La cultura è sapere diffuso e si accompagna alla scolarità elevata, alle professioni, alla “intellighenzia” delle arti, delle scienze, delle conoscenze. Non vi è cultura se non vi sono questi elementi e le condizioni che li accompagnano. Cultura non è la sagra della melanzana arriganata, ma la circolazione delle idee, delle conoscenze la quale rende una comunità “fertile” di innovazioni, di scoperte, invenzioni e ricerca e intrapresa e quindi ricchezza e quindi lavoro e prodotti innovativi da vendere all’estero e quindi “economia”: la cultura non può che essere succedaneo corollario della economia di un dato territorio.
Qualche esempio, che accompagni a tacite comparazioni.
In alcune città italiane il fermento culturale si svolge attorno alla università – Bologna? – dove professionisti del sapere e giovani si incontrano, si confrontano, studiano, approfondiscono conoscenze, affinano metodi di studio e di analisi, maturano bisogni culturali diversi ed elevati e dibattono, si confrontano, e infine costituiscono “domanda” di fruizione di servizi culturali sempre più avanzati, pregni e moderni e quindi chiedono teatro, cinema, letteratura, convegni scientifici, architettura, editoria, musica, e quindi mettono sul mercato servizi culturali, conoscenze avanzate, costruiscono macchine, edifici moderni, essendo al contempo fruitori e produttori di cultura.
Alcune città italiane hanno sedimentata miscellanea di culture proveniente da antichi splendori e scambi di merci e quindi di pensiero e di tradizioni con le più lontane terre del mondo – e penso a Firenze, alle Repubbliche Marinare, alla Napoli non del tutto degradata, a Verona; queste città vivono la quotidiana peristalsi della produzione culturale. Un territorio non può essere solamente fruitore di cultura, né soltanto produttore: un territorio è necessariamente al contempo produttore e fruitore di cultura, laddove neppure esiste – invero –la differenza fra i due fenomeni intimamente connessi sino alla totale identità.
Capitale. Il dizionario spiega che “capitale” indica “il centro principale di una particolare attività”.
Diciamo perciò che Milano è la capitale economica dell’Italia in quanto a Milano, più che altrove, si svolgono attività legate all’industria, alla finanza, all’economia. Diciamo che Napoli è la capitale del bel canto, perché a Napoli, più che altrove, si coltiva(va) l’arte della canzone d’autore. Magari impropriamente, diciamo che Palermo è la capitale della mafia in quanto a Palermo, più che altrove si ritiene esser radicato il fenomeno mafioso. Consideriamo Roma la capitale della cristianità perché a Roma ci sta il Papa e a Roma, più che altrove, si sente l’influenza del pensiero e delle ricchezze cattoliche.
“Più che altrove”. Questa è la chiave per definire un luogo “capitale”. Capitale è quel luogo dove, più che altrove, si svolge una data attività.
Matera è la città dove, più che altrove … ?
Fenomeno materano dell’ultimo mezzo secolo è l’avvio dei giovani più scolarizzati verso le università del nord Italia, una piccola percentuale dei quali – piccolissima – torna qui: gli altri, il grosso, rimane nelle città del nord o va all’estero, dove esistono vere opportunità di lavoro e più accoglienti condizioni esistenziali. Altrove quindi, negli ambienti culturali di altre città, molti dei nostri giovani più preparati poi esercitano le professioni, vivono, si inseriscono, contribuendo ad arricchire ulteriormente quegli ambienti colti ed evoluti. Matera (ma tutta la nostra Regione) si spopola soprattutto delle migliori risorse e il tessuto culturale della città rimane, di conseguenza, “residuale”, viene privato cioè del rinnovamento perché quelle risorse intellettuali, benché nutrite delle nostre risorse materiali, vivono e operano altrove.
Il frutto dei costi sostenuti dalla collettività materana (lucana) per finanziare la formazione di nuove intelligenze, conoscenze, competenze, talenti, matura e produce altrove un progresso del quale non ci avvaliamo noi, ma altri ambienti, altre realtà. La deportazione delle risorse del Sud, come ognuno vede, prosegue.
Quale sarà l’effetto di MT2019 su questa nostra realtà? Sul tessuto culturale della città? Al netto di buoni affari per gli albergatori – a molti dei quali, comunisticamente, è stata donata la proprietà privata del mezzo di produzione -, per baristi, ristoratori e per altre ristrette categorie, quale sarà la ricaduta economica per la città? Quale la ricaduta culturale per la comunità?
Diverrà tale la nostra “capotale” che i nostri giovani più dotati non vadano via e possano dispiegare qui i loro talenti? Diverrà tale la nostra capitale da attrarre qui, come le grandi città europee talenti da altri territori che qui possano trovare confronto produttivo con un tessuto ricco di risorse e di cultura?
Quale si prevede possa essere la crescita del tessuto sociale che poi ci possa far dire che Matera magari non lo era, una capitale della cultura, ma grazie al 2019 lo è diventata?
(w/cody)*