Tedeschi in ritirata, paracadutisti italiani fascisti, lo zelo di un federale del Ventennio e la disperazione, alimentata dalla fame della popolazione rionerese, furono i protagonisti dell’eccidio di Rionero in Vulture del 24 settembre 1943, segnato dalla morte di concittadini inermi che pagarono con la vita arroganza, rancore, disprezzo di un potere senza umanità che non risparmiava nessuno. A raccontarci come andò quella giornata e cosa accadde nei giorni precedenti è il direttore del Museo del Comunismo e della Resistenza di Matera, Francesco Calculli, da sempre impegnato nella ricerca storica e nella tutela e divulgazione di una memoria dei popoli, a cominciare da quello lucano, che subì angherie, violenze fino alla morte, scrivendo pagine di storia che hanno contribuito alla lotta di Liberazione e a gettare le basi per la Costituzione repubblicana. Ai giovani l’invito a guardarsi indietro a sapere da dove veniamo e perché la Costituzione va difesa contro quanti per disegni autoritari vogliono ‘’silenziare’’ il 25 aprile ( la cronaca di questi giorni ne è la conferma) e ridimensionare le libertà democratiche.
ECCIDIO DI RIONERO IN VULTURE 24 SETTEMBRE 1943 : CHE COSA E’ SUCCESSO Di Francesco Calculli Il settembre 1943, dappertutto, e in particolare nel Sud, fu insanguinato in ossequio agli ordini di generale devastazione che partivano da Berlino. Un Sud peraltro che ebbe immediatamente molti momenti e luoghi di scontro e di massacro, protagonisti essendo uomini semplici che si ribellavano alla rapina e ai soprusi , alle devastazioni , agli assassinii. Ecco dunque una sintesi breve ma precisa del tragico settembre a Rionero in Vulture. In quel periodo nel paese era presente un distaccamento di forze italo – tedesche in ritirata dal Sud dopo lo sbarco alleato in Italia. Sono tristemente noti gli atti di ferocia compiuti da queste truppe, atti che non risparmiarono nemmeno Rionero in Vulture dove la barbarie nazifascista superò ogni limite immaginabile poiché la legge della decimazione fu applicata anche in mancanza di morti tra i soldati. Il 16 settembre 1943 la popolazione rionerese si riversò nei magazzini militari della VII armata abbandonati dai tedeschi che se ne erano impadroniti dopo l’8 settembre. Ad impedire il saccheggio intervennero alcuni cittadini del luogo i quali insistettero perché quei magazzini venissero incendiati anziché essere lasciati a disposizione delle truppe angloamericane le cui avanguardie erano a pochi chilometri dal paese. Un reparto tedesco si recò sul posto, la popolazione fu dispersa a colpi di mitra ed i magazzini incendiati. Una donna, che era stata ferita da un colpo di arma da fuoco, finì tra le fiamme mentre la si poteva salvare. Un ragazzo fu colpito mortalmente. Dopo qualche giorno era rimasta a Rionero soltanto una sparuta retroguardia nazifascista costituita da un reparto tedesco e da un reparto di paracadutisti italiani comandato, quest’ultimo, dal capitano Edoardo Sala.Il 21 settembre a Matera tutti i cittadini erano insorti contro i tedeschi e c’era stata una sparatoria infernale che aveva provocato la morte di una decina di persone; altre 14 tenute in ostaggio nel palazzo della Milizia fascista, erano state fatte saltare in aria con tutto il palazzo, per la rappresaglia. La notizia si era appresa fuori, da radio Londra , e probabilmente anche i tedeschi , nonché i rioneresi, avevano saputo ed erano in allarme. Il 24 settembre un sergente paracadutista , Garofalo Donato fu sorpreso con alcuni soldati mentre razziava delle galline in una zona periferica di Rionero, al rione Calvario. L’episodio del furto fu la causa scatenante della reazione di un cittadino rionerese, Sibilia Pasquale, il quale imbracciò un vecchio fucile da caccia ed esplose un colpo in direzione dei soldati ferendo leggermente il Garofalo ad una mano. Il Sibilia, invece, venne ferito gravemente alla gamba destra. La reazione del citato Sibilia fu la conseguenza di una situazione esasperata causata dal comportamento brutale dei militari fascisti e tedeschi nei confronti della popolazione rionerese. Immediatamente scattò la rappresaglia nazifascista. Il rione ” Piano delle Cantine” , dove era ubicata l’abitazione del Sibilia, venne subito rastrellato e furono catturati 16 civili che insieme al Sibilia e, dopo un sommario processo , barbaramente trucidati nel rione ” S. Antonio”. Di queste 17 persone solo una, un certo De Mattia, riuscì a salvarsi perché il suo corpo venne ricoperto dai cadaveri delle altre. Dopo qualche giorno dall’arrivo delle truppe alleate , il comando americano , dopo aver interrogato il De Mattia , ed aver svolto le opportune indagini , arrestò il comandante dei vigili urbani di Rionero, Ubaldo Libutti, al quale si attribuiva la morte della donna e del ragazzo ai magazzini militari. Si assumeva che il Libutti avesse provocato l’intervento dei tedeschi ed avesse, lui personalmente colpito sia la donna che il ragazzo ed istigato i tedeschi ad incendiare i locali nonostante sapesse che all’interno vi fosse una donna ferità. Per i fatti del 24 settembre si assumeva che il Libutti avesse concorso nella compilazione della lista dei fucilati e coadiuvato i militari , italiani e tedeschi , in questa macabra azione .
Nel gennaio del 1948, un testimone, Farina Isacco, riconobbe di aver presenziato , dietro ordine del comandante del suo reparto capitano Sala, alla brutale esecuzione avvenuta il 24 settembre. Di quei giorni comunque val la pena , ancora, di aggiungere la drammatica testimonianza di Francesco Nitti, il principale artefice della insurrezione che avvenne a Matera il 21 settembre 1943, e darne un breve resoconto. « Alle ore 9 circa del mattino dell’11 settembre , una trentina di ufficiali e militari tedeschi armati di mitragliatrici e di fucili mitragliatori , si presentarono al magazzino viveri dell’ Intendenza della VII armata, sito in Largo Fiera, al rione ” Forche” , in Rionero in Vulture, e qui, dopo aver disarmato due militari di guardia ed altri militari italiani venuti a prendere viveri, sottrassero e portarono via , con tre automezzi , abbondanti quantitativi di pasta , carne, surrogato di caffè ed altro. Si trattava di un reparto tedesco in ritirata, al quale si era aggiunto uno sparuto manipolo di ufficiali e sottufficiali paracadutisti italiani, capeggiati dall’ allora capitano Edoardo Sala. I pochi carabinieri disponibili in paese, cinque o sei in tutto, non bastavano alla tutela dell’ordine pubblico; i due marescialli, uno comandante di sezione e l’altro comandante di stazione , si fecero prudentissimi e preferirono osservare piuttosto che intervenire ; c’erano poi cinque guardie municipali ma erano poche; e c’era il loro comandante, Ubaldo Libutti di 42 anni , fascista antemarcia e sciarpa littoria, il quale conosceva un poco di tedesco ed era rimasto fedelissimo alla ideologia del defunto regime. Questi divenne subito, naturalmente, consigliere e guida ufficiale, diciamo così, dei tedeschi e dei paracadutisti fascisti , i quali tutti si misero a far da padroni in paese e a lui si rivolgevano per ogni loro necessità. La mattina del 16 settembre si sparse la voce che i tedeschi , in procinto di allontanarsi dal paese , avrebbero distrutto i magazzini viveri dell’Intendenza della VII armata, che si trovavano alle ” Casette S. Antonio” ed erano costituiti da tre file di padiglioni distaccati uno dall’altro. Erano circa le nove del mattino ed in poco tempo fu un accorrere precipitoso di una folla di persone che, nella eventuale temuta opera di distruzione, speravano di procurarsi qualche genere necessario ai bisogni alimentari , nella penuria causata dalle lunghe privazioni. Qualcuno più fortunato era già riuscito a portar via un poco di farina o di riso. Ma c’era ancora tanta altra gente che accorreva dalle case , dalle strade, dalla piazza : donne , ragazzi , giovani e vecchi, d’ogni condizione sociale. Nello scompiglio generale sopraggiunsero due guardie municipali con il loro comandante e un gruppo di militari tedeschi, i quali per impedire il saccheggio incominciarono a sparare in aria per intimorire e disperdere la folla, che in parte aveva invaso il locale e si era precipitata sui sacchi colmi di farina per portarli via o per sventrarli e riempire cuscini e sacchi più piccoli. Michele Cammarota, contadino, che sapeva parlare un poco di tedesco , domandò perché sparassero e quelli risposero che sparavano a terra e in aria. Cammarota cercava suo figlio; chiese di entrare nel magazzino . Non c’era; c’era invece una donna, lì fra i sacchi, ferità al collo ma ancora viva. Cammarota chiamò gente, gridò che c’era una donna ferita , nessuno gli badò. Anna Recina, accorsa anche lei per un poco di farina per i figli, fu presa a calci da un militare fascista italiano e cadde a terra. C’era Donato Quinto, che era venuto perchè gli avevano detto che si distribuiva la farina con tessera; c’era Antonio Trafficante il quale sentì gridare durante il saccheggiò : ” A nome del Duce qui si brucia tutto !” ; c’era Luigi Cammarota che si allontanò prima dell’incendio; c’era Giovanni Romaniello che vide i tedeschi mentre lanciavano bombe a mano; c’era Donato Cammarota, c’era Michele Marino, c’era Michele Luppolo, c’era Luigi Lapadula; c’era Michele Colangelo, c’era Francesco Trafficante , c’era Angelo Moello; c’erano tanti, tanti altri di Rionero. C’era Raffaele Nardozza che vide morire Antonio Cardillicchio, il giovinetto diciassettenne, che era riuscito ad entrare nel magazzino e a caricarsi sulle spalle un mezzo sacco di riso ma poi, quando era già uscito , qualcuno gli aveva sparato alla testa. Lo vide anche Luigi La Monica, un ragazzo di 14 anni, che si era recato alle “Casette di S. Antonio” ed era riuscito a prendere una scatola di surrogato di caffè ma sorpreso dagli spari, all’uscita del magazzino, s’era gettato a terra nel campo che sta fra il paese e le “Casette di S. Antonio”; e fu proprio lì che vide, ad un tratto, il giovane Cardillicchio mentre si accasciava ferito a morte piegandosi sulle ginocchia accanto al mezzo sacco di riso. Maria Petroso s’era trovata anche lei alle “Casette” per prendere come gli altri un pò di roba da mangiare. Riuscita ad entrare nel magazzino e qui, sorpresa dalla sparatoria , non volle allontanarsi a mani vuote. Adocchiato un sacco più piccolo di circa un quintale di farina , s’intese con una vecchiarella che invano tentava di smuovere un altro sacco. Scelsero il sacco più piccolo ed incominciarono a trasportarlo fuori quando qualcuno s’accostò e sparò dalle spalle sulla povera vecchia. Elisa Giordano, di 68 anni, madre di sette figli , dei quali uno prigioniero di guerra , si accasciò con le mani ancora strette al sacco e un fiotto di sangue gli uscì dalla bocca. Era la donna vista ferita da Michele Cammarota. Maria Petroso la chiamò poi che la vide accasciarsi, ma quella aveva finito per abbandonarsi del tutto. Chi poteva accorgersi di quella vecchia che stava morendo? Anche Carmela , la figlia stessa della vecchia, era accorsa per un poco di farina; ed era entrata anche lei nel magazzino e della madre morente, non se ne accorse e nessuno gliene parlò. Intanto era sopraggiunta un’ autoblindo tedesca con altri militari ed era stato spostato un cannone di fronte al magazzino; allora soltanto la folla, impaurita, finì per allontanarsi e, fermatasi poco più oltre, a prudente distanza, stette a guardare.
Da 200 metri fu sparata una cannonata che demolì solo in parte un lato del fabbricato; si levarono fiamme di fuoco che, alimentate dalla benzina che si diceva essere stata versata dai tedeschi , si fecero subito altissime ed avvolsero l’edificio. Nei giorni che seguirono , poca gente si vide in giro per il paese. Il comandante delle guardie municipali raccomandava a tutti di non uscire di casa , diceva che i tedeschi non scherzavano e poi c’era il coprifuoco dalle ore 20 sino al mattino ; e fu anche anticipato alle 19. Il giorno 24 settembre , alle ore 14 circa, alcuni tedeschi e paracadutisti fascisti , si erano dati nel rione Calvario e specialmente nei vicoli più prossimi all’aperta campagna, ad una vera e propria razzia di galline. Nel vico III Caracciolo, il sergente maggiore paracadutista Donato Garofalo ed un tedesco si erano impegnati nel tentativo di catturare un pollo. Li vide la più piccola figlia di Pasquale Sibilia , la quale si mise a gridare e a chiamare il padre che, in quel momento, riposava a letto con la sua famiglia. Il povero contadino, svegliato di soprassalto, spaventato e preoccupato soprattutto perchè forse temette atti di violenza contro le altre figlie , levatosi in tutta fretta dal letto e armatosi di un fucile , uscì sulla porta di casa ; e qui, in un attimo di giusto ma inconsiderato sentimento , reagì sparando un colpo di fucile contro il Garofalo che, ferito leggermente alla mano destra, a sua volta esplodeva due colpi di arma da fuoco contro il Sibilia. Questi , colpito gravemente alla gamba destra, fu trasportato a casa e, messo a letto dalla moglie, rimase in attesa dell’arrivo del medico che nel frattempo qualcuno era andato a chiamare. I due militari si erano intanto allontanati per recarsi a riferire l’accaduto ai loro comandi. Poco dopo un gruppo di tedeschi e di paracadutisti fascisti , armati di tutto punto, mossero verso il rione Calvario e la casa del Sibilia, avendo già preso la decisione di procedere ad una rappresaglia mediante fucilazione indiscriminata di civili innocenti. Incontrati per via alcuni pacifici abitanti, li invitarono a seguirli e quelli obbedirono , pensando che si trattasse di qualche lavoro da compiere. Poi, un gruppo di tedeschi entrò nella casa del Sibilia e ordinò immediatamente al dottor Basilisco, che era anche podestà di Rionero ed aveva iniziato la medicazione della gamba del Sibilia , di allontanarsi; altri tedeschi rimasero fuori a vigilare il gruppo di abitanti già rastrellati nei vicoli adiacenti e qui furono raggiunti dal comandante delle guardie municipali ; altri ancora accompagnati dai paracadutisti , si sparsero nel rione e nelle vie adiacenti per riprendere l’operazione di rastrellamento. Fu preso il giovane Angelo Mancuso. In piazza fu preso il marito di Antonietta Traficante e sulla strada che porta al rione Sant’Antonio fu preso il marito di Filomena Traficante: erano due fratelli, Pasquale e Pietro Di Lucchio. Altri due fratelli, Giovanni e Pasquale Manfreda , furono presi mentre si trovavano in casa loro in via Galiano 4. Il marito di Ippolita Nigro fu preso nei pressi del Calvario e il marito di Lucia Santoro fu strappato alla moglie e al figlioletto Gerardo , il più grande di 5 figli , mentre insieme si trovavano in casa al Vico III Galiano . Anche Giuseppe Libutti, falegname, era in casa con la moglie Rosina Grieco, quando irruppero tre tedeschi che a viva forza lo portarono via mentre era intento a riparare una porta , e lo schiaffeggiarono perché aveva rifiutato di andare . La moglie lo seguì piangendo e gridando fin quando fu possibile e poi da lontano assistette alla fucilazione. Giuseppe Grieco fu preso e menato come gli altri, davanti alla casa di Sibilia. Ebbe allora il sospetto che vi fosse pericolo di vita e, siccome aveva una tessera di reduce di Spagna, la esibì all’ufficiale il quale lo rilasciò. Stefano De Mattia era stato anche lui il 16 settembre a prendere un poco di farina al magazzino ma poi l’aveva lasciata e se n’era scappato per paura degli spari; ora il 24 verso le ore 15:30 fu fermato da due tedeschi , poco lontano da casa sua, mentre si trovava con Angelo De Carlo. Questi fu allontanato e lui fu costretto a seguire i tedeschi i quali intanto avevano preso Donato Lapadula, mentre dormiva in casa, Gerardo Santoro, Antonio Santoro, fratelli, ed Emilio Buccino. De Mattia domandò agli altri dove si andasse e quelli dissero che avevano inteso i paracadutisti italiani che c’era bisogno di aiuto per le pose di mine alla casa Sibilia. Qualcuno di quelli fermati si salvò perché mostrò la tessera fascista.Gli ostaggi erano stati dapprima raccolti dinanzi alla casa di Pasquale Sibilia ,16 in tutto oltre lo stesso Sibilia. Piangevano e tentavano di commuovere i tedeschi e i paracadutisti, ma gli uni e gli altri si mostravano irremovibili. Le case del paese si erano tutte chiuse e le loro porte sprangate; ma dalle finestre socchiuse del Calvario c’era gente che spiava, trepidando nel terrore della strage che si intuiva imminente. Rosa e Donata Barrozzino, di poco più di dieci anni entrambe, erano lì ad una decina di metri dalla casa Sibilia quando videro Emilio Buccino prostrarsi ai piedi di qualcuno e lo sentirono esclamare: ” Perdono, da due giorni sono tornato” e sentirono pure rispondere : ” In nome del Duce non c’è perdono per nessuno”; videro ancora che tutti si inginocchiarono sul posto e si fecero il segno della croce. A questo punto le due inconsce ragazze ebbero paura e fuggirono verso casa. E durante la corsa sentirono una scarica di armi da fuoco. Solo Stefano De Mattia si salvò fingendosi morto e fu solo colpito alle gambe. Prima del tramonto le mamme, le mogli, i figli, i padri, accorsero sul luogo della strage. Quasi tutti i morti furono portati alle loro case , composti sui letti raggiustati e coperti di bianche lenzuola.
Al mattino i morti furono caricati su di una carretta dello spazzamento pubblico , trainata da un cavallo, messa a disposizione per il pietoso trasporto, e il macabro corteo si mosse senz’altro accompagnamento. I tedeschi partirono poi due giorni dopo il massacro , il 26 settembre, e il 28 settembre arrivarono i canadesi. La guerra finì; tornarono in paese quelli che erano stati lontano. Pasquale Carieri, figlio di Elisa Giordano , la donna morta e bruciata nel magazzino durante l’assalto ai viveri, seppe, nel 1945 al ritorno dalle Indie dove era stato prigioniero degli inglesi , della orrenda fine della povera e cara vecchia. Pasquale Cardillicchio, padre di Antonio, il giovinetto diciassettenne ucciso mentre si portava a casa un poco di riso, nel 1950 chiese ed ottenne la restituzione della testa del suo povero figlio, mandata a Napoli per la perizia medica. Oggi un umile sepolcro elevato dalla pietà dei vivi alle verdi pendici del Vulture, ricorda tutti i 16 rioneresi trucidati , uno per uno ». Così conclude, datata 13 ottobre 1954, la testimonianza di Francesco Nitti ( versione integrale del testo nel patrimonio bibliografico del Museo del Comunismo e della Resistenza ) . E poi c’è stato il processo, per la precisione a luglio/ agosto 1951, a Libutti , Sala , Farina ( tenente paracadutista) e Garofalo , ma mancavano i tedeschi, alla Corte d’assise di Potenza e quelli sono stati tutti assolti. Chi è stato è stato, chi ha avuto ha avuto: come diciamo noi al Sud. E il racconto di Nitti? Fantasie e malevolenze secondo gli eredi dei carnefici . Il delitto consisterebbe oggi nell’ incolpare alcuno di alcunchè, a rischio di querela. Vale il giudizio di quel “buon giudice” che già nel ’51 non trovò prove di reati, neanche le lapidi che ingrigiscono oggi al cimitero, dove furono sepolti i corpi degli ostaggi assassinati, né la stele che li ricorda in piazza. Chi c’era e fu testimone delle gesta di quei nazifascisti, con quelle facce e quelle divise, di quel piccolo gruppo di vigili e , paracadutisti che in quei giorni si schierarono con i tedeschi e li aiutarono , questo è incontestabile, a compiere il massacro, ormai da tempo non c’è più. E neanche il giudice , del resto. Ma non la sua sentenza assolutoria che vale sempre anche oggi, 25 aprile 2025, che celebriamo l’80° anniversario della Liberazione dal nazifascismo. REFERENZE BIBLIOGRAFICHE. L’articolo è stato redatto con il supporto di testi custoditi nella biblioteca del Museo del Comunismo e della Resistenza Antifascista di Matera . 1 ) Gianni Giannoccolo – L’occupazione nazista in Italia 1943-1945 – F.G.T. 2003 ; 2) Gerhard Schreiber – La vendetta tedesca 1943-1945. Le rappresaglie naziste in Italia – Mondadori 2000 ; 3) Franco Giustolisi – L’armadio della vergogna – Nutrimenti 2004.
* Per approfondire il tema, dello stesso autore di questo articolo, si consiglia la lettura : https://giornalemio.it/cultura/21-settembre-1943-matera-libera-ricordi-francesco-nitti/
