Come accennato nella prima parte, dopo la liberazione Marconia divenne per volontà degli anglo americani un campo di raccolta dei profughi.
Furono loro ad affidarne la gestione a un assessore della ricostituita amministrazione comunale di Pisticci e, nuovamente, la scelta si rivelò discutibile. Al fiduciario furono infatti consegnati pacchi di vestiario, scatolame, sapone, medicinali, sigarette e altro con l’incarico di distribuirli ai profughi. Ma subito cominciarono a levarsi lamentele e critiche che mettevano in discussione la correttezza e la trasparenza del suo operato. In un primo momento si pensò che i profughi, denutriti, seminudi e provati da mesi di sofferenze e privazioni, pretendessero più di quanto il centro potesse offrire. Con il montare delle proteste però la prefettura guidata da Guido Tamburro, già capo di gabinetto di vari prefetti fascisti, che certamente pativa l’esautorazione inflitta al suo ufficio, aveva avviato un’inchiesta su cosa succedeva al campo. Ed era risultato che l’assessore, abusando della fiducia dell’Allied Commission Committee di Matera «assumeva e licenziava dal lavoro, a suo piacimento, gli operai addetti al Centro, che aveva tendenza verso le donne, favorendo quelle che assecondavano i suoi desideri, che i sanitari addetti all’assistenza si allontanavano spesso con il consenso del M. suscitando le vive e giuste proteste dei profughi malati.
Anche la gestione del magazzino viveri non è risultata in regola per cui è in corso un’indagine della Sezione Provinciale di Alimentazione. Il M., inoltre, ebbe dal comando alleato circa 1400 pacchi da distribuire ai profughi, pacchi che furono in gran parte manomessi prima di essere distribuiti».
1944, In coda per la distribuzione dei viveri
La nota di Tamburro riporta molti altri particolari e dà il meglio nel riferire con poliziesca meticolosità che «la sera dell’8 settembre [1944] verso le ore 21 egli si recò nel magazzino viveri con la profuga C.G. , di anni 21, per donarle dello scatolame. Data l’ora tarda e il tempo trascorso in magazzino (circa mezzora) un gruppo di profughi spiò le mosse dei due anche perché il M. si chiuse nel locale che, per altro, è privo di luce.
Nell’uscire la signorina recava un involto contenente generi in scatolame (due di cacao, otto di zucchero, sei di formaggio, una di prugne, una di caramelle, una di the, quattro di latte condensato e quattro di frutta sciroppata».
Indubbiamente un bel premio per la volenterosa ventunenne. Agli altri profughi però la cosa non era garbata e avevano chiamato i carabinieri che avevano requisito i doni e raccomandato al galante fiduciario una maggiore equità. Non avrà il tempo di praticarla poiché qualche giorno dopo sarà sostituito dal segretario comunale di Pisticci. «Per le sue competenze tecniche» dirà il prefetto (Archivio Centrale dello Stato, microfilm dell’Allied Commission Committee, Ma 1/6 MG, Centro smistamento di Pisticci, nota del 2 febbraio 1944). Sarà stato più onesto del predecessore? Sicuramente era più controllabile dal prefetto Tamburro, un personaggio piuttosto chiacchierato non solo per i trascorsi fascisti.
E
La dirigente comunista Camilla Ravera
vi saranno stati meno episodi boccacceschi favoriti se non provocati dal bisogno di procurarsi il pane e, se possibile, anche il companatico? Non è dato saperlo. Sappiamo invece che Marconia arriverà ad accogliere 2500 persone di varie nazionalità e che si cercherà di mettere a disposizione di eventuali peccatori un regolare servizio religioso da affidare a due anziani sacerdoti anche loro profughi.
Ma passiamo a cose più serie.
Nell’intervento che ha dato luogo a questa replica, si dice, fra l’altro, che la dirigente comunista Camilla Ravera sarebbe stata a Marconia prima di essere mandata a Montalbano Jonico e, successivamente, a San Giorgio Lucano. E che, qui la citazione è d’obbligo : «Da quello che riferiscono i più anziani non se la passò affatto male. Riverita dai paesani, veniva accompagnata in calesse nelle vicine spiagge joniche a prendere il sole».
Qui siamo oltre il confino-villeggiatura di berlusconiana memoria che di villeggiatura se ne intendeva. La Ravera non prendeva il sole approfittando del fatto di essere stata mandata in località balneare, ma, secondo il capriccio del giorno, sceglieva la spiaggia dove andare. Le bastava chiederlo aqualcuno dei riverenti paesani forniti di calesse che non avevano di meglio da fare tutto il giorno!
Commovente, ma falso. Ripetiamolo: i lucani – non escluso qualche fascista- furono molto accoglienti verso i confinati. Verso tutti. Lo prova luminosamente il fatto che alcuni di loro presero moglie nei paesi di confino. Compresi alcuni “ragazzi di vita” sui quali pesava l’infamante accusa di omosessualità. Mi permetto al riguardo di rimandare al mio “Adelmo e gli altri. I confinati omosessuali in Lucania” (ed ombrecorte, 2019), esaurito nelle librerie ma reperibile in qualche biblioteca.
Falso perché la Ravera arrivò a Montalbano il 5 Novembre del 1936 (ASM, Confinati, busta 29, ACS Casellario Politico Centrale b. 4246, sua testimonianza in “L’opposizione al fascismo” documentario di Ermanno Olmi del 1974) e fu poi trasferita a San Giorgio Lucano e successivamente, maggio 1937, a Ponza. La colonia di Marconia entrò in funzione dalla primavera di due anni dopo (L. Sacco, La colonia confinaria, Basilicata n. 10, 1968).
Ravera fu trasferita a Ponza prima che fosse aperto la olonia di Marconia che, in ogni caso, non accoglieva donne
E perché, ino a quando non fu trasformata in centro di accoglienza profughi, Marconia accolse solo maschi idonei al lavoro. E perché ai confinati era proibito allontanarsi dal paese. E perché durante i mesi da lei passati in Lucania era inverno e la maestrina torinese era malaticcia né aveva il fisico di una Brunilde dai fianchi lardosi capace di sfidare impunemente i rigori invernali. E infine perché il confino e il fascismo -che non sembra dispiacere del tutto al diffusore delle notizie di cui prima- non furono una burletta.
Camilla Ravera era sorvegliatissima
L’intervento accenna poi a qualche vecchio tema reso celebre dal cosiddetto revisionismo neo-borbonico con passaggi ardimentosi -a vario titolo- come questo: «I piemontesi negli anni dell’unità d’Italia i dissidenti che non vollero piegarsi all’esercito sabaudo, circa 15.000, li internò a Fenestrelle, in una fortezza tra le montagne torinesi».
Le cose andarono diversamente. Fu l’esercitò italiano non quello piemontese a scontrarsi con i “dissidenti” che in realtà erano briganti. Quanto poi ai 15000 meridionali fatti morire a Fenestrelle, sarebbe il caso che i vari esponenti neoborbonici si mettano almeno d’accordo sul numero delle vittime. Nel 2008, in un discorso tenuto proprio a Fenestrelle il ccoordinatore di un partito del sud -che non so se esiste ancora- parlò di 8.000 caduti. Cifre in libertà che Alessandro Barbero ha potuto facilmente smentire partendo dalla constatazione che «Nell’Italia di oggi, almeno quando si parla del passato, le menzogne più grossolane si trasformano facilmente in verità per tanta gente in buona fede» (Cfr. “I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle”, ed. digitale Laterza, 2015).
Spero sia stato in buona fede anche l’estensore della nota in questione.

(Montescaglioso 1949), è laureato in lettere e ha insegnato Italiano e Storia nei corsi di scuola media per adulti a Torino.
Appassionato di storia regionale, si è interessato al brigantaggio, all’emigrazione transoceanica, alla figura di Francesco Saverio Nitti, al fascismo e alle lotte per la terra del secondo dopoguerra. Vari suoi saggi e articoli si possono leggere sulle riviste Bollettino Storico per la Basilicata, Basilicata Regione, Mondo Basilicata e su libri di autori vari (Soveria Mannelli 2008: Villa Nitti a Maratea. Il luogo del pensiero; Torino 2009: Dalla parte degli ultimi. Padre Prosperino in Mozambico; Potenza 2010: Potenza Capoluogo (1806-2006)).
Ha curato inoltre mostre foto-documentarie sull’emigrazione italiana, sugli stranieri in Italia, sulla vita e l’opera di F. S. Nitti, sulle donne al confino e sul confino degli omosessuali nel Materano. Quest’ultima è stata presentata finora in una quarantina di città e ultimamente a Firenze e a Cagliari nelle sedi regionali.
Ampliando la ricerca sul suddetto o tema ha poi pubblicato il libro Adelmo e gli altri. Confinati omosessuali in Lucania (ombrecorte, Verona 2019) andato presto esaurito.
Ha poi svolto un’ampia ricerca sugli stupri commessi nella regione negli anni del grande brigantaggio e sui femminicidi e gli omicidi commessi da donne. L’una e l’altra sono in speranzosa attesa di pubblicazione.