Un miliardario, attorniato da miliardari, sta deportando dei poveracci in catene fra gli applausi generali, persino di tanti altri poveracci a cui viene fatto credere che -togliendo diritti e tutele a coloro che vengono additati ingannevolmente come responsabili dei loro problemi- li farà stare meglio. Quella foto postata in rete dalla Casa Bianca del neo 47° Presidente USA Trump, con la scritta “Deportazione” e una decina di disgraziati in catene che vengono imbarcati nella stiva di un aereo, ci ha provocato un flashback tra le nefandezze umane di ben 406 anni.
E cercando in rete, infatti, è stato facile ritrovare le immagini speculari di quei primi 33 schiavi in catene che nell’agosto del 1619 venivano imbarcati nella stiva di una nave di negrieri Sao Joao Baptista per essere deportati dall’Angola a Jamestown in Virginia. Da allora sono passati quattro secoli ma non si è dismessa la pratica di sfruttare esseri umani per arricchirci e poi gettarli via come avanzi quando non ci servono più. Ovviamente sempre con la stessa metodica della violenza: nel viaggio “di andata” gli schiavi erano costretti da trafficanti bianchi armati di mazze e spade, ora in quello “di ritorno” i clandestini costretti da militari in divisa e mitraglia.
Da quell’agosto del 1619 sarebbero stati intorno ai 15 milioni (nessun conteggio ha mai stabilito quanti fossero stati questi “selvaggi” razziati dai villaggi africani che avevano un valore da vivi e zero da morti) gli schiavi sfruttati come animali nei campi di cotone e canna da zucchero, generando nel tempo la ricchezza dell’America in cui bianchi si faceva largo con il genocidio dei pellerossa, unici americani veri. E di sfruttamento in sfruttamento gli USA, unitamente all’impero britannico (che prelevava anch’esso schiavi dall’Africa all’Oriente) sono diventati quelli che sono.. Plasmando così il cosiddetto Occidente, praticando tutta questa crudeltà, chiamando il tutto “progresso“. Progresso e “valori occidentali” di cui ci vantiamo ancora oggi, in nome di quali vengono giustificate anche le guerre odierne, avendo pure la pretesa di essere di esempio agli altri. Ovviamente -ieri come oggi- il tutto avviene giurando sulla Bibbia. Amen. Peccato che ora, almeno una parte importante del cattolicesimo, ad iniziare dall’attuale pontefice non ci sta e prova -seppure inascoltato- a contestare l’utilizzo della religione per giustificare queste nefandezze.
Così come ha fatto la vescova Mariann Budde con il suo sermone pronunciato dal pulpito National Cathedral di Washington, con Donald Trump seduto in prima fila a deglutire amaro. Budde, con riferimento esplicito ai decreti anti-immigrazione, ha ricordato che: «Queste persone che coltivano la nostra terra, che puliscono i nostri edifici, che lavorano negli allevamenti di pollame o negli stabilimenti di confezionamento della carne, che lavano i nostri piatti dopo che abbiamo cenato fuori, che lavorano di notte negli ospedali… Forse non sono cittadini, oppure potrebbero non avere i documenti giusti, ma la stragrande maggioranza degli immigrati non è composta da criminali: pagano le tasse e sono buoni vicini di casa». Poi rivolta direttamente al tycoon: «Chiedo a lei, signor Presidente, di avere misericordia per coloro che nelle nostre comunità temono che i loro genitori vengano deportati, e di aiutare coloro che fuggono da zone di guerra e persecuzione a trovare compassione e accoglienza qui». Come ha risposto il presidente? Nessun commento o replica immediata, dopo qualche ora ha rovesciato la sua rabbia con un posto su Truth: «È una donna stupida e cattiva“. Avanzando persino una pretesa: “Lei e la sua chiesa mi devono delle scuse al pubblico.” E si perchè nel suo vasto programma, come ha detto, ha di fronte a se l’immane impegno di un altro grande periodo di progresso (per la sua America first, ovviamente) con acquisizione della Groenlandia, del canale di Panama e quant’altro dovesse servirei allo scopo. E a chi si mette contro? Dazio lo colga! E giù applausi!

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