Militari degli States ubriachi, alla guida di una jeep, che investirono due bambini uccidendoli durante una processione nel Vulture. Un ricordo indelebile nella vita di Mimì , con i tanti interrogativi e le inevitabili maledizioni sul perchè? sia potuto accadere. Sulla processione come maiali ubriachi, come era accaduto a suini tracannando acqua di fiume nella quale si erano riversati ettolitri di vino. Similitudini ripresi in un film iraniano, ma che ci porta a quanto continua ad accadere sulle strade del BelPaese. Difficile trovare consolazione e giustizia, quando e come verrà. La perdita di una vita non viene mai adeguatamente ricompensata. Forse i versi di Vittorio Sereni, come scrive Armando Lostaglio, possono lenire quel dolore.
Quella volta che i maiali si ubriacarono
di Armando Lostaglio
Mimì ricorda di quella volta che un’azienda vinicola di Rionero fece riversare nei canali del vino andato a male. E che finirono nella fiumara, dove i maiali si abbeveravano. Bevendo quell’acqua adulterata, le povere bestie si ubriacarono. Impazzite, fuggivano senza meta e grugnivano, per giorni.
Lamenti e risate, ilarità diffuse per quell’episodio così inconsueto. In quel tempo lontano che oggi pare non vero. Sovviene il titolo di quel film diretto nel 2000 dal curdo-iraniano Bahman Ghobadi “Il tempo dei cavalli ubriachi” storia di sofferenza di bambini che tanto impressionò al festival di Cannes. Altre geografie, altri tempi.
Mimì ricorda, lo ricorda quel tempo, come lampi di luce, e fatti accaduti nella sua adolescenza, con le tragedie della guerra appena alle spalle. Di quella volta che era l’Ottava di Pasqua, il 1945, l’8 di aprile, che quella maledetta jeep dei militari americani investì la processione dalle parti del Macello, ferendo mortalmente due bambini. Lui li aveva visti scappare quei militari di colore, fino al quartiere dell’Annunziata, e tanto lo impressionò quel sangue secco sulla pelle scura mai vista prima di allora. “Che impressione!”
E ricorda ancora del tempo giocoso che li faceva arrampicare sul mascio tutto scivoloso ed insaponato, l’albero della cuccagna carico di prosciutti e di salami e di baccalà: alla festa della SS. Annunziata, ma anche a Sant’ Mauro celebrato al quartiere dei Morti, lì campeggiava il mascio (l’etimo sarà maggio) che sembrava altissimo, dalla cima inarrivabile. E a Monticchio, sul lago dorato, verso la funivia che arrivava sopalamuntagn, le Mura di Sant’Apolito o Sant’Ippolito e l’abbazia di San Michele che si specchia nel Lago piccolo. La Festa r’ la Maronna, la processione popolare, la banda dei bravi musicisti a Rionero della Giuseppe Verdi, i cavzun c la r’cotta aròcia, specialità solo di questo luogo. Che festa! E quanta fede: “Quanta grazie avimm avut…”
Così li ricorda Mimì, mentre piange il fratello maggiore, Donato, appena scomparso.
Anni lucenti di speranze, spesso deluse, ma comunque avvinti di traguardi bene o male raggiunti, da quel tempo dei maiali ubriachi.
A Mimi’ vanno i versi di Vittorio Sereni:
La Terrazza
Improvvisa ci coglie /la sera. /Più non sai /dove il lago finisca;
un murmure soltanto /sfiora la nostra vita /sotto una pensile terrazza.
Siamo tutti sospesi /a un tacito evento
questa sera /entro quel raggio di torpediniera
che ci scruta poi gira /se ne va…
