martedì, 8 Luglio , 2025
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“Il Ragazzo dai pantaloni rosa” che si uccise per bullismo.. un bubbone pericolosamente tra noi

La cronaca di questi giorni ci sta consegnando un quadro in peggioramento del livello di bullismo, omofobia diffuso ampiamente -purtroppo- già tra le nuove generazioni (evidentemente mutuate dagli ambienti familiari e/o amicali) che spesso si abbatte su singoli che vengono spinti nel tunnel della depressione, persino al suicidio. Un termometro sta venendo dalla uscita di un film “Il Ragazzo dai pantaloni rosa” che parla di una storia vera. Il suo nome era Andrea Spezzacatena. E con il nomignolo che da il titolo alla pellicola, era stato etichettato per  aver indossato a scuola un paio di pantaloni scoloritisi dopo un bucato di sua madre. Un banale episodio che segno da quel giorno la sua vita che diventò un inferno. Addirittura, qualcuno creò una pagina Facebook con il suo volto in bella vista ma femminilizzandone il nome. A scuola qualcuno pensò di accoglierlo con un “fr*cio” scritto sulle pareti. E poi le umiliazioni nelle chat con messaggi del tipo “Mo te kiameremo pippi pia cazzi lunghi“; “Oddio l’ho abbracciata e poi gli ho toccato la mano òòòò mio dio òòòò (leggila con la voce da fr*cio)“; “Lo vuoi il pene, eh?“. Ebbene, Andrea non resse e si impiccò. A aveva soltanto 15 anni.  Ora accade che, durante l’anteprima del film proiettato qualche giorno fa nella Sala Sinopoli dell’Auditorium di Roma di fronte a centinaia di studenti, dal buio della sala qualcuno ha gridato: “Ma questo quanno s’ammazza“. “Fr*cio“. Parole seguite da applausi di scherno, risatine, prese in giro.  A Treviso, un gruppo di genitori di una scuola ha espresso contrarietà alla proiezione programmata di questo film e per questo “temporaneamente sospesa” come dichiarato dalla dirigente dell’Istituto interessato. Il primo caso, a Roma, ha provocato anche la reazione del ministro Giuseppe Valditara, che ha espresso indignazione per l’accaduto, interpretandolo come un segnale preoccupante di atteggiamenti omofobi diffusi. Nel secondo quella del sindaco della città, esponente della Lega, che ha manifestato l’intenzione di promuovere la visione del film in quanto rilevante strumento educativo, stigmatizzando la mancata proiezione “un’occasione persa per approfondire temi rilevanti e complessi della nostra società”. Aggiungendo che “ignorare o evitare il confronto su argomenti come il bullismo e l’omofobia non rappresenti una soluzione adeguata, sottolineando la necessità di una riflessione comunitaria su problematiche sociali attuali.” 
E’ evidente quanto questi episodi siano allarmanti e soprattutto facciano male a chi quella vicenda l’ha subita con un lutto. Come la mamma di Andrea, Teresa Manes, che ha usato queste parole per commentare gli insulti e le irrisioni emerse durante la proiezione del film a Roma in un post sul proprio profilo facebook:
“Quanto accaduto il 24 mattina ad “Alice nella città” dà la misura dei tempi che viviamo.
Un gruppo di studenti, accompagnati( e sottolineo accompagnati) alla proiezione del film Il Ragazzo Dai Pantaloni Rosa, ha pensato male di disturbarne la visione, lanciando dalle poltrone su cui si erano accomodati parole pesanti come macigni.
*Froxio, *Ma quando s’ammaxxa, *Gay di mxxxa sono solo alcuni degli insulti rivolti a mio figlio.
Ancora oggi, 12 anni dopo.
Ancora oggi, anche se morto.
Quando poco fa mi è stata riportata la notizia, mi e’ stato pure chiesto quanta rabbia mi facesse tutto questo.
La rabbia è un’emozione che non mi appartiene.
Pure il senso d’impotenza ho scoperto col tempo essere uno stato a me ignoto.
Credo però fermamente che noi adulti dobbiamo essere esempio e guida per le nuove generazioni.
Quegli insulti erano sorretti dall’impalcatura della indifferenza che è la forma più subdola della violenza.
Io non so se dietro quel gruppo rumoroso c’è l’assenza di quella educazione primaria che spetta alla famiglia.
Il bisogno di affiliazione e, dunque, la necessità di fare parte di un gruppo può portare, specie in età adolescenziale, a fare o a dire cose che un genitore magari manco immaginerebbe mai dal proprio figlio.
Ma in quel contesto, anch’esso educativo, chi ha fallito è stato quell’adulto, incapace di gestire la situazione e rimettere ordine, probabilmente non avendo avuto tempo o voglia di preparare la platea dei partecipanti. venendo, comunque, meno all’esercizio del ruolo che ricopre.
Si parla di educare all’ empatia e ci si mostra incapaci di farlo, permettendo di calpestare in modo impietoso la memoria di chi non c’è più e, soprattutto, un’ attività di sensibilizzazione collettiva, portata avanti da chi ci crede ostinatamente.
Mi piacerebbe che chi continua a negare l’omofobia in questo Paese prendesse spunto da quanto accaduto per rivedere il proprio pensiero e regolare il proprio agito.
Perché la parola non è un concetto vuoto.
La parola è viva ed uccide.
Io, di certo, non mi piego.
Anzi, continuerò più forte di prima
Mio figlio non c’è più ma l’omofobia a quanto pare si!
C’è poco da aggiungere. Solo che c’è molto lavoro da fare. Sia in famiglia che a scuola. Con la scuola che (già quotidianamente fa i conti con questa problematica), nel momento in cui decide di affrontarla anche con la visione di film come questo, magari accolga lo sfogo della mamma di Andrea e provveda a preparare al meglio la platea degli studenti affinché possano fruirne al meglio. In questi giorni ci risulta che sia programmata la visione anche da parte di scuole a Matera. Quanto mai opportuna.

Vito Bubbico
Vito Bubbico
Iscritto all'albo dei giornalisti della Basilicata.
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