Foto ricordo dei socialisti e musicanti di strada di Viggiano
- Dall’emigrazione di mestiere a quella “di richiamo”
Nell’Italia meridionale, in una provincia ricca fra tutte, dal suolo fertile ma poco coltivato, la Basilicata, la maggior parte degli abitanti fa della musica e del vagabondaggio una vera industria: di là in ogni tempo sono partite queste torme di fanciulli musicanti, grandi e piccoli, che hanno reso il loro paese così singolarmente celebre in tutta l’Europa ed anche in America. Cinque o sei Comuni si distinguono particolarmente pel numero considerevole dei loro emigranti, e sono i seguenti: Marsicovetere, Corleto, Laurenzana, Calvello, Picerno e Viggiano.(cfr. Società Italiana di Beneficenza di Parigi, Rapporto sulla situazione dei piccoli italiani presentato dai signori amministratori, membri della commissione Bixio, Cerrutti, Fortina, Ronna, Cavaglion, 1868, p. 450).
In questi termini la Società Italiana di Beneficenza di Parigi presentava la Basilicata in un rapporto del 1868 sulla tratta dei piccoli musicanti di strada. «I suoi campi non hanno bisogno che dell’opera dell’uomo per essere fecondi di laute messi e di frutti», sosterrà dieci anni dopo il prefetto di Potenza per dimostrare che l’emigrazione, «piaga sanguinante e disdoro d’Italia nostra», non aveva caratteri di necessità. Ad allarmarlo era la dimensione che il fenomeno andava assumendo e la sua diffusione in zone e categorie estranee all’area folklorica dei musicanti di strada; a quattro anni dall’inizio della compilazione della statistica migratoria, infatti, le partenze, erano quintuplicate (E. Caravaggio nel Discorso pronunciato dal Prefetto di Basilicata innanzi il Consiglio Provinciale il dì 20 settembre 1880, fornisce le seguenti cifre: nel 1876 partirono 1102 persone; nel 1877, 1125; nel 1878, 2441, nel 1879, 5759 persone). In realtà né la regione, né il meridione in genere, erano quali li voleva la leggenda risorgimentale per cui solo per colpa del regime borbonico le loro naturali ricchezze non erano state valorizzate. Per ignoranza e «pregiudizio spagnolesco di grandezza», scriverà Francesco Saverio Nitti, gli stessi meridionali l’avevano alimentata creando la “funesta” ideologia che li aveva condannati a restare nell’antica desolazione mentre davano al nuovo stato più di quanto ricevessero e, nello stesso tempo, venivano giudicati severamente dal resto del paese (FS Nitti, Il grande dissidio Nord e Sud, ora in “Scritti sulla questione meridionale” a cura di A. Saitta, Bari 1958, p.133). L’industria della musica era indubbiamente praticata da una parte della popolazione dell’area citata nel rapporto e lo sfruttamento dei bambini aveva primariamente una base familiare come segnalerà, ancora nel 1907, “Il Ribelle”, un quindicinale di Viggiano: il succhionismo[…] lo nomeremo nei succhiati, nei succhioni e negli sperperatori che ogni famiglia racchiude, data l’abbondanza dei musicanti e dei suonatori che Viggiano produce, come un formicolaio perpetuo, ed esporta pel globo intero. Il fenomeno era in declino, aggiungeva il foglio socialista, ma cessioni di minori a un padrone si verificavano ancora «a dozzine all’ombra del mondo protezionista (sic!) e sotto la barba delle leggi». Si trattava di una sorta di schiavitù temporanea; nel caso citato dal giornale, il contratto di “cessione” per quattro anni di un bambino era stato concluso a settecento lire. Tuttavia, il clamore sollevato dalla stampa attorno ai piccoli musicanti di strada, aveva indotto da tempo gli ambienti interessati a cambiare denominazione all’attività: Ed andate un po’ a cercare un lembo di terra, il più ascoso abitato, che non sia stato scovato e visitato da questo famoso errabondo –negoziante ambulante- perché, se interrogaste il Larocca (delegato locale di pubblica sicurezza, ndr.) potrebbe dirvi che tutti espatriano sotto tale forma d’esercizio; almeno il passaporto così classifica i detentori! E perché mai si pratica questo vile e perverso lavoro quando si sa dell’umiltà che lo riveste, tanto da non significarlo neppure nel passaporto? (Succhioneide piccina, “Il Ribelle” del 16-5-1907) Come tutte le generalizzazioni, anche quella sui musicanti di strada era ingiusta poiché la gran parte di loro non sfruttava minori, estranei o di famiglia che fossero; anzi una qualche reazione al fenomeno verrà proprio da alcuni di loro, la parte politicizzata. Tanto che i più famigerati “padroni” (così erano chiamati dalla stampa straniera i reclutatori di bambini da impiegare come musicanti-accattoni) eviteranno le città dove i socialisti viggianesi erano presenti e pronti a denunciarli alle autorità. Anche questa pratica, e la stessa nozione di sfruttamento, sono tuttavia da vedere all’interno di una cultura che considerava il lavoro minorile uno strumento di autodisciplina, indipendentemente dall’utile che se ne poteva trarre, un addestramento alla fatica indispensabile per chi non aveva beni di fortuna. Alle ragioni di questa particolare pedagogia, si aggiungevano nel campo musicale quelle tecniche e proprie a una disciplina che richiede precoci inizi e sacrifici. Si vuole dire con questo che i musicanti che si portavano al seguito bambini, li assumevano con le stesse modalità di affido seguite nella loro collocazione in altre attività. Si trattava di un traffico indubbiamente lucroso poiché nell’attività musicale e nelle attività girovaghe in genere, così sfumate fra l’offerta di un servizio e l’accattonaggio, la presenza di bambini aveva il pregio di sollecitare la pietà di clienti o fruitori come ben sapeva chi lo praticava e chi doveva reprimerlo poiché, scriveva Il Ribelle, «I più piccoli sono i migliori strumenti di lavoro, perché attirano meglio la pietà dei passeggeri, così sono più ricercati da questi trafficanti». Ma, deprecabile quanto si vuole, il fenomeno non era nuovo e lo scandalo che si solleverà in questo caso nasceva, più che dal fatto in sé, dalla mutata situazione politica del paese. «All’Italia divisa, senza libertà, senza lavoro, -si dice nel rapporto dell’associazione filantropica parigina – tutto era possibile». Un paese unito e desideroso di affermarsi sviluppando le ricchezze della sua terra e del “suo genio”, non poteva invece più permettersi che «I piccoli mendicanti, che trascinano per l’Europa i brandelli delle loro vesti, vi perpetuino il pregiudizio che fa dell’Italia una nazione d’infingardi!» (cit. Società Italiana di Beneficenza di Parigi).Poco dopo lo stesso rapporto stabilisce un confronto fra montanari della Savoia e del Piemonte e –nell’accezione generica di meridionali- calabresi. I primi vanno a procurarsi il pane nelle grandi città con il lavoro, gli altri a piatirlo “con una vergognosa mendicità». Per questi ultimi, d’altronde, sarebbe naturale vendere i figli «come vendono i prodotti del suolo». Ciò che gli estensori del documento sembrano ignorare è che spesso la sola alternativa che si offriva a molti genitori era il lasciarli morire di fame, soprattutto nelle aree non ancora toccate dall’industrializzazione. Al riguardo va ricordato che anche in queste la condizione dei bambini non era molto più felice e solo nel 1886 il nostro parlamento varerà una legge che proibiva il lavoro negli stabilimenti dei minori di nove anni, senza, per altro, stabilire a chi spettasse curarne l’osservanza. Per i minori impiegati nelle attività agricole, soprattutto come pastorelli con contratti annuali nelle masserie, la legislazione interverrà ancora più tardi. Fare la legge contro il lavoro minorile non significherà, d’altronde, mettere fine al fenomeno che, non solo in Italia, si esaurirà solo negli anni Sessanta del secolo scorso.Si può affermare che per ogni piccolo schiavo dell’arpa migliaia di altri bambini patissero analoga sorte nelle masserie del Mezzogiorno, ma anche nelle cascine del Nord dove era diffusa l’usanza di affidare ai contadini i figli di nessuno, i bastardi. Poiché in definitiva, con poche differenze fino alla nascita della Repubblica, la tutela dell’infanzia dipendeva dal ceto di nascita. Sennonché, dispersi nelle campagne e privi di visibilità, i piccoli schiavi delle masserie non susciteranno neanche l’attenzione che uno scrittore come Giovanni Verga, richiamandosi all’inchiesta «La Sicilia» di Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, dedicherà ai carusi delle zolfatare con la novella Rosso Malpelo (1878).Quanto al rapporto della Società filantropica parigina che indicava «nell’interessata complicità, indifferenza o mal intesa pietà» delle autorità locali -dai funzionari municipali in su- l’origine del traffico di bambini, se si considera che il sodalizio era formato dal personale d’ambasciata, viene da pensare che la denunzia avesse anche lo scopo di scagionare sé stessi da ogni responsabilità. Pregiudizi e ipocrisie a parte, il documento fornisce una prima vivida istantanea della più antica corrente migratoria lucana, quella appunto dei musicanti di strada e accenna all’influenza che l’emulazione delle strategie da loro praticate con successo avrà negli anni 1876-1914, o della “grande emigrazione”.

(Montescaglioso 1949), è laureato in lettere e ha insegnato Italiano e Storia nei corsi di scuola media per adulti a Torino.
Appassionato di storia regionale, si è interessato al brigantaggio, all’emigrazione transoceanica, alla figura di Francesco Saverio Nitti, al fascismo e alle lotte per la terra del secondo dopoguerra. Vari suoi saggi e articoli si possono leggere sulle riviste Bollettino Storico per la Basilicata, Basilicata Regione, Mondo Basilicata e su libri di autori vari (Soveria Mannelli 2008: Villa Nitti a Maratea. Il luogo del pensiero; Torino 2009: Dalla parte degli ultimi. Padre Prosperino in Mozambico; Potenza 2010: Potenza Capoluogo (1806-2006)).
Ha curato inoltre mostre foto-documentarie sull’emigrazione italiana, sugli stranieri in Italia, sulla vita e l’opera di F. S. Nitti, sulle donne al confino e sul confino degli omosessuali nel Materano. Quest’ultima è stata presentata finora in una quarantina di città e ultimamente a Firenze e a Cagliari nelle sedi regionali.
Ampliando la ricerca sul suddetto o tema ha poi pubblicato il libro Adelmo e gli altri. Confinati omosessuali in Lucania (ombrecorte, Verona 2019) andato presto esaurito.
Ha poi svolto un’ampia ricerca sugli stupri commessi nella regione negli anni del grande brigantaggio e sui femminicidi e gli omicidi commessi da donne. L’una e l’altra sono in speranzosa attesa di pubblicazione.