Non si può dimenticare quanto accadde il 9 febbraio del 1688, con quella frana silente nella parte antica del paese che portò via 300 concittadini. Il suolo si abbassò di 60 metri e quella voragine inghiottì tutto. Inutili i soccorsi e per i superstiti non restò che stringersi intorno alla Chiesa Madre, in attesa che il miracolo della vita e della ricostruzione prendessero corpo. Così fu e con la benedizione di Sant’Apollonia e la volontà dei concittadini spuntarono le casette bianche del rione Dirupo. Il resto è memoria d’oggi con le campane che suonano a stormo per una identità rinnovata. Nel racconto di Peppino Coniglio la narrazione del 9 Febbraio 1688 e l’appuntamento annuale al Santuario del Casale.
PISTICCI – Tutta Pisticci si ritrova la mattina del 9 febbraio nel Santuario del Casale di Pisticci per commemorare le vittime della notte di S. Apollonia del 9 febbraio 1688 e per attestare l’attaccamento alle radici e alla sua storia. Con la celebrazione della S. Messa officiata dal clero ed il suono delle campane a stormo di tutte le chiese del territorio della sera dell’8 febbraio, si rinnova così una antica tradizione, su iniziativa dell’amministrazione comunale che ha recepito le motivazioni di ordine storico, sociale e religioso per ricordare l’avvenimento più drammatico di storia locale che provocò la morte di circa trecento persone. In quella triste notte di S. Apollonia, la parte più antica del paese si spaccò in due, a causa delle infiltrazioni di acqua di una vicina sorgente. “Accadde a nove del febbraio 1688 -riferisce una cronaca del tempo- ed il popolo posava nella quiete della notte, preceduta da una neve inaudita e spirava un orribile aquilone. Si vide verso le sette della notte smuoversi e crollarsi dalli fondamenti le case tutte”. Il suolo si abbassò per oltre sessanta metri e molti furono ingoiati dalle voragini e travolti dalle macerie. Un ruolo di primo piano fu svolto dai frati del convento francescano e del Casale che soccorsero ed ospitarono nelle loro celle molte persone. Nella solerte gara di solidarietà, si distinse, tra gli altri, anche il vescovo di Anglona-Tursi mons. Marco Matteo Cosentino, della nobile dinastia calabrese degli Ajeta, che inviò viveri, indumenti e medicinali. Qualche mese dopo, il feudatario di Pisticci don Carlo Càrdenas, consigliò il trasferimento del paese nei pressi dell’attuale Caporotondo, ma i pisticcesi non vollero abbandonare i loro luoghi nativi e si strinsero intorno alla loro Chiesa Madre, che, miracolosamente illesa, si ergeva ancora maestosa e superba, quasi a voler testimoniare la continuità della storia e della vita. Tutti i resti delle vittime furono inumate negli ampi ipogei della Chiesa Madre e solo dopo qualche anno, sgombrate tutte le macerie, venne avviata una lenta opera di ricostruzione. Come per incanto, spuntarono circa trecento bianche casette a schiera, primo nucleo di quello che costituirà il rione Dirupo, tipico esempio di architettura spontanea contadina, oggi una tra le “100 Meraviglie d’Italia” nel catalogo predisposto dal Ministero dei Beni Ambientali. Subito dopo la cerimonia religiosa, all’interno del cimitero autorità religiose, civili e militari hanno deposto una corona sul cippo marmoreo a ricordo delle vittime della frana. (G. C.)
Il giorno e l’ora esatti della tragedia di S. Apollonia del 1688. Il giovane musicista e ricercatore D’Avenia Giuseppe D’Antonio cerca di stabilirne la verità in questo trattato di notevole interesse storico e scientifico.
