. 44, Nota questura di Napoli del 12/2/1956. Nota: questo scritto riprende, con varie modifiche, l’articolo da me pubblicato con lo stesso titolo nel dicembre 2023 sulla rivista Mathera.
(NB. nella foto di copertina: Napoli 1938, in attesa dell’arrivo di Hitler )

(Montescaglioso 1949), è laureato in lettere e ha insegnato Italiano e Storia nei corsi di scuola media per adulti a Torino.
Appassionato di storia regionale, si è interessato al brigantaggio, all’emigrazione transoceanica, alla figura di Francesco Saverio Nitti, al fascismo e alle lotte per la terra del secondo dopoguerra. Vari suoi saggi e articoli si possono leggere sulle riviste Bollettino Storico per la Basilicata, Basilicata Regione, Mondo Basilicata e su libri di autori vari (Soveria Mannelli 2008: Villa Nitti a Maratea. Il luogo del pensiero; Torino 2009: Dalla parte degli ultimi. Padre Prosperino in Mozambico; Potenza 2010: Potenza Capoluogo (1806-2006)).
Ha curato inoltre mostre foto-documentarie sull’emigrazione italiana, sugli stranieri in Italia, sulla vita e l’opera di F. S. Nitti, sulle donne al confino e sul confino degli omosessuali nel Materano. Quest’ultima è stata presentata finora in una quarantina di città e ultimamente a Firenze e a Cagliari nelle sedi regionali.
Ampliando la ricerca sul suddetto o tema ha poi pubblicato il libro Adelmo e gli altri. Confinati omosessuali in Lucania (ombrecorte, Verona 2019) andato presto esaurito.
Ha poi svolto un’ampia ricerca sugli stupri commessi nella regione negli anni del grande brigantaggio e sui femminicidi e gli omicidi commessi da donne. L’una e l’altra sono in speranzosa attesa di pubblicazione.