venerdì, 4 Ottobre , 2024
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Altamura con ‘’Oltre’’ e i documentari d’autore

Documentari? Se non ci fossero occorrerebbe inventarli, per la capacità che hanno di catturare attenzione fino ai fotogrammi finali, quando si riavvolge il nastro di un discorso che porta a commentare, riflettere. E’ una sezione della cinematografia , grazie alla capacità dei registi e di quanti collaborano a narrarli, che apre a una sequenza di temi, con protagonisti, situazioni, spesso ‘’specchio’’ di una realtà di prossimità da scoprire . Altamura con la rassegna ‘’Oltre’’ ne presenta quattro. Si comincia al LiberHub ‘Gianpiero Zaccaria’ in viale Martiri 1799, giovedì 3 ottobre con ‘’ Se fate i Bravi’’ di Stefano Collizzoli ‘’ . Un assaggio di quello che sarà la rassegna e in presenza dell’autore. Il resto è descritto nel corposo comunicato che segue. Cinefili, curiosi o quanti non si sono ancora avvicinati ai linguaggi cinematografici hanno l’opportunità per conoscere questo spaccato della settima arte.

Il COMUNICATO DELLA RASSEGNA

Cinema: ad Altamura la rassegna “Oltre”, quattro documentari d’autore, di grande attualità. Si comincia giovedì 3 ottobre con “Se fate i bravi”, di Stefano Collizzolli, che sarà presente alla proiezione, e Daniele Gaglianone. Appuntamento al LiberHub ‘Gianpiero Zaccaria’ in viale Martiri 1799.
E’ dedicata al genere documentario “Oltre”, la rassegna cinematografica organizzata per il mese di ottobre nel LiberHub “Gianpiero Zaccaria” ad Altamura, in provincia di Bari. La proposta culturale rappresenta la prosecuzione e l’evoluzione di “Altamura al cinema”, la manifestazione estiva che, per 10 anni, ha portato sugli schermi pellicole girate nella città o nella regione oppure da registi e attori locali o pugliesi, con visioni arricchite da dibattiti, seminari e approfondimenti alla presenza di autori, interpreti, produttori, maestranze del cinema.
Quattro gli appuntamenti (3-10-24-31 ottobre, sempre di giovedì), con la proiezione di altrettanti documentari d’autore inediti per il territorio, di produzione recente, che affrontano tutti temi di grande attualità. Per ogni serata è prevista la presenza di un ospite legato alla realizzazione del film o esperti dell’argomento tratta dall’opera con i quali sarà possibile approfondire e interagire.
Alla rassegna è stato dato il titolo “Oltre” “perché la cultura e il cinema – spiega Piero Crivelli, film maker, tra gli ideatori e i curatori della rassegna – possono e devono servire a creare un ponte, per unire, oltre le differenze, e spingerci oltre le barriere, i limiti e i confini fisici, mentali e sociali. E i quattro documentari selezionati raccontano di altrettanti viaggi e percorsi possibili verso un altrove migliore. In definitiva possono aiutarci ad allargare gli orizzonti, a imparare a vivere insieme senza pregiudizi”. Intenti e obiettivi che sono alla base della scelta di allargare gli orizzonti geografici delle pellicole della rassegna fuori dai confini regionali. Sarà una grande immersione nel cinema del reale resa possibile grazie alla collaborazione con una piattaforma importante nella produzione e distribuzione del cinema documentario in Italia come ZaLab fondata da Andrea Segre.
Il primo appuntamento è in programma giovedì 3 ottobre, alle 20, al Liberhub di viale Martiri 1799, 1 con “Se fate i bravi” (2022), regia di Stefano Collizzolli, che sarà presente ad Altamura, e Daniele Gaglianone, due nomi prestigiosi del panorama del documentario italiano. Si tratta di un diario delle giornate drammatiche del G8 di Genova tra il 19 e 21 luglio del 2001. In occasione del vertice fra gli otto stati più potenti della terra, in sostanza un centinaio di persone che si riunivano per decidere il destino del pianeta, centinaia di migliaia di cittadini si dettero appuntamento nel capoluogo ligure per contestare pacificamente un modello di sviluppo predatorio e ingiusto e proporne un altro. A quel sogno e a quella protesta rispose “la più grave sospensione dei diritti democratici in Occidente dopo la Seconda guerra mondiale”, come l’ha definita Amnesty International. E’ un diario realizzato oltre vent’anni dopo, raccontando al presente un passato interrotto. Un tema, quello della libertà di manifestare il proprio pensiero ancora di grande attualità nel mondo e in Italia.
Qui un link con alcune essenziali informazioni sul film.

Se Fate i Bravi


Qui il link al trailer

Secondo appuntamento il 10 ottobre con “Kripton” di Francesco Munzi (2023). Seguirà il 24 ottobre “Trieste è bella di notte” (2023), di Matteo Calore, Stefano Collizzolli, Andrea Segre. Ultima data il 31 ottobre con “Qui non c’è niente di speciale” (2022), di Davide Crudetti. Per i temi si va dal disagio giovanile all’immigrazione in Italia fino all’emigrazione dal Sud e al rapporto con le proprie radici.
Ospiti del secondo incontro un rappresentante del Centro socio-educativo “Biancamano” di Altamura e il dottor Francesco Viti, psichiatra. Nel secondo incontro interverrà un esponente del centro interculturale Caravan. Per l’ultimo appuntamento previsto l’intervento della dottoressa Marilisa Milano, esperta in materia di bandi europei e start-up.
Ingresso ore 20. Previsto un biglietto con un ticket di 2 euro. La rassegna è organizzata in collaborazione con le associazioni Pro Loco, Obiettivo Successo e Formiche Verdi.
Qui alcuni riferimenti social di Altamura al Cinema:
https://www.facebook.com/AltamuraalCinema
https://www.instagram.com/altamura_al_cinema/
https://www.youtube.com/@altamuraalcinema

In allegato la locandina generale della rassegna, le foto di Stefano Collizzolli e di Daniele Gaglianone, la locandina, una immagine, la cartellina (press book) del primo film (Se fate i bravi), le sinossi di tutti i film.
Per informazioni contattare:
Pro Loco 0803143930
Piero Crivelli 333 460 5552 (organizzazione)
Pasquale Dibenedetto 3334225560 (ufficio stampa)

SINOSSI – “SE FATE I BRAVI”

“Se fate i bravi” è un diario delle giornate fra il 19 e 21 luglio 2001 a Genova.
Erano i giorni di un vertice fra gli otto stati più potenti della terra, qualche centinaio di persone che si riunivano per decidere il destino del pianeta; e in cui centinaia di migliaia di persone sono andate a Genova per contestare pacificamente quel modello di sviluppo predatorio e ingiusto, e proporne un altro. A quel sogno e a quella protesta rispose la più grave sospensione dei diritti democratici in Occidente dopo la Seconda guerra mondiale, come l’ha definita Amnesty International.
La memoria è una cosa strana. Quella di Genova è una storia che è stata raccontata molte volte, ma il nostro paese non ci ha mai fatto i conti fino in fondo; come se per certi versi fosse una storia da dimenticare, o forse una storia già dimenticata. Anche moltissime delle memorie individuali sono interrotte; come una ferita sepolta, una frattura che ci si scorda di avere, ma che quando cambia il tempo si sente. È quello che è successo agli autori ed ai testimoni del film. Vent’anni dopo hanno sentito l’esigenza di raccontare. Ed il film è tutto un lungo racconto, un diario momento per momento svolto vent’anni dopo da Evandro Fornasier.

Evandro parla quasi in macchina; in uno spazio neutro, con una fotografia evidente, raccontando la sua storia in modo disteso, intimo, e situato in quel presente distante, quasi fosse un monologo teatrale. E per certi versi lo è: si avverte la presenza, attorno alla telecamera, di persone che condividono con lui uno spazio e un tempo irripetibile. Comincia a parlare dicendo che è la prima e l’ultima volta che ha l’occasione di farlo con tutto il tempo necessario; non gli è mai successo, e non succederà più.
Con voce quieta e pungente racconta l’esigenza che muoveva lui ed il suo gruppo di amici, in un gesto che sembrava necessario, indiscutibile, pur non essendo loro militanti: l’idea di un mondo un cui fosse più piacevole e più giusto vivere. Un’idea da non tenere per sé, ma da condividere, in uno spazio pubblico sognante, forse ingenuo, di piazza, di presa di parola. Racconta anche cos’è avvenuto dopo. La repressione caotica. L’arresto. La detenzione a Bolzaneto, una discesa agli inferi. E poi la traduzione al carcere di Alessandria, dove l’incubo non è finito.

Al diario di parola di Evandro si affianca un diario per immagini: nel corso della lavorazione del film, Stefano Collizzolli riscopre le riprese video delle sue giornate di Genova. C’era una telecamera miniDV, con l’intento di testimoniare ma soprattutto con uno spirito di festa, di gita con gli amici, con i costumi da bagno in zaino per il giorno dopo le manifestazioni. Sono immagini che poi nessuno aveva mai più rivisto.

Evandro e Stefano non si conoscevano, ventuno anni fa; eppure spesso erano separati da poche decine di metri, e quella piccola distanza è stata decisiva per come le due storie sono andate a finire.
Sono due storie che raccontano la contraddizione fra sogno e violenza. Un sogno che in parte si è interrotto ed in parte è continuato in altre forme. E una violenza che ha prima colpito i corpi e poi schiacciato il racconto in un estenuante dialettica fra criminalizzazione del movimento e contro-narrazione difensiva.
Il sogno e la violenza sono un nodo che va oltre Genova 2001, e parlarne più di vent’anni dopo è un tentativo di entrare nel cuore di questa contraddizione: la dismisura di quando l’ordine delle cose diventa, forse per sua intima necessità, disordine; di quando il monopolio dell’uso della forza diventa illegittimo, in un modo che illumina la natura profonda, continuata e forse (terribile pensarlo) necessaria, dello Stato.
Ma forse la cosa più essenziale di Genova è che si tratta di una storia che non siamo mai riusciti a raccontarci fino in fondo. Questo è ciò che ha generato i due diari, e che ha aperto la strada anche ad altri incontri.
Anche Alessandra Ballerini, avvocata allora per il Genoa Legal Forum, dice che non voleva tornare su quella vicenda, e che, pur avendo passato anni a ragionare sui fascicoli per difendere le persone coinvolte, forse non ci aveva mai più pensato per davvero. Alfonso Sabella, magistrato con una lunga storia nell’antimafia e poi responsabile di Bolzaneto, dice che non ha mai potuto raccontare la sua versione in tribunale. Gianfranco Bettin, che allora era nel gruppo di contatto fra movimento ed istituzioni, collega questa frattura ad altri non detti della storia del paese, a partire dalla strategia della tensione.
Nel film intervengono anche gruppi di ragazzi fra i sedici e i vent’anni. Quasi nessuno di loro ha idea del G8 del 2001; nemmeno i nomi di Carlo Giuliani o della scuola Diaz gli dicevano qualcosa: a un certo momento, quel racconto si è chiuso, e se n’è bloccata la trasmissione; è una storia che non siamo stati capaci di raccontarci, né come individui che l’hanno attraversata, e si trovano con un “eredità senza testamento”; né, tantomeno, come comunità, che l’ha rimossa oppure l’ha utilizzata come clava.
È il momento di riprendere parola, collettivamente; e questo film, la fatica di questo diario scritto a più mani vent’anni dopo, se serve a qualcosa, serve a questo. 

SINOSSI – “SE FATE I BRAVI”

“Se fate i bravi” è un diario delle giornate fra il 19 e 21 luglio 2001 a Genova.
Erano i giorni di un vertice fra gli otto stati più potenti della terra, qualche centinaio di persone che si riunivano per decidere il destino del pianeta; e in cui centinaia di migliaia di persone sono andate a Genova per contestare pacificamente quel modello di sviluppo predatorio e ingiusto, e proporne un altro. A quel sogno e a quella protesta rispose la più grave sospensione dei diritti democratici in Occidente dopo la Seconda guerra mondiale, come l’ha definita Amnesty International.
La memoria è una cosa strana. Quella di Genova è una storia che è stata raccontata molte volte, ma il nostro paese non ci ha mai fatto i conti fino in fondo; come se per certi versi fosse una storia da dimenticare, o forse una storia già dimenticata. Anche moltissime delle memorie individuali sono interrotte; come una ferita sepolta, una frattura che ci si scorda di avere, ma che quando cambia il tempo si sente. È quello che è successo agli autori ed ai testimoni del film. Vent’anni dopo hanno sentito l’esigenza di raccontare. Ed il film è tutto un lungo racconto, un diario momento per momento svolto vent’anni dopo da Evandro Fornasier.
Evandro parla quasi in macchina; in uno spazio neutro, con una fotografia evidente, raccontando la sua storia in modo disteso, intimo, e situato in quel presente distante, quasi fosse un monologo teatrale. E per certi versi lo è: si avverte la presenza, attorno alla telecamera, di persone che condividono con lui uno spazio e un tempo irripetibile. Comincia a parlare dicendo che è la prima e l’ultima volta che ha l’occasione di farlo con tutto il tempo necessario; non gli è mai successo, e non succederà più.
Con voce quieta e pungente racconta l’esigenza che muoveva lui ed il suo gruppo di amici, in un gesto che sembrava necessario, indiscutibile, pur non essendo loro militanti: l’idea di un mondo un cui fosse più piacevole e più giusto vivere. Un’idea da non tenere per sé, ma da condividere, in uno spazio pubblico sognante, forse ingenuo, di piazza, di presa di parola. Racconta anche cos’è avvenuto dopo. La repressione caotica. L’arresto. La detenzione a Bolzaneto, una discesa agli inferi. E poi la traduzione al carcere di Alessandria, dove l’incubo non è finito.
Al diario di parola di Evandro si affianca un diario per immagini: nel corso della lavorazione del film, Stefano Collizzolli riscopre le riprese video delle sue giornate di Genova. C’era una telecamera miniDV, con l’intento di testimoniare ma soprattutto con uno spirito di festa, di gita con gli amici, con i costumi da bagno in zaino per il giorno dopo le manifestazioni. Sono immagini che poi nessuno aveva mai più rivisto.
Evandro e Stefano non si conoscevano, ventuno anni fa; eppure spesso erano separati da poche decine di metri, e quella piccola distanza è stata decisiva per come le due storie sono andate a finire.
Sono due storie che raccontano la contraddizione fra sogno e violenza. Un sogno che in parte si è interrotto ed in parte è continuato in altre forme. E una violenza che ha prima colpito i corpi e poi schiacciato il racconto in un estenuante dialettica fra criminalizzazione del movimento e contro-narrazione difensiva.
Il sogno e la violenza sono un nodo che va oltre Genova 2001, e parlarne più di vent’anni dopo è un tentativo di entrare nel cuore di questa contraddizione: la dismisura di quando l’ordine delle cose diventa, forse per sua intima necessità, disordine; di quando il monopolio dell’uso della forza diventa illegittimo, in un modo che illumina la natura profonda, continuata e forse (terribile pensarlo) necessaria, dello Stato.
Ma forse la cosa più essenziale di Genova è che si tratta di una storia che non siamo mai riusciti a raccontarci fino in fondo. Questo è ciò che ha generato i due diari, e che ha aperto la strada anche ad altri incontri.
Anche Alessandra Ballerini, avvocata allora per il Genoa Legal Forum, dice che non voleva tornare su quella vicenda, e che, pur avendo passato anni a ragionare sui fascicoli per difendere le persone coinvolte, forse non ci aveva mai più pensato per davvero. Alfonso Sabella, magistrato con una lunga storia nell’antimafia e poi responsabile di Bolzaneto, dice che non ha mai potuto raccontare la sua versione in tribunale. Gianfranco Bettin, che allora era nel gruppo di contatto fra movimento ed istituzioni, collega questa frattura ad altri non detti della storia del paese, a partire dalla strategia della tensione.
Nel film intervengono anche gruppi di ragazzi fra i sedici e i vent’anni. Quasi nessuno di loro ha idea del G8 del 2001; nemmeno i nomi di Carlo Giuliani o della scuola Diaz gli dicevano qualcosa: a un certo momento, quel racconto si è chiuso, e se n’è bloccata la trasmissione; è una storia che non siamo stati capaci di raccontarci, né come individui che l’hanno attraversata, e si trovano con un “eredità senza testamento”; né, tantomeno, come comunità, che l’ha rimossa oppure l’ha utilizzata come clava.
È il momento di riprendere parola, collettivamente; e questo film, la fatica di questo diario scritto a più mani vent’anni dopo, se serve a qualcosa, serve a questo. 

SINOSSI – “KRIPTON”
Kripton indaga la vita sospesa di sei ragazzi, tra i venti e i trent’anni, volontariamente ricoverati in due comunità psichiatriche della periferia romana, che combattono con disturbi della personalità e stati di alterazione. Attraverso il racconto della quotidianità dei nostri protagonisti, delle relazioni che intrecciano tra di loro e con il mondo “adulto” composto da psichiatri, professionisti e dalle stesse famiglie, il film ci porta a esplorare in profondità la soggettività umana. La condizione estrema del disturbo mentale diventa la chiave per avvicinarsi all’abisso misterioso della nostra mente e, allo stesso tempo, possibile metafora del nostro tempo.

SINOSSI – TRIESTE E’ BELLA ANCHE DI NOTTE”
In un confine interno dell’Unione Europea, quello tra Italia e Slovenia, pochi chilometri sopra Trieste, i migranti asiatici della rotta balcanica che riescono ad attraversare la frontiera rischiano di essere fermati dalle forze dell’ordine italiane e rispediti indietro fino in Bosnia, senza venire identificati e senza avere la possibilità di fare richiesta di asilo.
Il Ministero dell’Interno definisce queste operazioni “riammissioni informali” e le ha introdotte nel maggio 2020. A gennaio 2021 il Tribunale di Roma le ha sancite come illegali e sono state sospese fino al 28 novembre 2022, quando il Ministro Piantedosi le ha riattivate. Come avvengono queste operazioni? Cosa succede a chi le subisce? A raccontarlo sono nel film alcuni dei migranti respinti. Le loro storie si intrecciano con le immagini realizzate con i telefonini durante i lunghi viaggi e con le contraddizioni e il dibattito all’interno delle Istituzioni italiane. Intanto in una casa abbandonata a Bihać, in Bosnia, un gruppo di pakistani e afghani vuole partire, direzione Italia. Cosa succederà loro? Quale risposta daranno l’Italia e gli altri Stati europei? Continueranno a sfidare la loro stessa legge per respingere migranti considerati illegali?
SINOSSI – “QUI NON C’E’ NIENTE DI SPECIALE”
Dal sud al nord dell’Italia c’è una sola via, di quelle strette, a senso unico. Dal sud Italia di solito si parte.
Al sud, ancora oggi, per molte persone arriva un momento della vita in cui un futuro lontano da casa sembra l’unica opzione possibile. E così, ogni anno, interi territori e comunità si svuotano, rimanendo immobili a guardare migliaia di giovani partire.
Qui non c’è niente di speciale riprende questa vecchia storia per raccontare il suo contrario. Le storie di Peppino, Anna, Alessandro, Marco e Ginevra, sono le storie di persone tra i venti e trent’anni che al sud Italia hanno scelto di viverci.
Storie di giovani e di rovine, di radici e di voglia di capire il mondo, di tradizione ed identità. Ma anche storie di futuro. Di chi ha pensato fosse giusto difendere il diritto di immaginare un domani anche qui, di chi ha voluto rimboccarsi le maniche e provare a fare qualcosa per la propria comunità.
I link alle pagine di Zalab sui quattro documentari

Se Fate i Bravi

KRIPTON

TRIESTE È BELLA DI NOTTE

Qui non c’è niente di speciale

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