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I rossi e i neri. I corrotti e gli idealisti. Prima parte

Mussolini a Salò
I. Dopo la caduta del fascismo al Casellario politico centrale, l’ufficio del Ministero degli Interni che si era fino ad allora occupato della schedatura degli antifascisti, spettò il compito di raccogliere informazioni «utili a prevenire e reprimere i delitti contro la sicurezza dello stato repubblicano». Fra le undici di soggetti da schedare per il nuovo casellario le prime sei riguardavano i fascisti a vario titolo, la settima gli anarchici attivi, la nona, la decima e l’undicesima i condannati per vilipendio delle istituzioni, gli agitatori separatisti e quelli irredentisti.
Tutto chiaro, eccezion fatta per l’ottava categoria che si prestava a varie interpretazioni. Prescrivendo infatti di vigilare sui «violenti politici, cioè [su] coloro, molte volte squilibrati di mente, che per attuare le loro idee politiche non sentono alcun freno morale o legale e si inducono a commettere azioni antisociali, come attentati individuali o terroristici o a provocare gravi disordini», lasciava alla polizia il compito di stabilire quali atti erano da considerare violenti e quali soggetti denotavano squilibrio mentale. Due varchi aperti all’arbitrio dei quali le nostre forze di polizia faranno largo uso. Soprattutto nei malnoti, sotto l’aspetto repressivo, anni Cinquanta e soprattutto per la facoltà concessa dalla normativa di accampare esigenze di prevenzione.  

Famiglia di contadini meridionali del dopoguerra

Fu così che, dal 1944 e fino al 1967, quegli schedari tornarono a riempirsi dei nomi di militanti di sinistra. Di quelli di una certa relativa importanza, poiché i semplici militanti furono schedati dalle locali questure. Di questi si ha traccia dalle annotazioni a fianco ai nomi che compaiono nei rapporti di polizia e dalle note periodiche inviate dalle questure al ministero degli interni. Degli iscritti a pieno titolo al casellario politico centrale “repubblicano” non si conosce invece neppure il numero poiché la banca dati online riporta solo i nomi dei deceduti fino al 1965 (https://search.acs.beniculturali.it/OpacACS/inventario/IT-ACS-GEAST0 (223).

  • Questa carenza di informazioni è però compensata dalla sorpresa che suscitano certe presenze e dallo sconcerto che si prova di fronte ad alcune assenze. Quando sarà possibile consultare tutti i fascicoli credo che saranno quelle suaccennate le reazioni di chi vuole studiare quegli anni con onestà di intenti. Un ultimo, ma non meno importante, elemento da tener presente nello studiare quelle carte riguarda l’orientamento politico e, più in generale, l’ideologia di chi le scrisse. Erano funzionari formatisi durante il ventennio fascista e rimasti fascisti; anzi qualcuno, come si vedrà, aveva servito anche a Salò.
    Gli iscritti al CPC del Materano da me rintracciati sono appena quattro. Il comunista Francesco Paolo Bubbico di Montescaglioso, il socialista Rocco Scotellaro di Tricarico e i fascisti Donato Antonio Pelazzi di Pisticci e Domenico Tilena di Ferrandina. Questa equa ripartizione fra gli “opposti estremismi” non dipese però dalle autorità materane dell’epoca alle quali il caso Pelazzi era arrivato dal Commissariato per le sanzioni contro il fascismo e il caso Tilena dalla prefettura di Napoli, la città dove questi viveva.
    II. A proporre l’iscrizione di Bubbico fu, nel 1950, il capo della provincia Decio Jodice Boffillo, mentre l’iniziativa di mettere sotto controllo Scotellaro fu presa, nello stesso anno, dal questore Oreste Barrel. Due funzionari la cui carriera offre un bell’esempio di continuità dello Stato, vale a dire di passaggio dal fascismo alla repubblica fatto senza perdere uno scatto di carriera o un giorno di contributi pensionistici.
    Il primo si era infatti segnalato, in qualità di consigliere di prefettura aVarese nel dicembre del 1943, nel sequestro dei beni ebraici (F. Giannantoni, «Gli ebrei a Varese fra la tempesta della guerra e il miraggio della Svizzera», in «La Rassegna Mensile di Israel» maggio-agosto 2003).
    Il secondo, fascista antemarcia, squadrista e poi repubblichino, era stato vice-questore di Siena e anche lui era aveva avuto a che fare con la confisca dei beni degli ebrei (L. Rocchi, «Ebrei nella Toscana meridionale: la persecuzione a Siena e Grosseto», p. 264, in «Ebrei in Toscana tra occupazione tedesca e RSI», Regione Toscana 2003). Sospeso dall’incarico nell’agosto 1944 in seguito a procedimento di epurazione, fu pienamente reintegrato. Anzi promosso poiché dopo la parentesi materana fu trasferito nella ben più prestigiosa e impegnativa Palermo con lo stesso grado (G. Tosatti, «Storia del Ministero dell’Interno. Dall’Unità alla regionalizzazione», Il Mulino, 2009, p. 258).
    Date queste premesse sarà interessante, quando si potranno consultare tutti i fascicoli del CPC aperti nel dopoguerra, sapere quanti ne furono creati. Soprattutto durante il settennato di Mario Scelba al ministero degli interni (febbraio 1947-1953) che diede il via, lui sì, all’epurazione dei funzionari e poliziotti provenienti dalla Resistenza. Più di un indizio su come agissero i responsabili della tutela delle istituzioni repubblicane si trova comunque nelle relazioni di prefetti e questori di quegli anni. In quella stilata alla vigilia delle elezioni del 18 aprile 1948, ad esempio, si attribuiscono soltanto alla «propaganda estremista» le occupazioni di terra. Una falsità poiché erano cominciate subito dopo la caduta del fascismo e, fatta eccezione per il ventennio, avevano caratterizzato, a ondate di diversa intensità, l’intera nostra storia unitaria.
    In una di quelle relazioni c’è una mappatura delle zone “calde” della provincia. Primeggia Irsina, «plaga nevralgica della provincia», anche perché ai suoi dirigenti era stato ordinato dal segretario federale comunista, Matteo Massenzio, di intensificare le azioni per alleggerire la pressione poliziesca su altri centri nevralgici come Ferrandina, Bernalda, Montescaglioso, San Mauro Forte, Tricarico, Stigliano, Calciano e la stessa Matera. Per ogni comune sono indicati i nomi dei dirigenti politici e sindacali e dei maggiori attivisti. Fra i primi Domenico Scialpi per Irsina, Francesco Bubbico per Montescaglioso, Rocco Scotellaro per Tricarico, Michele Bianco più altri tre dirigenti e diciotto militanti per la federazione di Matera. La parte più interessante si direbbe però quella in cui si riferisce che «i locali partiti di destra non dispongono di organizzazioni paramilitari» e che neppure gli ex militari «si dicono disposti ad appoggiare gli appartenenti alle forze dell’ordine in caso di emergenza» (ACS, Min. In. AGeR, PS 1947-48, Relazione non firmata, 13 marzo 1948). Sappiamo così che anche da lle nostre parti lo stato profondo cercava di mettere radici e che oltre agli “scelbiatti”, cioè ai poliziotti e carabinieri di provata fede anticomunista, le questure cercavano supporto fra gli ex militari.
    Ve ne era bisogno? Cioè era verosimilmente ipotizzabile che nel nostro paese le sinistre volessero “fare la rivoluzione” e si potesse creare una situazione di emergenza? Nessuno meglio delle nostre forze di polizie e di quelle che si interessavano alle sorti del nostro paese, sapevano che tale ipotesi era inverosimile. E ciò malgrado il fatto che sia in Italia, sia fuori ci fosse chi operava in tal senso. Soprattutto – come hanno brillantemente raccontato e documentato J. Cereghino e M. Fasanella ne «Le menti del doppio Stato» (chiarelettere, 2020)- in Inghilterra e nella stessa Unione Sovietica dove Stalin, mal tollerando l’autonomia mostrata dal segretario Palmiro Togliatti, gli aizzava contro l’opposizione interna allo stesso PCI capeggiata di Pietro Secchia.
  • Palmiro Togliatti, segretario del PCI
    In tale clima, il Materano non sfuggirà all’applicazione di un «modello di gestione dell’ordine pubblico estensivo, violento e conflittuale» inaugurato da Mario Scelba. (M. Di Giorgio, «Lo scelbismo oltre la legge Scelba», Fondazione Feltrinelli 2022, ora in https://www.academia.edu/81892229). Lo provano le migliaia di arresti e fermi di braccianti in lotta per la terra che si ebbero fra il 1947e il 1954 e l’uccisione a Montescaglioso di Giuseppe Novello, avvenuta nel dicembre 1949.
    Dopo aver accennato ai trascorsi delle autorità che dovevano vigilare e «segnalare» chi dai paesi lucani poteva minacciare la Repubblica, diamo un occhiata ai fascicoli dei “pericolosi”.
    III. Uno era il comunista Bubbico, indicato come «violento» ma senza riferire alcun fatto che lo attestasse. Nato a Montescaglioso il 2 febbraio 1918 e là residente, il suo fascicolo riporta solo gli spostamenti dovuti alla sua attività di rappresentante di commercio (Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’interno. Direzione generale pubblica sicurezza. Divisione affari riservati. Casellario politico centrale 1944-1967, busta 14, f. 9617). Da altre fonti sappiamo che era stato partigiano dall’agosto all’ottobre 1944 nella 69° Brigata di Giustizia e Libertà con il nome di battaglia di Franco Tigre. E che aveva mantenuto lo stesso nome passando nella 79° Brigata Garibaldi alla quale fu aggregato fino al maggio 1945. (http://intranet.istoreto.it/partigianato).
  • Francesco Bubbico, partigiano
  • Francesco Bubbico, ex partigiano e primo sindaco comunista di Montescaglioso.
  • Sappiamo anche che, rientrato a Montescaglioso ed eletto sindaco, restò in carica dal 1946 al 1948 quando si dimise per seguire dalla federazione comunista di Matera le lotte per la terra (cfr. C. Magistro «Meridionali e resistenza», 2013, in Montescaglioso.net).
    Era stato il passato partigiano o il presente da militante comunista che aveva indotto prefetto e questore di Matera a far seguire Bubbico passo passo?
    Come che sia, si trattava pur sempre di un ex partigiano che aveva avuto a che fare con le armi, ma di fronte al secondo nome si rimane senza parole. Si tratta infatti del ventisettenne Rocco Vincenzo Scotellaro, socialista, nato a Tricarico e residente a Portici dove si manteneva facendo il «collaboratore scolastico». Anche lui è schedato nel 1950, in quanto considerato «pericoloso per l’ordinamento democratico dello stato».
    A suo carico risultava: l’invasione di un circolo cattolico per l’assistenza ai lavoratori nel maggio 1947; una denuncia per riunione non autorizzata in luogo pubblico del gennaio 1948 cui seguirà un’altra, a settembre, per associazione a delinquere, truffa, falsità in autorizzazione amministrativa e malversazione e una terza per concussione a ottobre.
    Il fascicolo non lo dice, ma anche Scotellaro era stato impegnato nelle lotte contadine e le denunce gli erano venute dall’attività di sindaco di Tricarico. L’amministrazione da lui guidata era stata per questo costretta a dimettersi, ma il 28 dicembre 1948 i socialcomunisti avevano riconquistato il comune (ACS, Min. Int, AGeR PS 1947-48, b. 18, Relazione prefetto di Matera del 30 dicembre 1948). Un affronto intollerabile in una cittadina sede vescovile e di due conventi.
    Sul giovane che l’esperienza di sindaco aveva prostrato fisicamente e moralmente facendolo sentire impotente davanti ai mille problemi della comunità (Non gridatemi più dentro, non soffiatemi in cuore i vostri fiati caldi, contadini, scriverà in “Sempre nuova è l’alba”) e già minato nella salute, nel febbraio del 1950 cala il maglio dell’arresto. Assolto da ogni accusa per non aver commesso i fatti, sarà presto scarcerato ma l’episodio testimonia del cinismo e della spregiudicatezza dei nuovi padroni d’Italia (ACS, CPC 1944-196, b. 36 f. 80, b. 41 f. 10921).
    Fra una denunzia e l’altra questo pericoloso soggetto, morto a 30 anni, scrisse poesie, racconti e saggi e guadagnò la stima e l’affetto del grande economista agrario Manlio Rossi Doria e del pittore e romanziere Carlo Levi, due antifascisti che avevano conosciuto la Lucania durante il confino e le erano rimasti legati.

    Seguirà seconda parte dedicata ai fascisti Pelazzi e Tilena.
Cristoforo Magistro
Cristoforo Magistro
(Montescaglioso 1949), è laureato in lettere e ha insegnato Italiano e Storia nei corsi di scuola media per adulti a Torino. Appassionato di storia regionale, si è interessato al brigantaggio, all’emigrazione transoceanica, alla figura di Francesco Saverio Nitti, al fascismo e alle lotte per la terra del secondo dopoguerra. Vari suoi saggi e articoli si possono leggere sulle riviste Bollettino Storico per la Basilicata, Basilicata Regione, Mondo Basilicata e su libri di autori vari (Soveria Mannelli 2008: Villa Nitti a Maratea. Il luogo del pensiero; Torino 2009: Dalla parte degli ultimi. Padre Prosperino in Mozambico; Potenza 2010: Potenza Capoluogo (1806-2006)). Ha curato inoltre mostre foto-documentarie sull’emigrazione italiana, sugli stranieri in Italia, sulla vita e l’opera di F. S. Nitti, sulle donne al confino e sul confino degli omosessuali nel Materano. Quest’ultima è stata presentata finora in una quarantina di città e ultimamente a Firenze e a Cagliari nelle sedi regionali. Ampliando la ricerca sul suddetto o tema ha poi pubblicato il libro Adelmo e gli altri. Confinati omosessuali in Lucania (ombrecorte, Verona 2019) andato presto esaurito. Ha poi svolto un’ampia ricerca sugli stupri commessi nella regione negli anni del grande brigantaggio  e sui femminicidi e gli omicidi commessi da donne. L’una e l’altra sono in speranzosa attesa di pubblicazione.
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