Tante vite spezzate, quelle di donne di tutte le età, italiane, straniere per mano di compagni, ex conviventi o di ‘bravi ragazzi’ come accaduto un anno per Giulia Cecchettin, che non si rassegnano a un ‘’No’’ detto con decisione legato al diritto alla libertà, a rifarsi una vita. Una scia di sangue segnata da condanne, appelli, con l’auspicio che non accada più…Ma la realtà è un’altra nonostante alcune iniziative messe in campo e all’aumento, incoraggiante, delle denunce fatte dalle donne. C’è ancora tanto da fare, cominciando dalle scuole, dai bambini, perché la cultura del rispetto per l’altro, per l’altra contribuisca a cambiare modelli duri a morire, come il patriarcato e di quel senso del possesso che fu pre alessandrino, come ripete il ritornello di ‘ Sentimiento nuevo’ di Franco Battiato . Serve un sentimento nuovo e tanto senso di responsabilità da parte di tutti gli attori della società, che dovrebbero concorrere a contrastare il fenomeno superando paradossi e carenze organizzative. Rossella Rubino, consigliera regionale per le pari opportunità affida a riflessioni, proposte quello che occorre fare, in concreto, aldilà della rituale convegnistica della giornata sulla violenza di genere, perché il sacrificio di tante donne non sia stato vano. Leggete, riflettete e se vi va fate girare.
LE RIFLESSIONI DI ROSSELLA
Esattamente un anno fa, l’11 novembre 2023, fu uccisa dal suo ex compagno Giulia Cecchettin, studentessa 22enne di Ingegneria biomedica all’università di Padova, che dopo pochi giorni avrebbe dovuto laurearsi. La storia di Giulia ha turbato tutti, ha smosso le coscienze sopite perché essa ha costituito uno spartiacque nella consapevolezza sociale sulle dimensioni della violenza maschile contro le donne e le sue radici culturali, la violenza di genere avviene in tutti i contesti compresi quelli in cui viviamo quotidianamente, non solo in quelli disagiati. Il femminicidio è l’apice di una violenza fatta di tanti atti propedeutici, frutto del retaggio del patriarcato, della cultura del più forte. L’omicida non è un “mostro isolato” può essere anche “il bravo ragazzo”, il figlio di chiunque legittimi ogni comportamento teso a ledere la figura della donna. Ciò detto, la violenza di genere la ritroviamo quotidianamente nella gelosia, nei maltrattamenti, stalking, violenza psicologica ed economica. Gli strumenti normativi per contrastarla esistono, il rafforzamento delle leggi italiane, iniziato dalla ratifica della convenzione di Istanbul, passando per il c.d. Codice Rosso, fino all’ultima legge del 2023 ha reso il sistema normativo italiano di contrasto alla violenza contro le donne tra i più importanti a livello europeo e internazionale, tuttavia la magistratura non può essere l’unico attore ad affrontare un fenomeno così complesso: «Si contrasta nelle famiglie, nelle scuole e nelle università». Si contrasta facendo cultura di genere, insegnando gli strumenti per intercettare i comportamenti disfunzionali, insegnando sin da bambini il rispetto degli altri, promuovendo una cultura paritaria. Perché il problema siamo tutti e tutte noi per il modello culturale che trasmettiamo. I dati ci dicono che nei primi sei mesi dell’anno si è registrato un aumento delle denunce e questo è certamente un segnale importante. Le segnalazioni per atti persecutori e maltrattamenti sono state quasi 26mila in 6 mesi nel 2024. I dati che ci fornisce l’Osservatorio Femminicidi Lesbicidi Transcidi (FLT) in Italia di Non Una Di Meno (NUDM) parlano di 104 delitti. Un numero spaventoso di vite spezzate. Mentre i braccialetti elettronici attivi sono alcune migliaia. Ci sono stati casi di femminicidio in cui denunciare non è bastato, perché per esempio il dispositivo non ha funzionato.
Dimostra innanzitutto che le donne e il contesto sociale riconoscono la violenza: il controllo del cellulare, la denigrazione, le forme di limitazione della libertà delle donne che prima erano normalizzate, sono finalmente canalizzate nei giusti binari. Significa poi che le donne iniziano ad avere fiducia nelle istituzioni. Detto questo, una donna su tre – un numero al ribasso – è vittima di violenza in Italia, in Europa e nel mondo. A fronte di questi numeri, è chiaro che non può essere la magistratura ad affrontare tutto ciò. È un fenomeno criminale, con una radice culturale, che non si contrasta nelle aule di giustizia ma nelle famiglie, al lavoro, a scuola, partendo dagli uomini. La magistratura deve fare la sua parte, ma sono ancora poche le denunce. Se una donna su tre subisce violenza, solo una su 10 denuncia. Nonostante i numeri siano cresciuti in maniera esponenziale, stiamo guardando ancora alla punta dell’iceberg. È un’architettura potente a cui mancano due strumenti fondamentali. Una formazione obbligatoria e specifica di magistratura, forze di polizia, avvocatura, consulenti e assistenti sociali, per leggere e contrastare il più difficile fenomeno criminale e culturale, intriso di stereotipi e pregiudizi. E personale sufficiente nelle caserme e nelle aule giudiziarie. Il numero è rimasto invariato di fronte a nuove norme. Questi delitti hanno una priorità assoluta, come i delitti di criminalità organizzata: c’è l’obbligo di ascolto della persona offesa entro tre giorni; l’obbligatorietà del braccialetto elettronico; gruppi specializzati all’interno delle procure. Il fenomeno però continua a persistere perché l’applicazione è virtuosa se c’è formazione da parte della polizia e della magistratura. Da parte di chi non è formato, c’è invece una sostanziale disapplicazione. Manca una specifica conoscenza di queste norme, complicate e sparse in tutto l’ordinamento. Nella consapevolezza che nessun cambiamento culturale è facile, continuiamo a prevenire e contrastare la violenza di genere, affinché non accada più quello che è successo per mano del “bravo ragazzo” di turno.
