Bene discutere, organizzare mostre, escursioni, pulizie straordinarie, raccogliere testimonianze, riflettere su quella che è stata l’esperienza del campo ‘’65’’ di prigionia tra Altamura e Gravina a ridosso del secondo conflitto mondiale, ma è ora di passare dalle parole, dagli annunci ai fatti. Per farla breve si attende un cantiere della memoria per l’intero comprensorio murgiano dove insurrezioni, reazioni, ferite legate alla deportazione e alla prigionia hanno gettato il seme di una lunga stagione di pace, democrazia, libertà. Ma ora tocca ai giovani raccogliere quella sfida e sul numero ‘’65’’ va puntato l’investimento sulla memoria di una comunità e sulle radici di quella esperienza. Attendiamo, a valle del nutrito programma di eventi, dei prossimi giorni che si metta mano al cantiere e con un percorso preciso, da percorrere fino in fondo. E ci piace ricordare quanto proposto nella Prima Repubblica da due parlamentari della Murgia, Fabio Perinei e Onofrio Petrara, per un parco della pace https://giornalemio.it/politica/una-eredita-e-un-archivio-per-ricordare-fabio-perinei/ . Un motivo in più per avviare il cantiere …
SCHEDA CAMPO 65 E LUOGHI DELLA MEMORIA-RASSEGNA “STORIE DAL CAMPO”
La Memoria che resta e si ravviva
Campo 65, una vasta area di oltre 30 ettari, fu il più grande campo di prigionia in Italia nel corso della seconda guerra mondiale e ospitò negli anni 1942-43 prigionieri provenienti soprattutto dai Paesi del Commonwealth, catturati sul fronte nord-africano dalle forze dell’Asse e trasferiti in Italia. Poi, dopo l’8 settembre, per un brevissimo periodo, diventò centro di addestramento di partigiani per la liberazione della Jugoslavia. Infine, negli anni post-bellici, fu adibito a campo profughi degli italiani provenienti dalla Venezia Giulia, dall’Istria e dalla Dalmazia o rimpatriati dall’Africa coloniale. Insomma un libro aperto sulla storia drammatica del Novecento e un sito di enorme importanza storica il cui interesse va ben oltre i confini regionali e nazionali.
Oggi l’area, nella quale sopravvivono alcune costruzioni (una decina di baracche, tra cui la palazzina comando) degli 80 manufatti complessivi, è di proprietà del Comune di Altamura. Da alcuni anni l’associazione omonima, con la collaborazione di diverse istituzioni (Comune, Regione, Università, Esercito, associazioni, scuole, queste ultime importanti protagoniste del lavoro di ricerca svolto finora), ha iniziato un’opera di conoscenza, approfondimento e divulgazione a un pubblico sempre più vasto, avviando e programmando, inoltre, attività di messa in sicurezza, recupero e valorizzazione. E’ stato costituito dal Comune un comitato tecnico. Le iniziative per la conoscenza e la valorizzazione del Campo 65 sono state, inoltre, sostenute dalla norma su “Luoghi e Archivi della Memoria” approvata nel Consiglio regionale della Puglia nel 2019, poi tramutata in legge nel 2020. E’ stata presentata anche una proposta di legge in Parlamento per far dichiarare il Campo monumento nazionale.
A luglio, per una settimana, è stata realizzata una breve sessione di scavi di archeologia del contemporaneo, un tipo di indagine insolita in Italia nel settore, a cura di docenti e studenti delle Università di Foggia e Bari, con il supporto del Comune di Altamura e dell’associazione Campo 65. Si è trattato di una prima sperimentazione non invasiva (pulitura, rilievo e documentazione) autorizzata dalla Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Bari, cui seguiranno altre sessioni e altri studi. Le indagini hanno riguardato soprattutto le aree delle strutture già demolite e le decorazioni e i graffiti di quelle superstiti al fine di riconoscere le tracce materiali delle diverse fasi di vita del sito, nella prospettiva di recuperare dati utili per la sua preservazione e la valorizzazione.
Durante i lavori sono stati portati alla luce un podio e due cucine appartenenti ad altrettanti settori dei sei complessivi del Campo 65.
Al di là della materialità dei luoghi, diverse sono anche le testimonianze immateriali e orali provenienti da tutto il mondo. Si va dai diversi archivi internazionali ai diari, dalle ricostruzioni biografiche ai documenti della Croce Rossa che l’associazione ha già recuperato e intende ancora recuperare e togliere dall’oblio, rendere fruibili e vivi, in collaborazione con le istituzioni. Un patrimonio di comunità ma anche una comunità di patrimonio visto il coinvolgimento già avvenuto dei giovani studenti di due licei statali cittadini, “Cagnazzi” e “Federico II di Svevia”, ad esempio nella digitalizzazione e nella traduzione di testi, che esalta l’attualità del Campo 65 e degli altri luoghi significativi dei conflitti del Novecento. I giovani hanno scoperto in questo modo di vivere a pochi passi da uno dei luoghi dove è passata la storia drammatica del secolo scorso, seppure a grande distanza dai fronti bellici. Tra gli obiettivi dell’associazione il collegamento e la collaborazione con altri campi di prigionia e concentramento sparsi in Italia.
Alla rassegna parteciperanno storici, ricercatori e discendenti di prigionieri tra i quali un professore universitario inglese, Malcolm Gaskill, pronipote di Ralph Corps, uno dei prigionieri britannici del Campo che ha lasciato la sua testimonianza in un diario, in cui emerge in particolare la fuga dalla struttura insieme a un altro soldato. Entrambi, però, vennero subito catturati. Negli anni scorsi altri parenti di militari di varie nazionalità, già prigionieri in quegli anni, sono venuti sulla Murgia e ad Altamura a visitare il Campo. Dalle ricerche storiche e documentarie è venuta alla luce, ad esempio, la persecuzione della polizia fascista (Ovra) nei confronti di una coraggiosa donna di Altamura, che peraltro aveva due figli impegnati al fronte, sospettata di fornire supporto e copertura ai prigionieri britannici, sulla carta, ma solo sulla carta, suoi nemici. Ma sono tanti i Luoghi della Memoria che si trovano nel territorio murgiano e che hanno necessità di essere riscoperti e messi in luce. Ad Altamura, sempre durante la seconda guerra mondiale, furono operativi due ospedali militari allestiti in altrettanti edifici (Monastero del Soccorso e scuola IV Novembre) all’interno dell’abitato e un’area (Villa Serena) su cui sorse un accampamento temporaneo di tende. La città fu sede anche dell’antico Campo di Casale, sulla strada per Santeramo, ormai non più esistente, dove erano detenuti i prigionieri austro-ungarici della prima guerra mondiale. I resti di alcuni dei soldati, morti a causa delle malattie contratte durante la prigionia, sono conservati in una cappella del cimitero e vengono omaggiati ogni anno in occasione del 4 novembre. E poi ancora le basi missilistiche a testata nucleare della Nato, “Jupiter”, puntate contro l’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda (dal 1959 al 1962), una decina in tutto, sparse in alcuni comuni murgiani tra cui due ad Altamura, una rispettivamente a Gravina, Acquaviva, Gioia del Colle, Spinazzola, Laterza, Mottola, Matera, Irsina ecc… Luoghi e testimonianze che si intende trasformare in un messaggio di memoria, di pace e tolleranza, sull’inutilità dei conflitti attraverso la conoscenza e il racconto delle sofferenze che coinvolgevano alla stessa maniera prigionieri e “custodi”.
Durante la rassegna ci sarà anche l’occasione di riflettere sul futuro del Campo 65. L’auspicio è quello di un luogo aperto, non recintato, di cui la comunità si dovrebbe riappropriare per la sua capacità di raccontare storie, peraltro in una zona adiacente all’area del Parco dell’Alta Murgia nella quale si potrebbero realizzare ad esempio percorsi cicloturistici e dedicati al benessere fisico e ambientale. L’obiettivo è di farlo diventare veicolo di un messaggio di tolleranza e convivialità in contrapposizione alla sofferenza che ogni detenzione comporta. Benché fossero protetti dalla convenzione di Ginevra, in quanto prigionieri di guerra di un altro esercito, gli ospiti del Campo patirono privazioni e fame. In definitiva un simbolo di pace alternativo alla cultura della sopraffazione e della prevaricazione che portò alla seconda guerra mondiale. Nel Campo 65 furono detenuti prigionieri di diverse estrazioni culturali e religiose: britannici, canadesi, australiani, neozelandesi, sudafricani, palestinesi, marocchini e una sessantina di persone di fede ebraica.
“Dietro le nostre linee: 2 novembre 1943”….. “Infine ce l’abbiamo fatta a raggiungere il fronte e la nostra libertà…. E’ dura mia cara realizzare che siamo nuovamente uomini liberi, abbiamo quasi paura di dormire per timore di scoprire che si è trattato solo di un sogno”. Dalla lettera di Alan Charlie Paice, 25 anni, soldato inglese, del Royal Tank Regiment, alla moglie.
Era stato detenuto nel Campo 65.
