Tra pochissimi giorni, il 20 ed il 21 Febbraio, l’Alta Corte di Giustizia Britannica si esprimerà in merito all’istanza d’appello presentata dai legali di Julian Assange per scongiurare la sua estradizione negli Stati Uniti. Se l’appello dovesse essere respinto, Assange potrebbe essere estradato immediatamente e lo attendono, senza ulteriori possibilità di opporvisi, ben 175 anni di carcere. La sua colpa? Solo quella di aver fatto il proprio lavoro di giornalista. Di aver reso pubblici documenti di cui è giunto a conoscenza e che hanno rivelato crimini di guerra che altrimenti sarebbero rimasti sconosciuti. Crimini per i quali chi li ha commessi non ha pagato. Mentre a pagare rischia di essere solo chi ha fatto quello che nei nostri paesi che si professano democratici dovrebbe essere un dovere nei confronti dei cittadini che hanno diritto di sapere ciò che i propri governanti fanno in loro nome. E’ una assurdità che però non sembra essere colta nella sua gravità. E inquietanti sono le sottovalutazioni ai vari livelli, come quella consumatasi nel Comune di Roma dove il Sindaco dem Gualtieri sta ritardando la concessione formale della cittadinanza onoraria a Julian Assange già decisa con un voto (all’unanimità) del consiglio comunale il 17 ottobre scorso. Non si comprende come attorno alla storia del fondatore di WikiLeaks si stia giocando una partita storica rispetto all’esercizio del diritto di cronaca in questa stagione dove tendono a prevalere le cosiddette democrature: Polonia e Ungheria e Slovacchia sono vicine. E con gli Stati Uniti, formalmente esportatori di democrazia persino a suon di bombe, da cui proviene questo atto che spinge verso una diminuzione dello spazio per contropoteri essenziali per una vera democrazia. Se si profilasse il viaggio senza ritorno in un penitenziario nordamericano di massima sicurezza, dopo un processo di comodo già scritto in base ad una legge sullo spionaggio del 1917, perderebbe definitivamente la libertà una persona coraggiosa e con lui perderemmo tutte e tutti noi. Un diritto fondamentale diverrebbe opzionale, con relativo messaggio: non si ficca il naso nei sacrari indicibili e il prezzo da pagare è persino la propria pelle. Ed è stato questo il focus della conferenza stampa che si è svolta -oggi- presso il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti a Roma, organizzata da Articolo 21, Free Assange Italia, La mia voce per Assange. Come si legge dal resoconto pubblicato sul sito dell’Odg (https://www.odg.it/ultimi-giorni-per-assange-conferenza-stampa-allordine/54213), il presidente nazionale dell’Ordine Carlo Bartoli si è detto “orgoglioso di ospitare l’evento che non riguarda solo le sorti di Julian Assange ma che tocca i principi cardine della libertà di stampa. E’ una battaglia fondamentale per la difesa del giornalismo e per garantire a tutti i cittadini il diritto di essere informati, non solo sulle pagine chiare ma anche su quelle scure.” “Abbiamo un giornalista in galera da 5 anni nella patria della democrazia, in Gran Bretagna, dove non sono stati concessi nemmeno i domiciliari – ha detto Riccardo Iacona – Sarebbe la prima volta che un giornalista verrebbe processato in Usa con una legge che invece riguarda lo spionaggio quando al sua ‘colpa’ è quella di aver semplicemente divulgato documenti riservati. Questa battaglia è importante anche in considerazione del fatto che le democrazie dimagriscono e le autarchie ingrassano”. A moderare la conferenza stampa Vincenzo Vita, garante di Articolo 21, che ha ringraziato tutta la rete che sostiene la battaglia per Assange, ossia Articolo 21, “la mia voce per Assange”, No Bavaglio, Amnesty, Move on, Fnsi, Usigrai, rappresentata dal segretario Daniele Macheda; l’Ordine dei Giornalisti del Lazio presente con il Presidente Guido D’Ubaldo. Tina Marinari di Amnesty ha sottolineato come “l’unica persona che viene processata per i crimini di guerra denunciati da Assange è Julian Assange. Paradossale. Ricordiamoci che questo giornalista, questo detenuto ha subito la violazione di tutti i diritti umani, compreso quello di difesa. La battaglia per la liberazione di Assange è fondamentale per noi”. Stefania Maurizi, autrice di un libro sulla vicenda, ha spiegato: “C’è il rischio reale che Assange possa finire in un regime di detenzione assolutamente degradante. Questo è un caso assolutamente avvolto nel segreto. Chi prova ad accedere agli atti di questo caso trova ostacoli incredibili. La colpa di Assange è di aver fatto un giornalismo focalizzato non solo sui crimini di guerra degli Stati Uniti, in Iraq e Afghanistan in particolare, ma anche sui crimini dei talebani. Si vuole farlo apparire come uno che vuole distruggere gli Stati Uniti e questo non è vero”.
Per Giuseppe Giulietti, coordinatore di Articolo 21: “Sbagliano i giornalisti che pensano che questo sia un affare della famiglia Assange, i bavagli generano contagio. Assange non è un caso estremo, è un caso terribile ed ha a che fare con la libertà di stampa, ma anche con altro, con la pace per esempio, col massacro di Gaza. Facciamo un appello comune per dare una scorta mediatica anche ad Assange, facciamo un appello al sindaco di Roma perché gli sia data la cittadinanza. E’ un problema dell’informazione ed anche la Rai non può oscurare Assange”. Vittorio Di Trapani, presidente Fnsi, ha ricordato che decine di associazioni europee di giornalisti hanno consegnato ad Assange la tessera onoraria, “la battaglia per Assange – ha affermato – è una battaglia per la libertà dell’informazione e per la democrazia e riguarda tutti, non solo i giornalisti”. Un appello ad un’azione coordinata di solidarietà per Assange è giunto, in conclusione, dalla segretaria nazionale dell’Ordine Paola Spadari
Iscritto all’albo dei giornalisti della Basilicata.