martedì, 8 Luglio , 2025
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La “Merica’’ in fondo al mare nell’ultimo viaggio dell’Utopia

Terra di migranti il Sud, la nostra Basilicata, soprattutto a cavallo tra Ottocento e Novecento, quando tanti nostri avi decisero di partire per l’altra parte dell’Oceano in cerca di fortuna, lontano dallo sfruttamento e dalla disperazione di una terra amara e dalle delusioni del disegno unitario, con la repressione seguita al Brigantaggio. E quel sogno, venduto dagli imbonitori delle compagnie navali, come la porta del Paradiso in attesa di tanti disperati, fu coltivato anche da un gruppo di pomaricani imbarcatisi da Napoli sul piroscafo “Utopia’’. Quasi un presagio di quello che sarebbe accaduto per i circa 900 passeggeri di quella nave, il 17 marzo 1891, nelle acque di Gibilterra. Una manovra azzardata, non si sa perché e per come, e quel sogno si trasformò in un naufragio mortale per 570 di loro finiti nella ‘’tomba’’ di quelle che nell’antichità erano chiamate “Colonne d’Ercole’’, oltre le quali c’era l’ignoto. Alcuni si salvarono e tra questi alcuni pomaricani, che decisero di proseguire il viaggio. Una tragedia ricordate con le immancabili fonti d’archivio da un appassionato ricercatore come Giovanni “Gianni’’ Palumbo, che ha salvato con altri giovani dal naufragio parte della memoria storica di Pomarico. Ce la racconta, riannodando i fili di una storia continuata nella “Merica’’ di tanti che hanno fatto fortuna negli Stati Uniti, in Canada o altrove. Sarebbe interessante poter ricevere le testimonianze dei discendenti di quei migranti di 130 anni fa, perché la memoria non si cancella.

Il naufragio del piroscafo “Utopia”
di Gianni Palumbo

Partiti e mai giunti a destinazione, come tantissimi altri, quasi tutti meridionali, quasi tutti italiani, furono circa 570 i naufraghi, tra morti e dispersi. Le dinamiche di un naufragio come quello dell’Utopia sono da ascriversi nel complesso quadro generale delle modalità di navigazione e di trasporto di migranti nel XIX secolo.
È utile ricordare che i fatti risalgono al 17 marzo del 1891, quindi diversi anni che precedono l’approvazione della prima legge italiana che regolamenta il trasporto di migranti. La legge n. 23 del 31 gennaio 1901 stabiliva all’articolo 6 che l’emigrante “è il cittadino che si rechi in un paese posto al di là del Canale di Suez, escluse le colonie e i protettorati italiani, o in un paese posto al di là dello stretto di Gibilterra, escluse le coste d’Europa, viaggiando in terza classe o in classe che il Commissariato dell’Emigrazione, dichiari equivalente alla terza attuale”. Successivamente, con la legge n. 1075 del 2 agosto 1913 il profilo dell’emigrante fu rivisto e furono considerati tali soltanto i lavoratori manuali cui il Testo unico dell’emigrazione del 1919 aggiunse i piccoli commercianti. Quest’ultima legge stabilì inoltre che avevano diritto a essere qualificate emigranti anche le persone che si recavano all’estero per ricongiungersi ai parenti.
Nel XIX secolo i viaggiatori sono uomini misurati a chili. Il traffico marittimo, disciplinato dalla marina mercantile, assume da quest’ultima le regole. I viaggiatori sono merce, merce a peso, l’insieme dei viaggiatori costituisce il numero di tonnellate trasportate dalla nave, come fossero sacchi, accantonati nelle stive, stipati corpi cumulati uno accanto all’altro in un metro quadrato, sudicio e scomodo ma ricco di speranza. Ognuno viaggia compresso aggrappato a quella speranza e alla disperazione da cui la speranza stessa nasce. La consapevolezza del vivere male nel mondo contadino italiano, specie meridionale, muta nell’azione del viaggio reso possibile per tutti, per quasi tutti, nella seconda metà del XIX secolo, assume i connotati immaginifici di un nuovo mondo possibile, quello che iniziava ad essere raccontato dai primi italiani che nei decenni avevano iniziato a frequentare prima il sud America, il Brasile, l’Argentina, l’Uruguay e poi, nella seconda ondata migratoria, l’America del nord, gli Stati Uniti e il Canada.
Anche nei più sperduti paesi del Molise, della Campania, della Basilicata, della Calabria, arrivano i mediatori del viaggio a fare pubblicità alle grandi compagnie di navigazione. Urlano i banditori, si affiggono manifesti sui muri con i disegni dei grandi piroscafi, case galleggianti, certo un po’ insicure, ma pur sempre dei mezzi di trasporto che nel contratto di imbarco garantivano la possibilità di farcela, di traghettare un sogno, il sogno anche dell’ultimo tra gli ultimi, da una sponda all’altra dell’oceano Atlantico fino alle coste della … Mericaaaa!!!!!
Quel sogno fu però interrotto per i quasi 900 passeggeri a bordo del piroscafo Utopia, i quali non potevano immaginare che all’entrata del porto di Gibilterra, complice una errata valutazione del Comandante, verso sera e durante una potente burrasca, un urto con l’ariete sottomarino della corazzata britannica Anson ancorata all’ingresso del porto medesimo, avrebbe causato in circa venti minuti l’affondamento della nave e una delle più immani tragedie marittime in termini di vite umane: circa 570 le vittime, i corpi di alcune delle quali non furono mai ritrovati!
Anche Francesco Glionna di 37 anni, Vito Laterza di 26 anni, Michele Bengiovanni di 26 anni, Rocco Dilallo 20 anni, giovani ricchi di speranza, decisero di imbarcarsi nel 1891, e da Pomarico raggiunsero il porto di Napoli per salire sul piroscafo Utopia della compagnia britannica di navigazione Anchor Line! Purtroppo, il loro viaggio fu di sola andata e annegarono nelle acque agitate della baia di Gibilterra, i loro corpi furono ritrovati nei giorni seguenti il naufragio. Con loro viaggiavano anche i più fortunati Onofrio Gargano, Marchiore Lauria e Giovanbattista Cirella che sopravvissero ai marosi e, quando dopo una settimana fu offerto loro la possibilità di tornare a Napoli o di proseguire verso New York, non esitarono, nonostante fossero tra quei 318 sopravvissuti che avevano lottato strenuamente a tu per tu col destino cinico e baro, a proseguire il viaggio per l’ambìta meta oltreoceano.

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Gianni Palumbo

Team leader di BioPhilia S.a.s., Società attiva per la conservazione dei beni ambientali e per la promozione di studi, ricerche e monitoraggi floro-faunistici in Italia meridionale. È stato responsabile nazionale dei settori specie, ricerca e biodiversità della LIPU/BirdLife Italia e membro del coordinamento nazionale del Forum Ambientalista. Attualmente è consulente per diversi Enti pubblici e privati, per i quali si occupa di studi e ricerche sulla biodiversità e sulla fauna. Ha all’attivo molte pubblicazioni scientifiche e divulgative.
È tra i soci fondatori dell’Associazione culturale “Giuseppe Camillo Giordano” che presiede dal 2015, anno della sua fondazione. Tale sodalizio è attivo nel campo della valorizzazione dei beni culturali, in particolare nel settore degli archivi e delle biblioteche.

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