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Lo spione in sagrestia

Il 4 gennaio del 1941 l’ufficio politico della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale della provincia di Matera denunciava il sacerdote Don Pietrantonio P. per attività disfattista. Dopo gli accertamenti di rito, la prefettura riferiva al ministero dell’interno quanto era risultato e il 27 dello stesso mese il documento tornava al mittente con la stampigliatura “Presi gli ordini dal Duce” e, più in grande, “Confino”. Ciò nonostante, il prete riusciva a scampare alla punizione visto e il suo nome non compare  fra quelli – 152.589 elementi schedati fra il 1894 e il 1945- riportati dalla banca dati on line del Casellario Politico Centrale. La cosa non deve sorprenderci poiché spesso Mussolini  amava mostrarsi clemente con chi faceva atto di sottomissione. Tanto più se il supplice non rappresentava un pericolo ed era verosimilmente vittima di beghe, come allora si diceva, locali.

Ma come era iniziata la cosa?

A denunziare il prete era stato un meccanico, Pietro P., riferendo con ricchezza di particolari ciò che questi avrebbe detto nella cantina di Leonardo Cascione, in via Duomo. Contro di lui aveva poi «deposto finanche un altro sacerdote», il canonico Michele P., cappellano della Milizia. Un fior di galantuomo secondo il prefetto, «un individuo coscienzioso ed apprezzato da tutti  per i suoi sentimenti morali e politici». Costui aveva detto che, mentre lui, intrattenendosi nella sagrestia della cattedrale con i colleghi, magnificava l’intervento tedesco a sostegno del nostro esercito in Grecia, Don Pietrantonio avrebbe dichiarato che le navi tedesche erano state affondate mentre passavano il canale di Sicilia.

Una deposizione, argomentava il rapporto, che non lasciava dubbi sulla veridicità della denunzia del meccanico né «sull’attività nefasta del P.». Un individuo che del sacerdote avrebbe solo «l’abito che indossa […] un prete senza scrupoli, facile al turpiloquio, sconsiderato, intrigante e faccendiere. Si interessa di tutti e pretende di essere al corrente di ogni cosa». Nella logica inquisitoriale la delazione del cappellano, la cui identità non era stata rivelata all’accusato, avvalorava quindi ciò che aveva detto il meccanico. Come escludere che i due si fossero accordati?

Certo è che l’accusato era da tempo assai chiacchierato e alcuni fatti potevano spiegare un così severo giudizio: quattro processi per esercizio abusivo  della professione medica e un quinto in corso per gli stessi motivi accompagnato dalla sospensione a divinis. Inviso al fascio e privato della tutela della chiesa, un questurino l’aveva infatti sorpreso a visitare, in presenza  dell’amante, «una donna ignuda» e, avendole trovato una punta d’ernia, le aveva somministrato un unguento facendoglielo pagare quaranta lire.

Inutile chiedersi da chi fosse arrivata l’imbeccata in una città dove tutti sapevano di tutti. Ciò che si può ipotizzare è che con questa denunzia una certa Matera avesse tentato il colpo grosso per liberarsi per qualche tempo di questo indegno membro  della chiesa concordataria. Inutile cercare lumi nell’archivio della diocesi di Matera che, a giudicare dalla totale mancanza di documentazione, sembra non aver avuto nessun rapporto con il fascismo e neppure, ancora più incredibile, con la Democrazia Cristiana della quale fu madre putativa e autorevole tutrice fino agli anni Sessanta dello scorso secolo.

Ma torniamo al nostro reprobo. Nato nel 1892, nelle trincee della Grande Guerra doveva aver maturato il profondo odio per i tedeschi che emerge dai temerari discorsi tenuti in cantina di cui in seguito si dirà. Adesso, a quasi cinquant’anni, campava malamente la vita dando qualche lezione privata e, all’occasione, facendo il medico praticone. D’altronde, data la cattiva fama di cui pativa, non doveva essere  gettonatissimo per battesimi, matrimoni e funzioni che potessero fruttargli qualche extra. Privo di beni di famiglia, doveva quindi arrangiarsi, anche per sostentare quattro sorelle nubili e orfane. A parte questo, dirà a sua difesa, la medicina era la sua passione.

Ma vediamo cosa avrebbe detto quel sei gennaio nella cantina vicina alla cattedrale.

«Noi ci moriamo i fame, io se potessi scappare dall’Italia scapperei perché la guerra è perduta». E poi «Quando fu il fatto di Taranto -l’11 novembre 1940 nel porto pugliese furono gravemente danneggiate sei navi da guerrra, ndr- il Duce, durante la visita che fece ai diversi reparti, trovò molti ufficiali che stavano con cocottes e allora li fece chiamare e loro disse “mi avete tradito per 17 anni , ora basta, vi metterò sotto il ceppo tedesco». E ancora, come prevedendo ciò che sarebbe accaduto nel settembre del 1943, «Siamo stati venduti alla Germania , tutte le città sono presidiate da tedeschi perché si teme la rivoluzione interna ed anche a Matera verranno i tedeschi». E proseguendo nel suo lungo sfogo «Chi è Mussolini? Era uno venuto dal niente e nel niente finirà, rubava le galline e le vendeva per dodici soldi».

Fra suggestioni dettategli dagli orrori della guerra passata e quelle nate da letture su questioni mediche fatte non si sa dove, spiccano notizie su fatti – fra le accuse fattegli c’era quella di mostrarsi al corrente di tutto- che non risultavano a nessun altro. Come la visita del duce a Taranto, le cocottes che allietavano gli ufficiali mentre gli aereo-siluranti inglesi colpivano le loro navi, il pezzettino di ghiaccio dato ai soldati che deliravano in Africa. Aggiungendo alla diffusione di notizie false le offese al duce, c’era di che mandarlo al confino per anni. Per ragioni che sfuggono a chi scrive ciò non accadde. Forse se ne potrebbe sapere di più studiando un fascicolo -ACS, 12357: “P. don Pietrantonio” b. 807- che io non ho consultato.

Di altro avviso è V. Petrocelli che in un articolo intitolato “Il dissenso al fascismo del sacerdote Pizzilli di Matera” (cfr. Talenti Lucani del 4/1272017) sostiene, ma non prova, che questi fosse stato realmente confinato e fornisce una collocazione archivistica sul caso diversa da quella da me registrata (ACS, AGR A5G, busta 28).

Si vedrà nella seconda parte di questo articolo in che modo l’accusato si difese, quanto  fossero fondate le sue affermazioni sulle carenze alimentari (Noi ci moriamo di fame) e,  che clima si respirava in citta a poco più di sei mesi dall’entrata in guerra dell’Italia

 

 

Cristoforo Magistro
Cristoforo Magistro
(Montescaglioso 1949), è laureato in lettere e ha insegnato Italiano e Storia nei corsi di scuola media per adulti a Torino. Appassionato di storia regionale, si è interessato al brigantaggio, all’emigrazione transoceanica, alla figura di Francesco Saverio Nitti, al fascismo e alle lotte per la terra del secondo dopoguerra. Vari suoi saggi e articoli si possono leggere sulle riviste Bollettino Storico per la Basilicata, Basilicata Regione, Mondo Basilicata e su libri di autori vari (Soveria Mannelli 2008: Villa Nitti a Maratea. Il luogo del pensiero; Torino 2009: Dalla parte degli ultimi. Padre Prosperino in Mozambico; Potenza 2010: Potenza Capoluogo (1806-2006)). Ha curato inoltre mostre foto-documentarie sull’emigrazione italiana, sugli stranieri in Italia, sulla vita e l’opera di F. S. Nitti, sulle donne al confino e sul confino degli omosessuali nel Materano. Quest’ultima è stata presentata finora in una quarantina di città e ultimamente a Firenze e a Cagliari nelle sedi regionali. Ampliando la ricerca sul suddetto o tema ha poi pubblicato il libro Adelmo e gli altri. Confinati omosessuali in Lucania (ombrecorte, Verona 2019) andato presto esaurito. Ha poi svolto un’ampia ricerca sugli stupri commessi nella regione negli anni del grande brigantaggio  e sui femminicidi e gli omicidi commessi da donne. L’una e l’altra sono in speranzosa attesa di pubblicazione.
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