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L’emigrazione lucana. Appunti, parte seconda

  1. Dall’emigrazione di mestiere a quella “di richiamo”

1900, Mulberry Street, nel cuore della little Italy di New York

Vari studi sui musicanti di strada hanno messo in luce il ruolo di Viggiano nella creazione di un modo di emigrare che sarà imitato nei paesi vicini (C. Malpica, I viggianesi (1836); G. Regaldi “Il viggianese” (1847-48); G. Fortunato 1900 (pp. 360-367); J. E. Zucchi, The little slaves of te harp, 1992, London-Buffalo, 1992; E. Alliegro, “l Viggianesi”: Musicanti girovaghi nei secoli XVIII e XIX, in “Basilicata Regione”, Potenza, anno VII, n. 3, 1994, p. 38; A. De Clementi 1999 (pp.27-31).

Il modello comincia a formarsi nel Settecento, quando i viggianesi innovano la tradizione dei pastori che andavano a Napoli a suonare la novena di  Natale aggiungendo arpe e violini a zampogne, ciaramelle e flauti. La novità aveva avuto successo e, già ad inizio Ottocento, l’attività, da stagionale, si era fatta continuativa ed era dilagata nelle principali città europee ed americane. «A’ dì nostri –scriveva nel 1857 Giuseppe Regaldi in “Usi e costumi di Napoli e Contorni” – si contano trecento di tai viaggiatori lucani che ricchi di armonia vanno per il mondo; e per questi pellegrini sono inutili trovati e cocchi e strade di ferro: perché viaggiano pedestri recando su le spalle l’eletto strumento, e ad ogni paese che incontrano danno il saluto della musica. Avverrà talvolta a chi navighi i nostri mari o quelli del Norte di udire un dolce suono di arpa che uscito dal fondo della nave vada a mescolarsi colla tempestosa armonia delle acque. Sarà qualche Viggianese accolto con amore dal capitano della nave per addormentare nella sua musica il pensiero de’ pericoli e le traversie della navigazione. Non vi ha persona gentile che non accolga benignamente il Viggianese, questo trovadore della nostra età, che fra gl’interessi materiali del secolo decimonono viene a provarci che ferve ancora un po’ di poesia entro il cuore de’ popoli».

L’esperienza di decenni porterà in seguito i viggianesi a specializzarsi nell’arpa -lo strumento di David, ricordano con orgoglio- e come arpisti avranno una divisa e un inno.Cittadini del mondo (Ho l’arpa al collo, son viggianese;/ tutta la terra è il mio paese,), la loro vita è un viaggio (Oggi d’Italia mi ride il cielo/, doman di Russia calpesto il gelo). Un viaggio lieto perché sulla loro merce non deve gravare la tristezza e il dubbio che può permettersi, ad esempio, chi pratica il mestiere delle armi. I viggianesi, che le stampe popolari ci mostrano bassi e gozzuti, sono quindi condannati ad essere sempre allegri (Come la rondine che lascia il nido/passo cantando di lido in lido), mentre alle rudi guardie svizzere è consentito autocommiserarsi (Dans l’hiver e dans la Nuit/Nous cherchons notre passage/dans le Ciel ou rien ne luit,Canzone delle Guardie svizzere, 1793 ).

Anche a questo riguardo “Il Ribelle” cercherà di fare giustizia proponendo una visione meno fatua dell’emigrazione viggianese. Ma gli spunti foscoliani-deamicisiani di “Maggio ribelle (Emigrero?)” –Sol quando l’ossa mia stanche dal gire/ Penosamente strascicando invano/ Bestemmierò l’Italia e ‘l mio soffrire/Con spirito titano;/ E dal fragile legno a l’acqua e al vento/Maledirò la terra  che dispare- non metteranno in discussione l’immagine garrula cucita loro addosso dai versi di Pier Paolo Parzanese, un prete che sapeva vivere (Cfr. Il Ribelle, primo maggio 1907).   Si tornerà in seguito a parlare dei musicanti di strada, ma –si è detto- è da Viggiano che si svilupperà un certo modo di emigrare. Si afferma nel citato rapporto che i considerevoli guadagni fatti dai viggianesi come suonatori ambulanti aveva «sedotto le popolazioni di tutti i paesi vicini». Sicuramente i viggianesi aprirono nuovi percorsi a chi già faceva mestieri di strada, ma è difficile credere che il loro esempio abbia creato il mestiere del musicante dove non esistesse già. Per quanto il nomadismo, connaturato all’emigrazione di mestiere, fosse un’esperienza già nota a chi proveniva dalla pastorizia –un’attività allora piuttosto diffusa in Lucania- i mestieri di strada richiedevano saperi che non si potevano improvvisare e seguivano logiche diverse da quella “di fatica”. Sicuramente la regione fornì ai paesi di accoglienza un numeroso contingente di fabbri, calderai, calzolai, barbieri, concia brocche, sarti, falegnami, ecc.; tutti mestieri che venivano esercitati a bottega dai “mastri”, ma anche per strada da meno bravi. É’ quindi probabile che alcuni già fossero artigiani di strada e altri lo fossero diventati non essendo riusciti a collocarsi “a bottega” nel nuovo mondo. In questo caso il loro numero sarà sembrato superiore a quello reale sia per la costante visibilità cui erano costretti che, per ragioni analoghe a quelle sui minori girovaghi, la pubblicistica ne esagerasse la consistenza. Ma fu l’emigrazione “di fatica” a manifestarsi in modi tanto diversi che quasi ogni paese ne sviluppò uno proprio che fu seguito dai più per tutta la durata della fase 1876-1914. Non ci sarà, né poteva esserci, un modello regionale in un territorio nel quale l’isolamento rendeva, come notò il presidente Zanardelli visitando la regione nel 1902, i vari centri “stranieri gli uni agli altri(P. Corti, a cura di, Inchiesta Zanardelli sulla Basilicata (1902), Torino 1976, p. 17) Sarà quindi l’esempio del compaesano, spesso parente, compare, vicino, ecc.-  cui una qualunque attività, in una qualunque parte del mondo, fosse andata bene, ad aggregare  un nuovo gruppo di espatriandi e ad indirizzarne la destinazione e l’occupazione. É stato già evidenziato da vari studiosi come, mentre in Italia si levavano alte grida contro gli agenti d’emigrazione e poi contro i vettori delle compagnie di navigazione che li avevano sostituiti, le nuove partenze venissero sollecitate e organizzate negli stessi paesi d’emigrazione (A. Martellini, “Il commercio dell’emigrazione: intermediari e agenti”, in “Storia dell’emigrazione italiana. Partenze”, Roma, 2001). Per mezzo di compaesani già sistemati, i reclutatori di manodopera facevano arrivare in paese tanti biglietti di viaggio quanti erano i lavoratori del cui ingaggio erano stati richiesti. Questo faceva sì che quanto e più che dalle tradizioni locali, le “specializzazioni” –sempre meno qualificate in termini di competenza- fossero conferite dall’esterno ai vari paesi. Il sistema-mondo che si era aperto a chi non conosceva neanche la propria regione legava la sorte di sperduti villaggi mediterranei all’edificazione del più avanzato sistema capitalistico. In questo contesto la costruzione della modernità fu affidata nelle Americhe agli uomini pala-e-piccone, la bassa forza delle aree dell’arretratezza.       Uno studio condotto nel 1902 da Ausonio Franzoni nell’ambito dell’inchiesta Zanardelli sulla regione, e meritevole di essere imparato a memoria nelle scuole lucane, non lascia dubbi al riguardo: Già dalle prime interrogazioni venne delineandosi chiaramente una delle cause principali della smania emigratrice, nella suggestione prodotta dal gran numero di lavoratori già stabiliti in Nord America e dalla propaganda interessata, fatta più colà che in Italia, dalle Compagnie di Navigazione straniere.                                 È grandissimo, infatti, il numero degli emigranti muniti di biglietto di chiamata (prepaid) rilasciato dalle compagnie in New York ed in Boston […] Così ebbi occasione di notare che a bordo del piroscafo «Victoria» della Anchor Line (piroscafo il quale diede già luogo a gravi reclami e che si trova evidentemente in condizioni deplorevoli) il numero dei prepaids era di 211 su 394 emigranti.(Già studiata da S. Lardino, Verso le terre del riscatto: emigrazione e società in Basilicata nella relazione Franzoni (1903), in «Bollettino storico della Basilicata», n. 5, 1989, pp. 193-251, la relazione Franzoni è stata poi riportata nella rassegna  La Basilicata e il “nuovo mondo”. Inchieste e studi sull’emigrazione lucana(1868-1912) curata da E. Alliegro nel 2001 per il consiglio regionale). Qualche studioso locale parlerà di un novanta per cento di biglietti d’imbarco “antipagati” in America da parenti ed amici(Andrea Corbo, Osservazioni sulla questione meridionale, 1903, ora in “La Basilicata e il “nuovo mondo”. Inchieste e studi sull’emigrazione lucana (1868-1912)”, cit. p. 421). I sindaci non avevano dubbi sull’origine del contagio migratorio: “la grande facilità, con cui a tutti è dato poter ricevere un biglietto d’imbarco da semplici conoscenti, che risiedono all’estero (G. Spera, La Basilicata. Studi e proposte per la sua rigenerazione economica, 1903, ora in La Basilicata e il “nuovo mondo”. Inchieste e studi sull’emigrazione lucana (1868-1912)”, cit., p. 427). E anche Zanardelli nel discorso conclusivo del suo viaggio, definirà quella lucana un’emigrazione di richiamo (Inchiesta Zanardelli sulla Basilicata, a cura di P. Corti, Torino 1976, p. 22).                                                              Stando così le cose, si potrebbe dire che non fu solo la politica seguita da paesi come il Brasile, che per un certo tempo offriva il viaggio gratuito, a tracciare dall’America il percorso di tanti emigranti.                                                                                Sono note le difficoltà che impediscono una precisa valutazione quantitativa del fenomeno (Marucco, 2001) ma alcuni dati dell’inchiesta Franzoni forniscono un quadro utile a una farsi un’idea dell’esodo. La Lucania ha il 3,13 % della superficie, l’1,57 % della popolazione e fra il 1882 e il 1901 dà il 9% dell’emigrazione nazionale. In percentuale i suoi renitenti alla leva superano di quattro volte quelli della Lombardia e di sei volte e mezzo quelli dell’Emilia. Nello stesso periodo la sua popolazione passa da 539.197 a 491.558 unità, una diminuzione in controtendenza col resto del paese.    Non entreremo qui nel merito dell’affidabilità della statistica “ufficiale”(D. Marucco, Le statistiche dell’emigrazione italiana, in Storia dell’emigrazione italiana, fornisce buone indicazioni sul complesso problema e illustra il concetto di statistica ufficiale, pp. 64-68), limitandoci a segnalare che ai nostri giorni si sono calcolati in 191.433 gli emigrati fra il 1876 e il 1900. Non disponiamo di una tabella relativa allo stesso periodo che riporti le cifre ufficiali, ma da un calcolo fatto da chi scrive, risulta che gli emigrati con passaporto furono circa 100.000. Ciò significherebbe che per ogni espatrio regolare, se ne ebbe un altro clandestino. La tabella che sotto si riporta si riferisce al sessennio 1897-1902 e, ovviamente, ai soli espatri regolari. Il raggruppamento dei dati per circondario mostra, in accordo con le altre testimonianze dell’epoca, che la corrente migratoria partì e fu alimentata dalle zone di montagna (circondario di Lagonegro e Potenza ). Fino al 1881 d’altronde il fenomeno aveva investito solo 40 su 124 comuni della provincia, appunto i più montuosi e boschivi (Risposte del Prefetto di Potenza sui caratteri dell’emigrazione della Basilicata, ora in La Basilicata e il “nuovo mondo”. Inchieste e studi sull’emigrazione lucana(1868-1912), cit., p. 459).                                                                                Foto con la mamma prima della partenza

Nella stessa rassegna, a p. 360, si riporta anche l’individuazione dei pionieri citata da F. S. Nitti nell’” Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle province meridionali e nella Sicilia”: Han seguito l’impulso prima gli abitatori della montagna, di animo più ardimentoso, di miglior salute, più temprati al viver duro, più abituati alla vita randagia in servizio del bestiame armentizio, solita a migrare dai monti ai piani e viceversa. La terra più sterile, che è nell’acerba montagna, ha spinto i montanari a tentare nuove vie, ed il piccolo capitale occorrente al viaggio era nel possesso di qualche animale o della quota demaniale. Dopo, alle notizie dei primi successi, il movimento si è propagato alle zone collinari ed a quelle di pianura, dove o la terra più fertile tratteneva ancora il piccolo affittuario e mezzadro, o il giornaliero non possedeva il capitale occorrente ad emigrare.                                                                     Anche nel circondario di Matera, caratterizzato dai grandi latifondi pianeggianti e malarici, furono gli abitanti della montuosa e boschiva Accettura a partire per prima. Dagli altri paesi del Materano l’esodo prese avvio con forza negli ultimi due del sessennio considerato. Inoltre, insieme al Melfese, fu questo il circondario che più risentì della sospensione dei viaggi gratuiti per il Brasile che causò il calo di partenze nel 1902.                              New York Venditori ambulanti alla festa italiana, sotto Coloni europei in Brasile                                                                                                                                                                                                                                                 L’emigrazione lucana dal 1897 al 1901

Circondari POPOLAZIONE  1881 POPOLAZIONE 1901 1897 1898 1899 1900 1901 AL 15 novembre 1902 Totale del sessennio Totale ultimo biennio
Potenza 194.296 160.512 3.126 2.632 2.929 3.479 4.190 4.369 20.305 8.549
Lagonegro 123.658 109.685 2.973 2.723 3.329 3.053 3.534 3.149 18.761 6.683
Matera 111.389 113.538 1.026 1.350 1.180 1.689 3.687 2.701 11.633 6.386
Melfi

 

 

Totale

109.854 107.823 1.484 1.341 1.458 2.673 5.148 3.472 15.566 8.620
539.197 491.558 8.609 8.046 8.896 10.794 16.559 13.691 66.265 30.238

 

 

 

Cristoforo Magistro
Cristoforo Magistro
(Montescaglioso 1949), è laureato in lettere e ha insegnato Italiano e Storia nei corsi di scuola media per adulti a Torino. Appassionato di storia regionale, si è interessato al brigantaggio, all’emigrazione transoceanica, alla figura di Francesco Saverio Nitti, al fascismo e alle lotte per la terra del secondo dopoguerra. Vari suoi saggi e articoli si possono leggere sulle riviste Bollettino Storico per la Basilicata, Basilicata Regione, Mondo Basilicata e su libri di autori vari (Soveria Mannelli 2008: Villa Nitti a Maratea. Il luogo del pensiero; Torino 2009: Dalla parte degli ultimi. Padre Prosperino in Mozambico; Potenza 2010: Potenza Capoluogo (1806-2006)). Ha curato inoltre mostre foto-documentarie sull’emigrazione italiana, sugli stranieri in Italia, sulla vita e l’opera di F. S. Nitti, sulle donne al confino e sul confino degli omosessuali nel Materano. Quest’ultima è stata presentata finora in una quarantina di città e ultimamente a Firenze e a Cagliari nelle sedi regionali. Ampliando la ricerca sul suddetto o tema ha poi pubblicato il libro Adelmo e gli altri. Confinati omosessuali in Lucania (ombrecorte, Verona 2019) andato presto esaurito. Ha poi svolto un’ampia ricerca sugli stupri commessi nella regione negli anni del grande brigantaggio  e sui femminicidi e gli omicidi commessi da donne. L’una e l’altra sono in speranzosa attesa di pubblicazione.
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