…e lo diciamo, rivolgendo l’invito al collega Riccardo Riccardi, dopo aver riletto (l’estate si ha più tempo) il suo libro ” La dinastia Ulmo” un viaggio sospeso nel tempo tra Matera, Taranto, Martina Franca, Castellaneta, Locorotondo, Ottaviano e Napoli. Ogni capitolo è la storia di un ramo di quella nobile casata, tra matrimoni d’interesse com’era un tempo, ambizioni, soddisfazioni, delusioni, guerre, commerci, arte, cultura, passioni e interessi che sarebbero emersi o coltivati per raggiungere obiettivi, anche a costo della vita altrui. Ed è quello che accadde a Taranto, era l’alba del 29 aprile 1754, al nobile Pietro Antonio Ulmo, trovato morto nel suo letto da un fedele servitore nella dimora di via Duomo. Comprensibile sgomento, disperazione anche per la consorte Donna Vittoria. Venne chiamato il medico, amico del nobile ,che manifestò da subito che il defunto fosse stato avvelenato, visto che nei giorni precedenti era in buona salute nonostante qualche acciacco. Ma morire così…Dubbio che avrebbe comunicato alla consorte, impegnata nel frattempo-e in attesa che arrivasse il sacerdote- a recuperare una cassetta di legno nella quale l’amato marito conservava i danari.
” Con gelida scaltrezza- scrive Riccardo Riccardi- riuscì a trovarla e a nascondere tutto in un luogo sicuro. Più tardi avrebbe riferito ai fratelli Ficatelli quando accaduti. Oltre al sospetto del medico nessuno avrebbe potuto ipotizzare una congettura così inquietante e sconvolgente. Gli Ulmo erano molto stimati, nessuno avrebbe mai potuto sospettare che qualcuno avrebbe potuto attentare alla loro vita. Ma lei ben sapeva che non era così. Ma avrebbe sempre mentito. Fino alla fine. Il veleno procurava sempre una morte invisibile, pulita ed era sempre impunita. Era sempre stata l’arma di chi agisce nell’ombra e vuole nascondere la propria colpa. Se nell’antichità molto si erano sfruttati la cicuta e l’assenzio, la scoperta dell’arsenico rivoluzionò la pratica del veneficio…” Ma la farina del diavolo, per dirla con un antico adagio, finisce sempre in crusca e la gestione dei beni di famiglia era destinata al fallimento. Donna Vittoria non era all’altezza della situazione, con i fratelli Ficatelli pronti a sfruttare ogni situazione, i figli maggiori fuori per studi o in convento, e i piccoli con lei e con la Regia Udienza di Lecce che affidò la gestione del patrimonio a curatori, per far fronte ai debiti e tirare avanti. E qui il giallo si tinge di grigio tra contenziosi, perizie, conteggi, ammanchi, verbali, confessioni, esami di coscienza e incoscienza…La storia c’è, quella narrata con il puntiglio di sempre da Riccardo Riccardi, che potrete fungere da aiuto regista. Ora tocca a un maestro della cinematografia o del teatro. Che ci sia da qualche parte un Ulmo, De o Di Ulmo da qualche parte appassionato di gialli del passato?
