lunedì, 10 Febbraio , 2025
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Da Delia a Marcella ‘’C’è ancora domani’’ per lottare e cambiare

Da una madre(Delia) a una figlia(Marcella) che avrà la certezza di poter contribuire a cambiare la propria condizione e quella del Paese, partendo dalla voglia di essere protagoniste di decidere, come persona, donna, che vuole contare, guardando a un diritto- quello di voto- che la Costituzione, nata dalla Resistenza, dà a quanti e a quante hanno conquistato la libertà con ostinazione e speranza. Il film della regista Paola Cortellesi è anche questo, un manifesto femminista- come scrive nella argomentata recensione di Francesco Calculli, che ci dà un affresco di un periodo storico della condizione femminile e dell’aria nuova del Paese nell’immediato dopoguerra. Con i ricordi, le immagini, le foto e le sequenze di un film in bianco e nero, che passa per le diverse tonalità di grigio in famiglie dove la donna era considerata con taglio retorico ‘’angelo del focolare’’, ma costretta a obbedire e a subire violenze psicologiche e fisiche da un marito padrone. Una condizione di subalternità, per la morale e i vincoli familiari del tempo, che non consentivano spazi di libertà. La regista ne descrive in maniera esemplare, attraverso la protagonista, Delia, contenuti, amarezze e una speranza coltivata fino a che ci sarà e ‘’ C’è ancora domani’’ . Un film che dovrebbero vedere soprattutto gli uomini, scrive Francesco Calculli, per superare stereotipi e modi di vedere, fare, pensare che limitano ancora la partecipazione delle donne alla vita del Paese, anche per il ruolo-spesso difficile da conciliare- di essere madri, moglie, lavoratrici o di impegnarsi in politica. Una sfida nella fiducia in sé stesse e in quella che gli uomini devono contribuire a dare con maggiore apertura. Una lotta comune che continua dal 1946 ad oggi perché ‘’C’è ancora un domani…’’

“C’E’ ANCORA DOMANI” E’ UN MANIFESTO FEMMINISTA MA E’ UN FILM CHE DEVONO VEDERE SOPRATTUTTO GLI UOMINI. Di Francesco Calculli.
Un secolo fa, nel 1919, con le “Norme circa la capacità giuridica della donna”, che abrogavano l’articolo 134 del codice civile del Regno d’Italia, in vigore dal 1865 (il cosiddetto codice Pisanelli), le donne conquistarono finalmente la loro legittimazione a compiere atti e a prendere decisioni, di carattere contrattuale, senza l’autorizzazione del marito. Ma questa norma venne poi stralciata nel ventennio della dittatura fascista che inquadrando le donne in una visione gerarchica del rapporto fra i sessi , le aveva di fatto escluse, annichilite e umiliate, ponendole in uno stato di totale subalternità nei confronti degli uomini. Ed è proprio in questo contesto sociale di umiliante sudditanza della donna di fronte al marito, che è ambientato nel 1946 il film “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi, e anche la scelta dell’anno, non è per nulla casuale, perché il 10 marzo di quel lontano 1946, le donne italiane poterono per la prima volta votare e essere votate nel corso di un’elezione . La protagonista del film è la popolana Delia (Paola Cortellesi), madre di tre figli e moglie di Ivano (Valerio Mastandrea), un uomo volgare e violento che ha rispetto solo per quella canaglia di suo padre, il Sor Ottorino (Giorgio Colangeli), un vecchio strozzino rancoroso e nostalgico del fascismo, di cui Delia è a tutti gli effetti la badante. Dietro di loro si muove un quartiere popolare di Roma, coi suoi casoni squallidi, i cortili in cui la storia di ognuno è la storia di tutti e dove la sofferenza e le speranze sono comuni.

La forza di “C’è ancora domani” è in questa molteplicità di elementi umani coagulati da una unità superiore: la miseria materiale delle famiglie indigenti causata dalla guerra da poco alle spalle, e ancor più la miseria morale dei “burini” che si sono arricchiti con la borsa nera o peggio vendendo gli ebrei e gli antifascisti ai tedeschi che è persino più dannosa di quella che colpisce i ricchi. Siamo nella seconda metà degli anni ‘40 e questa famiglia qualunque vive in una Roma occupata dalle truppe americane che sottopongono la popolazione a rigorosi controlli, ma dove c’è anche il soldato nero del Tennessee che regala a Delia due tavolette di cioccolato e che la aiuterà poi a impedire il matrimonio della figlia Marcella per sottrarla al suo stesso orribile destino di moglie abusata e infelice. Il film è girato totalmente in bianco e nero con un evidente richiamo al grande cinema neoralista di Roberto Rosellini, Luchino Visconti e Vittorio De Sica, ma sopratutto vuole essere un omaggio alla immensa Anna Magnani, attrice icona e regina del neorealismo che è sempre stata “negli occhi e nel cuore” di Paola Cortellesi fin dai suoi esordi artistici. La caratteristica dei personaggi nel film è di essere estremamente semplici, banali a livello di contenuti psicologici, costanti nel comportamento e quindi prevedibili, riconoscibili. Questa fissità permette loro però di essere dei nuclei totali, dei punti fermi. Ora, in “C’è ancora domani”, noi non corriamo che relativamente il rischio di immedesimarci nella vicenda o nell’epoca, perché non l’abbiamo vissuta e ne abbiamo solo ricordi riflessi, e le reazioni che abbiamo sono reazioni emotive sì ma di tipo ideologico, non diretto. Possiamo quindi vedere il film per quello che è: strutturalmente una commedia in grado di far ridere, commuovere e riflettere, che rimanda a una realtà tragica con la puntualità della cronaca su casi recenti e passati di femminicidio in Italia. Il film “C’è ancora domani”, ci presenta sin da subito Delia che lavora tutto il giorno dentro e fuori casa peggio di una schiava per guadagnare pochi soldi, e che subisce continue umiliazioni e maltrattamenti da parte del dispotico marito Ivano, un balordo che passa il suo tempo nelle taverne a ubriacarsi con gli amici e a frequentare prostitute durante la notte. Ivano picchia Delia ogni volta che ne ha voglia sempre per futili motivi, come quando la povera donna gli mostra la tavoletta di cioccolato che le ha regalato il soldato americano, e dopo averla massacrata di botte il farabutto pensa di autoassolversi continuamente perché « un po’ nervoso dopo aver combattuto due guerre » .

E come se non bastasse, Delia è costretta a subire la violenza psicologica e le molestie sessuali da parte di Ottorino, il padre di Ivano, un cattivo individuo dalla gretta ignoranza, che non lesina di dare lezioni al figlio su come punire la moglie quando disobbedisce perché la violenza è qualcosa che può essere tramandata con grande determinazione « Non glie poi menà sempre, sennò se abitua”, ma la devi menà forte ogni tanto, cosi capisce una volta pè tutte che deve sta zitta, come facevo io co tu madre » gli dice il genitore infermo, omettendo però di ricordare a Ivano che sua madre si sarebbe buttata dal balcone pur di sfuggire alle sevizie di Ottorino. Nei luoghi di lavoro l’operaia Delia è anche vittima della discriminazione salariale di genere, e lo scopre nel modo più sgradevole quando chiede all’ombrelaio nella cui bottega ella lavora da tre anni perchè il nuovo apprendista viene pagato già il primo giorno di lavoro il doppio di lei, questi gli risponde cinicamente « perchè lui è un omo ». Ma a soffrire di questa oppressione patriarcale e maschilista non è solo la proletaria Delia, sono anche altre figure femminili che compaiono nel film, come la moglie del notaio malato a cui Delia va a fare le punture a pagamento, e la madre del suo futuro genero, moglie del più invidiato dei burini arricchiti e proprietario del più grande bar del quartiere. Pertanto Delia diventa il simbolo collettivo di un momento storico in cui le donne di ogni ceto sociale si esigevano mute e obbedienti. Non penso di sbagliare nel dire che il merito del successo di “C’è ancora domani” sta anche nella scelta di Paola Cortellesi dietro la macchina da presa di non mostrare gli abusi, di trasformare in un musical le scene più cruente e di dissolvere sangue e lividi come se le vittime fossero delle super eroine repellenti alle barbarie. Ovviamente non è così, quei segni scavano solchi sempre più profondi e spingeranno Delia ad affrontare un suo enorme limite: l’incapacità di sentirsi meritevole della felicità. L’unico sollievo di Delia è l’amica Marisa (Emanuela Fanelli), con cui condivide momenti di leggerezza e qualche intima confidenza sul suo primo amore Nino (Vinicio Marchioni) l’unico capace di riabilitare la figura maschile, simbolo di un sentimento sano, che sembra rimetterla in contatto con la sua parte femminile senza sensi di colpa. Ma più importante di tutto il resto, c’e per Delia l’amata primogenita Marcella, che però la disprezza profondamente perchè la madre non si ribella alla umiliante sottomissione che le ha imposto il marito, non riesce a comprendere perché Delia non scappa via da Ivano, e la condanna ritenendola una donna fallita come madre e come moglie.

La ragazza non riesce a riconoscere quando Delia le dice con gli occhi che cercano un disperato conforto « Si hai ragione figlia mia, ma io do vado » che sua madre non ha vie di fuga da quell’orrore quotidiano, nè riesce a leggere tra le righe delle sue strategie di sopravvivenza. Marcella dal canto suo, spera solo di liberarsi finalmente di quella famiglia imbarazzante, e sposarsi in fretta con Giulio, solo in apparenza un gentile e premuroso bravo ragazzo di ceto borghese, ma che subito dopo il fidanzamento ufficiale si comporterà anche lui in modo possessivo e violento. L’arrivo di una lettera misteriosa però, accenderà il coraggio di Delia per rompere il fidanzamento di Marcella e immaginare un futuro migliore, non solo per lei con un finale del film inaspettato e folgorante. Una mattina presto Delia decisa a realizzare il suo piano riesce a convincere il marito a lasciarla uscire di casa con la scusa di doversi recare nella palazzina dove abita la sua amica Marisa , perché deve fare delle punture ad alcuni malati, non prima però di lasciare sul comodino accanto al letto della figlia un busta con tutti i soldi che è riuscita a mettere da parte che finalmente potranno consentire a Marcella di pagarsi la scuola che a causa della miseria e della opposizione del padre la ragazza non aveva potuto frequentare, e a cui invece avrebbe voluto iscriversi fin da bambina. Ma Delia nella fretta di uscire di casa, ha inavvertitamente lasciato cadere per terra la misteriosa lettera che viene prontamente raccolta da Ivano, il quale dopo averla letta si fionda inferocito all’inseguimento della moglie per riportarla a casa e darle una lezione a suon di botte. Ora, ci si aspetterebbe che Delia abbia progettato di fuggire da Roma con il suo primo amore Nino, e invece raggiunge un luogo dove c’è una lunga fila di donne che hanno in mano la stessa lettera misteriosa, e a cui adesso si aggiunge anche Delia. Si capisce allora che quella lettera misteriosa non è altro che il certificato elettorale, e Delia si è messa in fila davanti al seggio. Lei è entusiasta di potere votare per la prima volta in vita sua, ma viene presa dal panico quando si accorge di non avere con sé il certificato elettorale.

Sconsolata Delia sta per allontanarsi da quella fila di donne, quando improvvisamente le viene incontro sua figlia Marcella che l’ha raggiunta per riportarle il certificato elettorale. E’ questa la scena più iconica e memorabile in assoluto di tutto il film: Delia guardando negli occhi Marcella capisce che la ragazza non la vede più come una donna sconfitta dalla vita, ma come una guerrigliera della vita! Quando Delia esce dal seggio trova Ivano ad aspettarla visibilmente alterato e che si avvicina con fare minaccioso, ma per la prima volta Delia non ha più paura del marito, anzi questa volta è lui ad abbassare lo sguardo e ad andarsene con la coda fra le gambe. C’è ora in Delia ”una totale consapevolezza” che il suo voto e quello di tutte le altre donne è in questa prospettiva un atto di liberazione e resistenza prima ancora di un inderogabile dovere, che segna una prima fondamentale tappa del lungo e rivoluzionario processo di autodeterminazione delle donne italiane. Penso sia abbastanza ovvio che al giorno d’oggi le donne anche nel nostro Paese si siano emancipate, abbiamo persino una donna, Giorgia Meloni che è diventata Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica italiana, tanti passi sono stati fatti, tanti ancora sono da fare: il tasso di istruzione delle donne italiane rimane sensibilmente più elevato di quello maschile, ma la maggior parte anche delle donne laureate spesso svolgono quei lavori che gli uomini non vogliono più fare perché poco remunerativi, per i quali basterebbe un titolo di studio inferiore a quello che esse possiedono, come fare le commesse nei supermercati e nei negozi di abbigliamento. Alle donne, inoltre, sono mediamente riservate retribuzioni lorde più basse rispetto agli uomini a parità di posizione lavorativa. Aumentano anche in modo esponenziale in tutta Italia i casi di violenza di genere e le vittime dei femminicidi, e senza andare troppo lontano nei nostri stessi quartieri o negli stessi edifici dove abitiamo, ci sono donne che subiscono violenza all’interno delle mura domestiche, spesso con la complice indifferenza dei vicini di casa. Non bisogna poi dimenticare che Giorgia Meloni è a capo di un partito di estrema destra fortemente maschilista, e che rimane una leader politica antifemminista che ad ogni campagna elettorale ha sempre promosso e difeso a spada tratta un modello patriarcale della famiglia, pur essendo la prima a non rientrare in tale modello, e per di più, la scandalosa e clamorosa fine della relazione tra la Premier e il suo compagno di fatto smonta la sua stessa propaganda sulla famiglia tradizionale. Tornando al film, “C’è ancora domani” è un tributo originale e coraggioso alle donne di ieri e di oggi, in particolare a quelle “invisibili” che hanno segnato la Storia, spesso loro malgrado, ma è un film che deve essere visto soprattutto dagli uomini, perchè se è fuor di dubbio che la rivoluzione femminista, l’unica che ha avuto successo in Italia, ha cambiato la vita delle donne, anche delle non femministe, purtroppo non è cambiato rispetto al 1946 l’atteggiamento parternalistico che la maggior parte degli uomini assumono nei confronti delle donne. Dobbiamo dircelo chiaramente: noi uomini chi più, chi meno, siamo ancora limitati e condizionati da stereotipi e retaggi maschilisti che si sperava ormai superati. Perchè anche a me, che ho sempre combattuto la mentalità maschilista e patriarcale, capita qualche volta di mancare di rispetto a mia madre, a mia sorella, a una collega e a una compagna, e poi scusarmi perchè ero un po nervoso “non per aver fatto due guerre mondiali” ma in verità per avere avuto i miei dieci minuti di maschilismo. Già ammetterlo, è un primo passo avanti nel mio lungo processo di emancipazione dal retaggio maschilista.

Accompagnata dalla voce di altre filosofe, come Simone de Beauvoir e Hannah Arendt, Heller passa in rassegna le tappe del lungo e rivoluzionario processo di liberazione delle donne: dalla sottomissione allo sguardo dell’altro – prevalentemente al maschile – alla conquista del diritto all’autodeterminazione, che coinvolge in una battaglia comune gli stessi uomini; dall’emancipazione politica dell’Illuminismo alla parità economica e sessuale, sino ad arrivare alla partecipazione sociale, professionale, istituzionale dei nostri giorni. Sorge però una domanda cruciale: essere state liberate significa per ciò stesso essere libere? Appellandosi alle scelte individuali di ciascuna, la filosofa sembra indicare la direzione di una responsabilità personale, cui nessuna donna può sottrarsi.

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