Per “Il cineclub” -organizzato da Cinergia Matera- mercoledì 18 settembre è in programmazione il film “IL CASO GOLDMAN” -Cinema Guerrieri (ex Cinema Comunale) Matera -Orari: 17:30 – 19:35 – 21:40 -Posto Unico: € 3,50. “Un secondo caso Dreyfus? -ci si chiede in una nota- Non ci sembrò all’epoca del processo. Pierre Goldman, trentenne trotskista francese, ex guerrigliero in Venezuela, a Parigi nel Maggio 1968 ma – dopo le sconfitte del Movimento – anche rapinatore e gangster, per emulare forse l’anarchismo di Belmondo in Fino all’ultimo respiro. Nel 1969 è accusato di aver assassinato due farmacisti. L’attore belga Arieh Worthalter, emulo di Volonté, restituisce l’indomabile forza punk ante litteram di Pierre: è sincero, elettrico, in crisi mentale permanente, geniale manipolatore, scolpisce ogni parola, a cominciare da «sono innocente perché sono innocente» e «la polizia francese è fascista».
Goldman infatti ammette ogni crimine, tranne l’omicidio di innocenti, «estraneo alla mia morale comunista».
Scampa alla ghigliottina (abolita in Francia solo nel 1981), non all’ergastolo. Ma la Cassazione annulla. In carcere, su consiglio di Genet, scrive Memorie oscure di un ebreo polacco nato in Francia, che spinge la sinistra francese (Sartre, Signoret, Debray, Sagan…), in occasione nel nuovo processo nel 1976 ad Amiens, a proteggere Pierre,
figlio di eroi ebrei della Resistenza, e a tentare di smascherare un teorema giudiziario architettato dalla destra giscardiana e razzista per “mostruosizzare” la sinistra rivoluzionaria. Il film di Cédric Kahn, che aprì la Quinzaine des cinéastes 2023, racconta proprio questo secondo processo. Kahn, figlio di farmacista, attirato dai personaggi
fuori norma della cronaca (Roberto Succo, Wild Life) che illuminano le interiora rimosse della Storia, rinnova il genere: niente musica, estremizzate l’unità di luogo e la ritualità teatrale. Le luci di Patrick Ghiringhelli misurano la credibilità dei testimoni: le migliori sono per Lætitia Masson, che interpreta la psichiatra che rifiuta di confermare la diagnosi di “psicotico schizofrenico” attribuita a Goldman, anche se singoli atti psicotici non
sarebbero da escludere (sottinteso: se si è estremisti). Le peggiori luci per Oswaldo Barreto, prestigioso marxista venezuelano nella realtà, qui trasformato in ambigua macchietta, non perché accusa Debray di aver causato la cattura del Che, ma perché conferma che Goldman potrebbe eseguire singoli atti psicotici. Kahn mette troppi
binari alla libertà dello spettatore-giudice mentre si prende eccessive libertà procedurali rispetto al dibattimento (sembra più un talk show televisivo dove ci si accapiglia senza regia, per chi è abituato a Perry Mason). Forse perché la co-sceneggiatrice Nathalie Hertzberg deve stipare l’imponente documentazione raccolta, dalla testimonianza di Georges Kiejman (Arthur Harari), il più pragmatico del trio difensivo di Goldman, alla storia
delle persecuzioni: i pogrom polacchi, Trotsky sconfitto, il Bund, il sionismo e l’FTP-MOI, brigata ebraica francese a complicare i fatti… Tre telecamere riprendono contemporaneamente giudici, avvocati, imputato, testimoni e i due pubblici presenti e litiganti, spesso inquadrati in campi medi, con carrellate laterali che catturano reazioni,
non sempre ben raccordate dal montatore Yann Dedet. Per esempio, attenti all’arrivo in aula dell’imputato. Ha le manette come Ilaria Salis o no?”

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