mercoledì, 9 Luglio , 2025
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Periferie? Una necessità per la Matera da rigenerare

C’è chi non si stanca di parlare a vuoto, naturalmente, tra ipocrisie, inconcludenze e populismi di maniera, di rigenerazione urbana, di città smart, green e con tutti gli anglicismi del corollario del vuoto a perdere, lasciando le cose come stanno o peggiorandole con regolamenti che aprono a possibili consumi di suolo, tra compensazioni e delocalizzazioni di volumetrie, e chi alla ” rigenerazione” o, meglio, alla ”riqualificazione” di parti degradate o prive di identità, servizi, della Matera di ieri e di oggi, ci crede. E ricorda, come l’architetto Gianni D’Alessandro, con una riflessione datata ma di stretta attualità, che la questione periferie è ancora lì e con i problemi di sempre. Logico che ”martella” ( sì anche il settantenne borgo va ricucito alla città, come sentiamo e leggiamo da mezzo secolo buono) su una lamiera, recuperando la forma della città, abbondantemente ammalorata e in qualche punto bucata…D’Alessandro invita a farsi un giro nella Matera nuova, seminuova dove servizi, identità, mostrano i limiti della pianificazione e del concetto di comunità. E non si tratta della stradina intasata di auto ( ormai due, tre a famiglia e parcheggiate all’esterno) ma di spazi di vivibilità indefiniti, insufficienti che ne fanno zone dormitorio o quasi. E allora ”rigenerare” per rimediare laddove possibile su carenze e lacerazioni del tessuto sociale. L’architetto continua a ricordare e a stimolare per l’amore che ha per la città, per la sua storia, culturale, urbanistica, architettonica,che si intreccia con gli spazi verdi, i rioni Sassi, il parco della Murgia. Amore per la città e la sua storia. Il nodo è qui, stretto da mediocrità, opportunità e dall’assenza di memoria di quello che è stata Matera e di quello che è diventata . Tra l’altro alle prese con un sensibile calo demografico che invita a ”rigenerare”. Il campanello d’allarme continua a suonare. Che si aspettano le campane a martello per intervenire? Quando non si ha amore e rispetto per la città è possibile… E allora architetto continua a martellare.

La città periferica tra la quotidianità del vivere e l’orgoglio urbano

Le tumultuose vicende urbanistiche che continuano ad interessare, ormai da alcuni
decenni, la banlieue materana, oltre ad un consapevole diritto ad acquisire dignità sociale
ed urbana, rendono possibile una rivoluzione, in termini di riqualificazione e nuova vitalità,
dei settori urbani periferici, con il loro alto deficit di attrezzature e di servizi.
L’intero territorio è oggi lasciato, dai pubblici poteri, al saccheggio della speculazione
immobiliare. Ancora una volta, l’urbanistica perde il suo senso più proprio e diventa lo
strumento di rivalutazione della rendita fondiaria.
A scanso di equivoci, diciamolo chiaramente. L’alloggio fa parte delle tematiche sociali che
riguardano la comunità in generale; il bene casa rimane senza dubbio una delle massime
aspirazioni della società. Gli alloggi, quindi, devono essere realizzati. Ma è altrettanto vero
che la casa non va più intesa come mero prodotto di consumo.
Essa è strumento di sviluppo sociale, è progetto eco-compatibile che contribuisce
all’ecologia urbana, alla qualità ambientale ed è oggetto di quella flessibilità tipologica che
la stessa progettazione delle abitazioni deve avere per adattarsi alla dinamica sociale.
Del resto, non basta costruire case, bisogna fare abitare gli uomini, considerando che la
qualità della vita e la sua integrazione con le strutture sociali sono un fondamentale
traguardo nella qualificazione degli spazi urbani. I quali spazi non devono conoscere
separazioni ma intrecci, armonie, incontri tra abitudini personali ed espressioni di socialità.
Alla vita associativa, alle esigenze relazionali, bisogna pensare, forse, di riservare anche
frammenti di città, quasi come “isole” nel continuo di funzioni e usi da cui la città è
costituita. La qualità della vita, lo stesso spirito di integrazione, che rende il problema della
comunicazione fra gli abitanti un elemento basico della vita urbana, sono un fondamentale
traguardo nella formulazione di attrezzature sociali e collettive per la convivenza urbana.

Allora ci si chiede. Chi interpreta le esigenze della comunità, deve affrontare tematiche
riferibili solo ed esclusivamente all’edilizia abitativa, o deve anche affrontare i diritti, i
bisogni delle aree periferiche prive di identità sociale, che più che luoghi distanti dal
centro, si presentano come gli spazi del fallimento?
Sono le aree segnate da maggior degrado, i luoghi in cui esistono i problemi più forti di
frammentazione, di dispersione sociale, di solitudine e introversione delle relazioni tra le
persone, per l’elevato deficit di attrezzature e servizi. Sono sempre più caratterizzate da
una enorme domanda di riqualificazione.
E’ nelle periferie che si riscontrano i problemi più rilevanti in termini di coesione. Vanno
umanizzate creando strutture sociali e collettive che le rivitalizzino, aprendo una
discussione tra la quotidianità del vivere e l’orgoglio urbano. Quindi, non solo luoghi da
curare ma più integralmente luoghi di cui prendersi cura, perché spazi che danno forma al
cambiamento e alla trasformazione, che qui si presenta carica di dubbi e incertezze.
Questo è il ruolo dell’urbanistica. In quanto disciplina sociale, l’urbanistica deve puntare
sulla integrazione delle funzioni, sull’ effetto città, sulla complessità; deve individuare le
leggi morfogenetiche della città vivente quale sistema dinamico complesso; deve puntare
sull’utilizzazione del suolo per fini sociali, sovraordinando gli interessi collettivi a quelli
privati. Deve tenere maggiormente in considerazione le esigenze sociali dell’individuo;
deve prevedere piani che esprimano l’unità dinamica della città, non meno che le relazioni
funzionali, essenziali tra quartieri e altre aree urbane, in una pianificazione che richiede un
continuo, sistematico processo di interazione tra comunità, amministratori, architetti.
Per questo è necessario che le politiche urbanistiche adottino una politica di rigenerazione
della cultura della città. Una città fatta di parti che abbiano dignità sociale e funzionale e di
nuovi luoghi di relazione e di aggregazione; una città dove la tradizionale distinzione fra
centro e periferia sia superata, concretamente e non solo in teoria, dalle nuove centralità,
dalle centralità contemporanee.
Ecco, allora, il vero senso dell’urbanistica. Riferirsi all’insieme dei luoghi, alle aree interne
e periferiche, che necessitano di un rinnovamento urbano, creando spazi e servizi pubblici
che le rivitalizzino, senza scadere nel monumentale e nel retorico ma aprendo una
discussione tra la misura del vivere (la sua semplicità, quotidianità) e l’orgoglio urbano.
La pubblica amministrazione deve impegnarsi a fare i conti con le trasformazioni che il
tempo le impone; deve progettare lo sviluppo socio-economico, non subirlo supinamente.
Chi regge la comunità, chi la rappresenta, deve sentire la necessità culturale di non
ammettere né casualità, né incongruità in qualsiasi zona della città; deve progettare lo
sviluppo sociale, culturale, della città, di concerto con la comunità.
Deve superare questo ” abdicare dell’espressione “, che è uno dei drammatici segni dei
tempi, della cultura, della politica (una non-politica che genera continua, caotica,
ingestibile sovrapposizione di piani) e tornare ad avere il coraggio del progetto, del
significato.
E’ una questione gigantesca, una sfida enorme che riguarda la nostra intera società.
Gianni D’Alessandro

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1 commento

  1. Se visualizzo Aquarium/Giada o Vico Cosenza o Via La Martella o San Francesco, esempi tra i tanti scempi ubanistici, più che di rigenerazione si dovrebbe parlare di abbattimento stile Punta Perotti. Sono conscio che è impossibile perchè andrebbe abbattuta mezza Matera a cominciare dalla storica “speculottizzazione” Casino Ridola; ormai l’aspetto da paesone di Matera è irreversibile. Comunque la si pensi.

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